Antropologia del seggio elettorale

I seggi elettorali sono da sempre un luogo preferenziale per l’osservazione della natura umana.

Antropologia del seggio elettorale

I seggi elettorali sono da sempre un luogo preferenziale per l’osservazione della natura umana. Nell’epoca dell’iperconnessione, le operazioni di voto mantengono ancora una fisicità pre-industriale ben definita, fatta di banchi di scuola, scatole di cartone, registri e matite. Non solo: costringono a uscire di casa, rappresentando di fatto una delle poche occasioni rimaste di autentica aggregazione — tanto più interessante in quanto forzata — tra gli abitanti dello stesso quartiere.



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Così, chi si trova a svolgere le mansioni di scrutatore o presidente di seggio, con quel misto di riverenza verso gli ingranaggi della macchina democratica, senso del dovere e pigra intenzione di tirar su qualche soldo con una giornata di lavoro, vede spiegarsi davanti a sé un campionario umano abbastanza rappresentativo da indurre considerazioni filosofico–esistenziali, anche senza scomodare Italo Calvino.

Tra poliziotti con dubbio senso dell’umorismo, rappresentanti di lista che si sforzano di ostentare simpatia, elettori disadattati e presidenti di seggio ansiogeni, alcune categorie sono particolarmente degne di nota e meritano di essere studiate nel dettaglio.

Le suore

Se avete la fortuna di essere assegnati ai seggi “speciali” che raccolgono nelle proprie liste le ferventi abitanti di conventi e monasteri, assisterete ad un fenomeno del tutto singolare. Alle sette meno dieci — ancora prima dell’apertura del seggio — sono già in pole position per entrare. Come un flusso magmatico si fanno strada dentro alle cabine, lente ma inesorabili. Si muovono a branchi, sostenendosi l’un l’altra. Al più tardi, alle otto è tutto finito: rientro con passeggiata, preghiera del mattino e tanti saluti. Di solito sono cordiali e commentano lo scenario politico con immancabili appelli al cielo. Età media: rasente il secolo.

L’inesperto

L’inesperto ha appena compiuto diciotto anni e si sente addosso tutto il peso della responsabilità di questo suo primo voto. È impacciato e un po’ intimidito dalla formalità dell’atto che sta per compiere e chiede conferma per tutto per paura di sbagliare. “Va bene la carta d’identità come documento?” “Devo firmare qualcosa?” “È questa la tessera elettorale?” “Devo entrare qui?” “Ho fatto. Posso uscire?”

È tenerissimo.

Lo scrutatore kantiano

Lo scrutatore kantiano fa di tutto per ostentare professionalità e rimarcare il proprio essere super partes: animato da un altissimo senso delle istituzioni, di cui si sente garante ultimo, neutralizza con prontezza qualsiasi commento schierato del resto della crew che possa anche involontariamente violare la sacralità del silenzio elettorale. Per metterlo in difficoltà: schiaritevi la gola, proferite un “eh, beh, comunque…” come a voler cominciare un’argomentazione politica – non la passerete liscia. I suoi acerrimi nemici: i santini elettorali, i telefoni cellulari in cabina, i “quando c’era Silvio…”.

Il ritardatario indignato

Il ritardatario arriva verso le 22.50, a dieci minuti dalla chiusura. A quell’ora l’intera crew del seggio è di solito stremata dalla noia e dalle ore di convivenza forzata. “Ciao, scusate per l’orario, eh! Però con una giornata così non si poteva certo rimanere a Milano!” dice entrando con il borsoncino da weekend e un visibile segno di abbronzatura a forma di mascherina da sci. “Certo che ogni volta è sempre peggio, eh! Voi cosa dite? Io sono venuto a votare ma non so proprio più a cosa serva!” Documenti, cellulare, entra in cabina. “(da dentro la cabina) Ehhh, dove andremo a finire! Chi lo sa, chi lo sa! Certo che sono proprio tutti uguali…” Esce, riprende le sue cose. “Beh dai, comunque meno male che ci sono dei bravi ragazzi giovani come voi, che stanno qui tutto il giorno, anche quando fuori è una giornata stupenda, per permetterci di votare. Bravi, eh, bravi.”

Il vecchio doverista

Tra le tante categorie di anziani e personaggi variamente decrepiti che si palesano ai seggi durante le occasioni di esercizio della democrazia non manca mai l’immarcescibile vecchio doverista. Egli è colui che ha sempre votato, contro ogni avversità, in qualunque condizione fisica e psicologica della vita e mai rinuncerebbe a questo suo diritto-dovere. E nonostante i suoi novantasette anni inforca il braccio della badante e veleggia senza timore verso la cabina. Certo, può capitare che un principio di senilità lo conduca ad indugiare per minuti interi cercando di ricordare cosa aveva deciso di votare o sforzandosi di leggere (senza occhiali e a voce alta, ovviamente) il foglietto sul quale si è precedentemente fatto annotare l’indicazione di voto. Può capitare anche che, colto da dubbi esistenziali, si intrattenga in un drammatico gioco fuori-dentro la cabina sventolando la scheda e chiedendo (sempre a voce alta, chiaramente) “Qual era il simbolo?” scatenando il panico negli occhi del Presidente. Ma al vecchio doverista si perdona tutto, e lo si saluta sempre con il sorriso.

Il presidente contabile

Non tutti sanno che cosa realmente succede dietro le quinte del seggio, quando dopo le 23 si chiudono ufficialmente le operazioni di voto. Lo scrutinio è una procedura complessa e delicata, dove l’errore umano è sempre in agguato. Il momento più drammatico: il conteggio finale delle schede, il cui numero deve corrispondere a quello dei votanti effettivi — una circostanza che quasi mai si presenta. Quando la crisi di nervi sta per prendere il sopravvento sui presenti, il presidente contabile, paladino degli scrutatori, brandisce eroicamente al cielo la propria calcolatrice tascabile e, a colpi di intuizioni algebriche degne di Carl Gauss, fa tornare magicamente i conti. Amato da carabinieri e rappresentanti dell’ufficio elettorale, è la vera colonna su cui si regge l’istituzione democratica delle elezioni. È grazie a lui che si può pronunciare il lieto fine di una giornata interminabile e fare finalmente ritorno a casa.