in collaborazione con ASSP Milano
di Paola Lo Bue Oddo
C’è una storia che continua ai margini della cronaca politica degli ultimi anni: è un lento distaccamento tra le posizioni politiche dei leader — europei e mondiali — e il sentimento popolare, sempre più vittima di retoriche facili, nazionaliste, scosse dall’odio. Se fino a pochi anni fa un’ondata nazionalista ed euroscettica sembrava un incubo per fortuna impossibile, oggi è una realtà con cui i leader europei devono fare i conti.
Sembra, in sostanza, che non si riescano più a capire i veri interessi e le priorità della popolazione. Questo scollamento è raffigurato in modo eccellente da una citazione del capo negoziatore del Parlamento Europeo per la Brexit, che affermò quattro mesi prima del referendum britannico: “Brexit non avverrà mai. Gli inglesi non sono così stupidi da rinunciare alla loro cittadinanza europea.”
Dagli inglesi che hanno votato Leave ai cittadini dei quattro paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria), il sentimento antieuropeista cresce senza mai arrestarsi, e se si vuole anche solo provare a invertire la tendenza è necessario capire perché — non necessariamente perché si possa, o si debbano assecondare, ma per analizzare dove le politiche e la comunicazione europea possano migliorare.
Innanzitutto va considerato il problema dell’immigrazione. Nell’ultimo anno e mezzo la Germania è stata la nazione più disposta ad accogliere rifugiati tra i Paesi dell’Unione Europea. Lo slogan di Angela Merkel, infatti, era “Wir schaffen das,” ce la possiamo fare. Ma un semplice sguardo ai sondaggi di YouGov Poll mostra che il 66% dei tedeschi non concordano con questo motto.
Influenzati da informazione parziale e retorica razzista proposta anche da partiti che si presentano come moderati, secondo molti cittadini dell’Unione Europea immigrazione e terrorismo sono due problemi connessi, nonostante i principali attacchi terroristici compiuti su suolo europeo non siano stati commessi da rifugiati.
Non è quindi sorprendente che Alternative für Deutschland, un partito di estrema destra, stia cominciando ad avvicinarsi nei sondaggi al partito di Angela Merkel, come dimostrato da studi statistici fatti dall’Insa Institute. “L’ultima difenditrice della democrazia” come viene chiamata, dovrà stare particolarmente attenta a non cadere come David Cameron, Barack Obama e forse Matteo Renzi o Francois Hollande.
Si dovrebbe prestare particolare attenzione anche all’Ungheria, uno dei quattro membri del Gruppo di Višegrad, un’alleanza di quattro Stati del Centro Europa che si impone come un blocco ostile e quasi permanente a un’integrazione più stretta fra i Paesi dell’Unione Europea. Infatti recentemente è stato condotto un referendum che mirava a determinare se l’Ungheria potesse scegliere la propria quota di migranti e non averla imposta dall’Unione Europea. Il 98.36% degli ungheresi hanno votato a favore di scegliere la propria quota di migranti ― tuttavia il quorum del 44% non fu raggiunto e il referendum non passò. Va anche tenuto presente che, malgrado la sua posizione frontaliera, i numeri di immigrati che raggiungono l’Ungheria sono irrisori, se si dovesse operare davvero su scala subcontinentale.
Un secondo problema fondamentale è l’economia, la povertà e la mancanza di lavoro per i giovani. L’Italia è in prima fila su questo fronte, con l’11% della popolazione senza lavoro, il 40% di giovani disoccupati e almeno 107 mila giovani emigrati dall’Italia nel 2016 per trovare lavoro all’estero.
Molti euroscettici Italiani credono che l’Unione Europea non faccia altro che dettare al governo Renzi cosa fare e quali misure prendere come tagliare la spesa pubblica e far entrare più immigrati.
Ci si aspetta ad esempio la vittoria del No nel referendum Italiano del 4 dicembre. Vittoria che il partito euroscettico di Matteo Salvini adorerebbe, come dimostrato dal suo nuovo cappello da baseball blu, simile al cappello da baseball rosso del suo idolo Donald Trump (che, c’è da ricordare nega averlo incontrato, contrariamente a ciò che dice il segretario federale della Lega Nord) con scritto sopra “Io voto No”. Oppure potremmo immaginare la vittoria del partito euroscettico di Marine le Pen nelle elezioni francesi di maggio, la quale ha paragonato l’Unione Europea a un polpo mostruoso.
Ci potremmo aspettare anche un’ulteriore crisi scatenata da Erdogan, che ha una relazione tira e molla con l’Unione Europea, talvolta manifestando il desiderio di diventarne membro e altre volte convinto che Turchia e Europa seguiranno strade diverse.
Ma cosa fare allora? Come rispondere all’elettorato che sempre più spesso abbraccia le politiche di razzismo in tutti i Paesi dell’Unione?
Molti politici credono di poter carpire qualche freccia dalla faretra del populismo, come sembra voglia fare Merkel per il prossimo programma elettorale, ma si tratta di idee pericolose, che è impossibile attuare senza allargarsi verso le altre idee disumane dei partiti dell’odio.
Serve quindi comunicare in maniera più efficace con i giovani e non deridere o ignorare oppositori che possono diventare una seria minaccia, o gli europei si butterano su alternative drammatiche. Commenti come quello di Guy Verhofstadt, il presidente del gruppo Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa che è essenzialmente un mix fra eurodeputati centristi e liberal-sociali, dimostrano una chiara incomprensione della gravità dei problemi dell’Unione Europea, come rispecchiato dal suo Tweet “Un clown a Washington è più che sufficiente, non ce ne servono altri” in risposta al suggerimento del Presidente eletto Donald Trump di rendere Nigel Farage ambasciatore del Regno Unito per gli Stati Uniti.
Un terzo problema è l’incapacità da parte dell’Unione Europea di dimostrarsi utile a livello nazionale. Il presidente dimissionario del Parlamento Europeo, Martin Schulz, lo ha capito bene quando ha affermato che si doveva rafforzare l’idea di un’Europa unita, motivo per il quale affermò che non aveva intenzione di candidarsi per un ulteriore periodo alla guida del Parlamento e che sarebbe ritornato in Germania per contestare la leadership di Angela Merkel.
In effetti, come dimostrato da un video YouTube che cercava di incoraggiare gli inglesi a votare Leave per il referendum, la maggior parte degli inglesi intervistati non aveva idea di chi fossero i leader dell’Unione Europea. Mostrate loro parecchie foto, seppero riconoscere il volto dei loro politici, di attori, cantanti e così via, ma non seppero individuare alcun volto dei leaders europei. Questo dimostra un grave problema a livello nazionale: se gli Europei non sanno neanche chi sta dirigendo l’Unione Europea come ci si può aspettare che siano a favore di questo progetto?
Iniziative come quella del 15 settembre 2016, il cosiddetto #AskJuncker dove tre giovani YouTuber ebbero l’opportunità di discutere faccia a faccia col Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, in un live di Euronews, rappresentano tentativi abbastanza maldestri per avvicinare i giovani ad un’Unione Europea moderna ma restano un buon punto di partenza. Le star di YouTube avevano ricostruito in sala un set che rievocasse il loro salone o camera da letto — probabilmente nel tentativo di attrarre i loro tradizionali follower a seguire l’intervista, malgrado l’argomento fosse diverso dai loro quotidiani.
L’evento è stato un successo a metà, con buone domande, discrete risposte, e molte tensioni dietro le quinte — ma testimonia quantomeno la volontà di aprire la politica europea a un nuovo pubblico e a nuove politiche.