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Benvenuti in un nuovo episodio di Arabeschi

Oggi parleremo di un argomento molto controverso e discusso nel panorama occidentale odierno, andando a trattare quello che era il ruolo della donna nel mondo dell’impero musulmano.

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Per quanto se ne sappia, le donne svolgevano un ruolo limitato nella vita economica della società delle città.
Coloro le quali si dedicavano apertamente a un’attività erano donne di famiglie perlopiù povere.
Difatti, quanto più una famiglia era ricca, potente e rispettata, tanto più le sue donne erano isolate, in una parte apposita della casa, lo harim (“harem”), e dietro a un velo se si avventuravano fuori di casa nelle strade e nei luoghi pubblici.
La parola “harim” significa propriamente “proibito” o “luogo inviolabile” e definisce ciò che è il gineceo, vale a dire la parte interna della casa che, nell’Antica Grecia, era riservata alle donne.
Quest’ultime, secondo Ibn al-Hajj, giurista egiziano, non dovevano uscire per fare acquisti nel mercato, poiché potevano essere indotte ad atti sconvenienti se si fossero intrattenute con i negozianti:

“alcuni dei pii anziani (possa Dio essere soddisfatto di loro) hanno detto che una donna dovrebbe lasciare la sua casa in tre sole occasioni: quando viene condotta alla casa del suo sposo, alla morte dei suoi genitori, e quando va ella stessa alla sua tomba.”

Vivere nella separatezza dell’harem non voleva dire essere completamente escluse dalla vita; alcune donne prendevano parte attivamente all’amministrazione delle loro proprietà, attraverso intermediari, e si conoscono casi di donne presentatesi al cospetto dei qadi (giudice) per rivendicare i propri diritti. Comunque sia, l’ordinamento sociale era basato sulla superiorità del potere e dei diritti degli uomini; il velo e l’harem erano segni visibili di ciò.
Il Corano asseriva con chiarezza la sostanziale uguaglianza degli uomini e delle donne:

“Chiunque, maschio o femmina, faccia il bene e sia un credente, tutti costoro entreranno nel Giardino.”

Secondo la Shari’a, ogni donna doveva avere un custode maschio: suo padre, suo fratello o qualche altro membro della famiglia. Il matrimonio di una donna era un contratto civile tra lo sposo e il custode della sposa. Un padre, nella sua qualità di custode della figlia, poteva darla in sposa senza il suo consenso, se questa non aveva ancora raggiunto l’età della pubertà. Se aveva raggiunto questa età, il suo consenso era necessario, ma, se non era già sposata, lo stesso consenso poteva essere dato col silenzio.