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Da ieri sta circolando l’ennesimo video che testimonia l’orrore quotidiano della guerra civile siriana — in particolare ad Aleppo, dove i bombardamenti delle forze governative di Assad (appoggiate dalla Russia) stanno praticamente radendo al suolo la parte est della città, controllata dai ribelli.

Il video risale a giovedì 17 novembre, dura pochi secondi e riprende un bambino terrorizzato, con forti difficoltà a respirare, appena sopravvissuto a un attacco aereo. Stando alla sua testimonianza, nell’attacco potrebbero essere state impiegate armi chimiche — gas cloro, sganciato da un elicottero.

Il tema ritorna così all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, mentre gli ultimi rapporti da Aleppo dicono che nella parte est della città non ci sono più ospedali in funzione: lo stesso ospedale in cui era ricoverato il bambino del video sarebbe stato colpito da un attacco aereo pochi giorni dopo.

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Ufficialmente la Siria ha distrutto interamente il proprio arsenale chimico — il terzo più grande del mondo, mai apertamente dichiarato prima di allora — adeguandosi a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del settembre 2013. Un anno prima, Barack Obama aveva parlato delle armi chimiche come di una “linea rossa,” che Assad non avrebbe potuto oltrepassare impunemente.

L’impiego di armi chimiche in una serie di attacchi nel corso del 2013 è stato poi dimostrato da due missioni di inchiesta parallele, guidate dall’ONU e dall’UNHCR. L’attacco più sanguinoso fu quello di Ghouta, ad agosto, con il gas sarin: la stima del numero di vittime varia da 281 a oltre 1700.

Il governo di Assad non ha mai riconosciuto la propria responsabilità — né in questo né in tutti gli altri casi in cui l’utilizzo di armi chimiche è stato accertato — ma la sua accondiscendenza alla distruzione dell’arsenale, iniziata alla fine dell’anno e conclusasi completamente soltanto all’inizio del 2016, permise di evitare la reazione militare statunitense, probabilmente mai voluta davvero ma data come imminente a fine agosto 2013.

Gli ultimi carichi di materiale chimico da distruggere (su un totale di 1200 tonnellate) furono consegnati all’OPCW — l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, di cui ora anche la Siria fa parte — a metà 2014, ma da allora non sono mancate denunce di ulteriori attacchi, tanto da far sospettare che il governo di Damasco abbia mantenuto segreto parte del proprio arsenale.

Un rapporto investigativo delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza, mantenuto confidenziale ma ripreso dalla stampa internazionale a fine agosto 2016, accusa esplicitamente il governo di Assad di aver utilizzato armi al cloro in almeno due attacchi nella provincia di Idlib, ad aprile 2014 e a marzo 2015: si tratta del primo accertamento di responsabilità — insieme a un attacco a base di gas mostarda perpetrato ad agosto 2015 dallo Stato Islamico a Marea — a fronte di più di 50 attacchi chimici riportati dall’inizio della guerra.

Quello che riguarda il cloro è un capitolo particolarmente importante, perché l’agente chimico, in virtù dei suoi numerosi utilizzi civili, non era incluso nell’accordo con l’OPCW: nulla obbligava Assad a sbarazzarsene, ma il suo eventuale impiego militare costituisce un crimine di guerra, vietato dalla Convenzione sulle armi chimiche. Per questo viene definito — insieme a molti altri elementi e composti — un elemento chimico “dual-use.”

Altamente tossico e più denso dell’aria quando si trova in forma gassosa, il cloro è stato usato come arma per la prima volta durante la Prima guerra mondiale. Gli effetti del cloro sul corpo riguardano soprattutto gli occhi e i polmoni, a cui può provocare danni permanenti, quando non conduce direttamente all’asfissia. Il suo utilizzo civile principale è come disinfettante dell’acqua — ma trova impiego anche nella fabbricazione di pesticidi e agenti sbiancanti. Per questo, nonostante alcune campagne ambientaliste portate avanti negli anni Novanta, è difficile pretendere una messa al bando radicale dei suoi derivati industriali.

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Ciò che si può fare — considerando anche la situazione di estrema confusione della guerra civile siriana, in cui spesso è difficile attribuire con certezza le  — è limitare il più possibile il rischio di proliferazione di armi chimiche basate su elementi dual-use, per esempio esercitando un più stretto controllo sulle esportazioni. Come si legge in un rapporto pubblicato dal Consorzio europeo per la non-proliferazione a gennaio 2014, “ci sono intrinseche difficoltà nel controllo del trasferimento internazionale di prodotti chimici. […] Dopo che beni dual-use hanno lasciato l’Unione Europea, è difficile, se non impossibile, effettuare una supervisione sul loro uso.”