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In Nigeria corruzione, disparità e sfruttamento sono all’ordine del giorno. Boko Haram, l’organizzazione terroristica affiliata a Daesh, continua a compiere stragi e il Paese è sull’orlo di una vera e propria crisi umanitaria.

Il maggior numero di richieste di asilo politico in Italia proviene da nigeriani, ma l’Europa non li riconosce come rifugiati e spesso li rimpatria.

I dati Eurostat mostrano che su 11.340 domande di protezione internazionale da parte di nigeriani, l’Italia ne ha accettate solamente 2.955, mentre sono stati oltre 8.000 i dinieghi.

I nigeriani scappano non solo per motivi lavorativi e per fare fortuna: molti fuggono da Boko Haram, dalle rappresaglie dell’esercito governativo, dalla povertà. Sono soprattutto le ragazze a fuggire e diventano le vittime predilette di sfruttatori e jihadisti.


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Boko Haram notoriamente rapisce gruppi di donne e bambine che utilizza come schiave sessuali, come cuoche e attentatrici suicide. Le donne, infatti, sono più vulnerabili, quando sono psicologicamente succubi. Per una donna è più facile non farsi notare, nascondendo le cariche di esplosivo sotto i lunghi vestiti. Si stima che l’organizzazione jihadista abbia utilizzato il maggior numero di attentatrici suicide nella storia del terrorismo. Ma il rischio di essere utilizzate come schiave non si lega soltanto a Boko Haram. 

Gli operatori umanitari sottolineano che il numero di ragazze nigeriane che arrivano ogni anno in Italia è in costante aumento. La nuova migrazione è connotata da caratteristiche diverse: a partire sono le giovani donne provenienti da aree rurali e povere del Paese, di età compresa fra i 15 e i 24 anni.

Sono deboli e invisibili. Sono clandestine, e per questo nascoste. Se una volta i loro viaggi venivano organizzati e le ragazze partivano in aereo per l’Italia, oggi seguono le nuove rotte migratorie nel Mediterraneo. Attraversano il Sahara per raggiungere le coste libiche, dove si imbarcano per l’Italia.

Spesso non hanno soldi per permettersi il viaggio, il cui costo è di qualche migliaio di dollari, e perciò contraggono debiti con i loro sfruttatori che sono in grado di ripagare solo dopo sei o sette anni. Le prestazioni sessuali che sono costrette a fornire si aggirano attorno ai 20 euro.

Devono provvedere a vitto e alloggio e portare poi il denaro che hanno “guadagnato” ai loro sfruttatori. Se non ne hanno abbastanza, vengono picchiate. Se, invece, restano incinte, sono costrette ad abortire illegalmente, in terribili condizioni igienico-sanitarie.

Una volta sbarcate, le ragazze incontrano diversi operatori umanitari e funzionari di polizia, ma non parlano, per diverse motivazioni. Vengono costantemente controllate dai protettori che ne osservano le abitudini e i guadagni. Questi, inoltre, le selezionano negli stessi centri di accoglienza e negli stessi hotspot. Altre, meno fortunate, sono costrette a prostituirsi già prima di imbarcarsi, in Libia. Siccome non hanno soldi per partire, a molte viene pagato il viaggio e viene detto loro che potranno ripagare il debito una volta giunte a destinazione.

Prima di partire, sono sottoposte a un rito voodoo, il Ju Ju: dovranno obbedire agli ordini e il patto sarà sciolto una volta ripagato il debito. Se questo non accadrà, causeranno sciagure alla propria famiglia.

Anche questo legame condiziona la ribellione delle ragazze della tratta. “Importanti organizzazioni malavitose hanno capito che la migrazione fa guadagnare,”  ci racconta Isoke Aikpitanyi, che ha 37 anni e viene dalla Nigeria. Quando è arrivata in Italia ne aveva 20 e pensava di trovare lavoro come commessa; invece, è stata affidata a una “protettrice” e avviata alla prostituzione.

Nel 2007 ha pubblicato il libro Le ragazze di Benin City, in cui racconta la sua storia.

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Isoke durante la cerimonia della piantumazione dell’albero dedicatole al Bosco dei Giusti del Parco delle Groane. Foto dal sito di Associazione Senza Confini

“La mafia nigeriana traffica in armi, droga, bambini, organi e in qualsiasi tipo di business da cui trarre profitto. Anche i migranti sono diventati un business,” prosegue Isoke.  “Io non mi sono accorta subito di essere caduta in una trappola. Pensavo di aver trovato l’occasione della mia vita e di poterne migliorare la qualità, sia per me sia per la mia famiglia. Quando ho capito che non era così ho cercato una via di uscita, ma è stato difficile trovarne una, essendo io sola, straniera e clandestina.”

La mafia nigeriana opera anche nel nostro Paese. Nel Sud Italia molti nigeriani collegati alla tratta sono stati arrestati. Sicuramente, la mafia nigeriana può lavorare con la connivenza dei vari clan mafiosi locali che ne permettono la gestione della tratta.

Domandiamo a Isoke come abbia fatto a ribellarsi ai suoi sfruttatori. Ci racconta di essersi rivolta a due centri che operano contro la tratta, ma che questi non le hanno dato ascolto né aiuto e “questo succede alla maggior parte delle vittime. Io opero da 16 anni nella tratta, a modo mio, dimostrando che si può fare molto anche senza quei centri.”

Le domandiamo come abbia fatto allora a uscirne, se i centri preposti per aiutarla non sono stati in grado di fornirle il supporto necessario.

“Prima di tutto mi sono ribellata. Ho affrontato i trafficanti e ho detto basta, e dire che i servizi presso cui mi ero rivolta pensavano che non fossi determinata… I trafficanti, in risposta, mi hanno quasi uccisa, ma sono sopravvissuta, e da allora faccio a modo mio e fuggo, perché è un po’ come se fossi ricercata. Se mi fossi nascosta, si sarebbero dimenticati di me. Ma io lotto. Aiuto le ragazze a uscirne e loro perdono soldi, per ‘colpa’ mia”.

Oggi Isoke è la presidente dell’associazione Vittime ed ex-vittime della tratta. Aiuta le ragazze nigeriane a ribellarsi ai propri sfruttatori e a denunciarli, per poi potersi ricostruire la vita che era stata loro promessa prima di partire alla volta dell’Europa.

In Italia è in vigore l’Articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione, secondo cui “il questore […] rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale.” Questa legge, però, mostra dei limiti.

Per disincentivare la prostituzione è stata avanzata una proposta di legge la cui prima firmataria è la deputata Caterina Bini (PD). Il DDL aggiunge alla legge Merlin (20 febbraio 1958, n°7) una clausola per cui sono previste “sanzioni per chi si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione.” Le multe vanno dai 2.500 ai 10.000€ e sono previste solo per i clienti. Le prostitute, invece, sono considerate vittime, non solo degli sfruttatori, ma anche dei clienti stessi.