Semplicemente Marassi Intervista con gli Ex-Otago

Sono tornati gli Ex-Otago e sono tornati con un disco bellissimo. In occasione della data di Milano, terza tappa di un tour che arriverà in tutta Italia, li abbiamo incontrati durante il soundcheck.

Semplicemente Marassi Intervista con gli Ex-Otago

Sono tornati gli Ex-Otago e sono tornati con un disco bellissimo. In occasione della data di Milano, terza tappa di un tour che arriverà in tutta Italia, li abbiamo incontrati durante il soundcheck.

Marassi — nome dell’ultimo album del gruppo ma anche del quartiere di Genova in cui sono nati e cresciuti — è un disco pop, da ballare, che ti fa venire voglia di prendere il primo treno per Genova. Ma è anche un disco intimo e autentico.

The Submarine: Siete felici?
Maurizio: Beh, sì per forza. Come non esserlo? Felici e molto, molto stanchi. (I ragazzi arrivano dalle prime due date del tour, Roma e Bologna e hanno fatto sold out, ndr).

Dopo essere andati “In capo al mondo” con l’album precedente, com’è stato tornare a Marassi? Che rapporto avete con la vostra città?
M: Più che tornare a Marassi è stato un vero e proprio fermarsi. Dopo tutti i giri che abbiamo fatto “In capo al mondo”, un po’ per poca benzina, un po’ perché Olmo aveva nostalgia di casa, a Buccinasco abbiamo deciso di tornare indietro. Avevamo bisogno di scrivere di concretezza e Marassi effettivamente è un bel testimonial. Questo quartiere ritrae molto bene il presente, proprio perché è un posto in cui non c’è nulla di cui stupirsi, non c’è movida, non ci sono locali dedicati alla cultura, è un posto dove si va in palestra, dove si vive la quotidianità più estrema.

Olmo: Un quartiere come tanti ed è una cosa quanto mai contemporanea, specialmente in Italia, spesso e volentieri si dice che il nostro Paese è fatto di cose eccezionali, è vero ma ci sono anche tante realtà così, davvero comuni: la provincia italica.

Infatti siamo abituati a sentir parlare di Milano e Roma, ma adesso sembra quasi che realtà più piccole — come Marassi — abbiano molto da dire. Come mai?
M: Sono luoghi molto meno trattati, stupiscono un po’ di più.

Guardando il video di “Quando sono con te” ho pensato che Marassi deve essere un posto pieno di poesia. Mi sbaglio?
M: Assolutamente no! Un posto così fa accadere delle cose. Marassi è qualcosa di semplice e comune, se ci poni l’amore dentro sboccia e regala emozioni.

Genova ha già dato tanto, c’è una forte tradizione, da De André a Tenco. La scuola genovese la conosciamo, ma Marassi che cos’è?
M: Non oserei dire che è la continuazione, non arriviamo a tanto, però sicuramente dobbiamo dire che abbiamo molto attinto da quella scuola. Tutti siamo andati a scuola e noi siamo andati a quella di De André. Però c’è anche una gran voglia di lanciarsi, di guardare il presente, di trovare altri punti di vista, di investire su quello che potrà essere un futuro possibile. E anche simbolicamente Marassi è un posto che non è mai stato trattato, si è sempre parlato di vicoli, del centro storico, di Genova: nessuno mai avrebbe sognato di parlare di Marassi, così ci abbiamo pensato noi.

Nonostante sia un disco all’apparenza abbastanza diverso, certi temi rimangono sempre, come una certa l’attenzione per il sociale: “I giovani d’oggi” sembra quasi uno sfogo, è una situazione comune a tutti, ma com’è essere un giovane d’oggi per voi che fate musica?
Francesco: Ci siamo accorti di essere in una fase di mezzo, di transizione: da alcuni siamo visti come giovani da altri no. Tu ci vedi già come vecchi, uva passa. È una condizione grazie a cui percepisci un po’ meglio le cose. Sei un po’ vittima e un po’ carnefice. Siamo abituati sentirci dire: “eh voi giovani, così immaturi” però allo stesso tempo a volte ci sorprendiamo a fare dei pensieri come “hey guarda che smidollati questi ragazzini, non valgono niente”. Forse, quando ci si sente dire la frase: “fidati di me che ci sono passato” bisognerebbe semplicemente avere il coraggio di rispondere “no tranquillo, mi fido, ma ci voglio passare io”. Insomma, bisognerebbe lasciare a questi giovani — chiunque essi siano —  la possibilità di sbagliare.

Quando ci si sente dire la frase: “fidati di me che ci sono passato” bisognerebbe semplicemente avere il coraggio di rispondere “no tranquillo, mi fido, ma ci voglio passare io”.

M: Per riallacciarmi alle tue parole, credo che sia un disco diverso dagli altri come gli altri erano diversi da quelli di prima. Noi amiamo molto il cambiamento, lo cerchiamo, lo corteggiamo. Crediamo che il cambiamento sia il figlio di una qualche compressione, come le spugne: se le imbottisci d’acqua cambiano forma e anche noi speriamo di assorbire le cose e poi tramutarle in canzoni. Quindi crediamo molto che i dischi che verranno saranno diversi da quelli prima ancora.

Nel rapporto testi e musica: cosa nasce prima? Cosa ispira cosa?
M: Non abbiamo una regola fissa, i testi li scrivo io, la musica la scriviamo un po’ tutti. Ci è capitato di scrivere canzoni partendo dal testo, altre volte partendo dal tema, da un ritornello, da un giro di chitarra. Abbiamo un approccio estremamente libero.
F: Non abbiamo un metodo, anzi.
M: Cioè questo è il metodo: l’improvvisazione.
O: Siamo molto orgogliosamente naif, da questo punto di vista. Per non dire cazzoni!

Dal mondo a Marassi. Vi sembra un disco più intimista e introspettivo?
F: Il viaggio in capo al mondo, come dicevamo, era finito a Buccinasco. Quando vai, fai, esplori e provi ad arrivare in capo al mondo poi c’è sempre voglia di casa. Sarebbe bellissimo fare come fanno i nostri amici del Sud: mettere la sedia sullo zerbino, fuori casa e guardare quello che succede; purtroppo a Genova non capita. Ma questo è un po’ quello che abbiamo fatto noi con Marassi.

E, forse paradossalmente, questo sembra raggiungere un sacco di gente.
M: Eh, effettivamente tutta questa popolarità ci ha un po’ dato alla testa!
F: Tu pensa che Olmo non può più andare a fare la spesa!
O: All’autogrill non possiamo più prendere la rustichella e il cappuccio perché se no ci fermano!
M: A parte gli scherzi, la chiave di lettura è molto interessante. Forse non è così semplice, non è così comune parlare proprio delle cose semplici e comuni. Pensiamo sempre che le cose più belle siano lontane, che i sentimenti siano sempre irraggiungibili. A volte si scopre che le cose più belle accadono quando meno te le aspetti, davanti casa. O un mercoledì mattina. Per cui chi ha il coraggio o la voglia di toccare questi argomenti spesso adesso ci prende.

Pensate sia un momento di svolta nella vostra scena musicale? Qualcosa sta cambiando?
F: Ci piace molto poter dire che si stanno un po’ infrangendo le barriere tra l’Indie e il Mainstream, spesso sono definizioni più giornalistiche che effettive e spesso affermare “sono un gruppo indie” è un po’ arma per nascondersi. L’approccio indipendente è una questione, definire con etichette delle cose è un’altra. Noi diciamo fieramente di fare musica Pop. Perché questo significa essere trasversali. E quindi ben venga che anche la nostra musica passi attraverso i canali ufficiali: sarebbe bellissimo vedere artisti della scena di cui facciamo parte andare a Sanremo come Motta o i Thegiornalisti. Il fatto che continuino a passare in radio musica che fu indipendente, che fu indie non può che essere una cosa bella. Che sia semplicemente musica, che sia semplicemente Pop.
Simone: Tra l’altro hai parlato di scena Pop, che non si è mai sentito. Pop alternativo, diciamo. Perché è Pop pure Emma Marrone e anche Checco dei Modà.

E loro riempiono l’Alcatraz come l’altro giorno l’ha riempito Tommaso Paradiso.
F: l’Alcatraz l’hanno riempito i Thegiornalisti, però! (mi sgrida tra le risate, perché Paradiso è il cantante del gruppo)
M: Anche io, Maurizio Carucci, lo riempirò tra poco!

È da poco iniziato il tour. Prime impressioni su Roma e Bologna? Com’è andata?
F: Abbiamo spaccato! Completamente sold-out (titolo dell’ultimo album dei Thegiornalisti)
M: Anzi, modestamente sold out! È andata molto bene, molta gente è rimasta fuori e ci dispiace però torneremo in locali più grandi, tra cui magari l’Alcatraz. Anche per stasera i feedback sono estremamente positivi, vedremo cosa succede insomma.

Cosa ascoltate in furgone?
O: Non abbiamo un’autoradio! Non te l’aspettavi, ammettilo. I viaggi sono assolutamente noiosi, non abbiamo musica ma una cosa che va molto è il gioco degli aggettivi: si parte dalla prima sillaba e poi si continua.
M: Poi il tempo lo passiamo a prendere in giro Olmo, a picchiare Rachid (batterista del gruppo, arrivato da poco a suonare con gli otaghi)
Rachid: Essendo l’ultimo arrivato, mi tocca ahimè!
F: Ma in realtà quello che ascoltiamo è Olmo che traduce le canzoni in genovese!

Per chiudere, uno sguardo al futuro: un locale in cui vi piacerebbe suonare nel mondo, in Italia o dove volete?
S: Al Coachella!
R: Al Luigi Ferraris (stadio di Marassi, ndr)
M: Sì, allo stadio di Marassi. Riempiendolo, però!
F: Oppure prendiamo una chitarra e andiamo sugli spalti!

Finita l’intervista, Il serraglio si è riempito e Le Pinne hanno scaldato l’atmosfera suonando prima degli Ex-Otago. Tra il pubblico c’è Ghali a godersi il concerto e sul palco, a duettare sulle note di “Gli occhi della luna”, sale Jack la Furia. Tutto questo ad ulteriore dimostrazione di quanto ci è stato raccontato durante il soundcheck:

stanno crollando tutte le barriere tra i generi musicali, l’importante è avere qualcosa di interessante da raccontare, non importa come.

Gli otaghi sono le classiche persone con cui usciresti volentieri per una birra: la semplicità, ben diversa dal semplicismo, è il filo rosso che accomuna il quartiere, l’album e i ragazzi, e l’ingrediente neanche tanto segreto di questo meritato successo.