Dietro le mura dello Scalo Farini

Lo Scalo Farini, tra Isola e il Cimitero Monumentale, da solo occupa circa la metà dell’intera superficie occupata dagli scali di Milano.

Dietro le mura dello Scalo Farini

In queste ultime settimane abbiamo parlato spesso degli scali ferroviari milanesi. L’amministrazione cittadina deve decidere il futuro di questi relitti di un’epoca industriale ormai tramontata, che occupano superfici notevoli di terreno nel bel mezzo di Milano, utilizzabile in molti modi più adatti alla città degli ultimi anni.

Il più noto — e il più grande — tra questi spazi è lo Scalo Farini, che si trova grossomodo tra Isola e il Cimitero Monumentale. Da solo occupa circa la metà dell’intera superficie occupata dagli scali di Milano, trovandosi tra l’altro in una zona interessata da un notevole rinnovamento urbanistico.

Grazie a Città Nascosta Milano, un’organizzazione che si occupa di promuovere la scoperta degli angoli più interessanti e sottovalutati del capoluogo lombardo, siamo stati in grado di entrare di persona all’interno dello Scalo Farini e osservare coi nostri occhi cosa c’è dietro le lunghissime mura di cinta della struttura.

foto di Giacomo Ravetta

Abbiamo scoperto che non c’è praticamente niente.

Lo Scalo Farini, o quel che ne resta, è quasi esclusivamente un’immensa spianata di asfalto in via di sgretolamento che si estende per centinaia di metri quadrati, in cui si possono vedere dei vecchi binari arrugginiti e abbandonati incastonati all’interno del cemento stesso.

Vorremmo mostrarvi direttamente quanto abbiamo osservato, ma purtroppo non è possibile: le Ferrovie dello Stato, proprietarie della struttura, hanno chiesto a Città Nascosta che non venissero scattate foto. Abbiamo scritto all’ufficio stampa dell’azienda pubblica per chiedere se fosse possibile richiedere un’esenzione dal divieto, ma non abbiamo ricevuto risposta.

foto di Giacomo Ravetta

Quando si entra dai cancelli rivolti verso via Valtellina la visione è allucinante, una via di mezzo tra una pista di atterraggio e il cortile di una gigantesca prigione, complice una torre d’illuminazione che sembra una guardina. La parte interna delle mura non si vede, nascosta com’è da una vegetazione che in certi punti è anche fitta e si sta impossessando di zone sempre più ampie della spianata.

L’unica struttura che rompe la piattezza della superficie all’interno dello scalo è un lungo capannone del primo novecento, di circa duecento metri e per la maggior parte semiabbandonato. I container venivano affiancati alle serrande dei vari slot in cui è diviso e riempiti con le merci. Oggi, di questi slot ne restano in funzione pochissimi, utilizzati dalle Poste e dalle FS.

Riusciamo a entrare in uno dei pochissimi magazzini in funzione, pieno di scatoloni pronti per la spedizione, ed è assurdamente piccolo se paragonato alla distesa appena fuori. Vorremmo provare a uscire dall’altra parte perché lo Scalo possiede un’altra sezione, ma non ci è consentito. I magazzini, ci spiega la guida, sono all’avanguardia per l’epoca in cui sono stati costruiti, visto che erano in cemento armato e non in legno come i suoi contemporanei.

La guida di Città Nascosta che ha fatto da Cicerone ci spiega che lo Scalo non ha mai davvero funzionato a pieno regime. Nonostante per costruirlo, alla fine degli anni ‘20, fosse stata investita una corposa somma di denaro, per varie ragioni strutturali e logistiche divenne rapidamente obsoleto ed è stato sempre sottoutilizzato, fino ad arrivare allo stato lunare in cui l’abbiamo trovato oggi.

Un container mezzo sfondato sta a dieci metri di distanza dal magazzino che abbiamo appena finito di visitare. Poco più in là, ci sono altri container arrugginiti e degli scooter delle Poste — forse gli unici mezzi di trasporto funzionanti qua dentro. Per il resto la presenza più vivace è quella dei cani di alcuni impiegati, che dormicchiano fuori dall’edificio. Lo scalo è immerso in un silenzio frusciante, rotto soltanto dal rumore di qualche treno in lontananza.

Ad un certo punto, l’attenzione della nostra piccola comitiva è catturata da due specie di pagode di vetro seminascoste dalla vegetazione, vicino al muro di cinta di via Aprica. Da lontano, non si riesce ad avere la minima idea di cosa siano e a cosa servono, ma ci basta guardare dentro per capire che sono i lucernari della stazione di Lancetti. Il passante, infatti, transita proprio qua sotto.

Finendo la visita, usciamo lasciando sulla nostra destra la dogana, una struttura che fa parte del complesso ferroviario ma non è inclusa nello Scalo Farini vero e proprio. Questa è attiva e sembra essere un pochino più animata — ci sono addirittura dei palazzi, palazzi nuovi. Il custode, nascosto nel grande e diroccato edificio di portineria, ci fa passare alzando una sbarra inutilmente elettronica.

L’Assessore Maran ha ricevuto solo qualche giorno fa l’incarico di trattare con FS il destino di questo e altri spazi abbandonati all’interno della rete ferroviaria milanese. Le Ferrovie sembrano essere piuttosto pigre all’idea di riqualificare lo Scalo Farini, e probabilmente sarà necessario un intervento del Governo per facilitare un accordo. Su the Submarine seguiremo gli sviluppi di questa lunga vicenda, che è lontana dalla conclusione.