Childish Gambino, “Awaken, My Love!”

“Awaken, My Love!” è come suona l’R&B del Ventunesimo secolo: consacrazione di un sound che è ritornato al mainstream proprio passando dalla finestra dell’hip-hop.

Childish Gambino, “Awaken, My Love!”

A distanza di due anni dal suo ultimo album Kauai, è uscito oggi “Awaken, My Love!”, l’ultima produzione del poliedrico artista Donald Glover — in arte Childish Gambino.

Glover aveva già messo le cose in chiaro nei mesi precedenti con le pre-release dei singoli Me and Your Mama e Redbone: non aspettatevi un album rap. E così è stato. Awaken, My Love! è un album vocale e studiato, in cui l’alter ego Childish Gambino infonde un sincero omaggio alla storia della musica afro degli anni ‘70. Siamo lontani dall’aggressività di Camp (con cui aveva ingiustamente guadagnato un 1.6 su Pitchfork) o because of the internet — di cui resta però un certo gusto teatrale. Le tipiche bars dell’hip-hop sono sostituite da testi meno verbosi e più lirici, accompagnati da basi strumentali calde, ben integrate nei brani.

È l’ultima tappa di un percorso di self-awareness da parte di Donald Glover, un artista alla ricerca del proprio io attraverso l’analisi della cultura afroamericana. Con la produzione della serie Atlanta — una delle rivelazioni televisive del 2016 — si era addentrato nelle dinamiche della scena hip-hop nelle contraddizioni sociali dell’America di passaggio tra Obama e Trump. Le riflessioni sul rap e sull’industria musicale contemporanea non potevano che portarlo verso la culla del genere: il funk.

“Awaken, My Love!” è come suona l’R&B del Ventunesimo secolo: consacrazione di un sound che è ritornato al mainstream proprio passando dalla finestra dell’hip-hop, grazie al lavoro dei vari Kamasi Washington, Kendrick Lamar o recentemente soprattutto Anderson .Paak. A tratti sembra di ascoltare un disco di Sly Stone, di Curtis Mayfield, dei Funkadelic — Have Some Love è praticamente un re-work di Can You Get To That — e guarda caso il vecchio George Clinton figura tra i collaboratori.

Il 2016 segna la raggiunta maturità artistica di Donald Glover, poco conosciuto in Italia e poco rispettato in America, ma che ha dimostrato negli ultimi anni di poter navigare da solo e con successo in un’industria musicale dominata da nomi come Drake e Kanye West. Ed è proprio la scelta di non scendere a compromessi, ma anzi di affidarsi a un’autenticità storica, che premia il suo lavoro.