Mahmoud Abu Zeid è un fotogiornalista egiziano di ventinove anni, noto con il nome di Shawkan.
Tre anni fa è stato arrestato e incarcerato dal governo di Abdel Fattah al-Sisi per aver scattato fotografie durante la repressione più sanguinosa della storia degli ultimi anni, avvenuta il 14 agosto 2013 a al Cairo.
Shawkan stava lavorando per l’agenzia londinese Demotix, per documentare il sit-in dei Fratelli Musulmani in piazza Rabaa al-Adaweya. Sit-in pacifico interrotto dall’esercito egiziano con violenza, causando la morte di oltre 800 persone – secondo l’Osservatorio sui Diritti Umani.
I Fratelli Musulmani sono considerati un’organizzazione terroristica dal governo di al-Sisi che ne ha arrestato centinaia di militanti e simpatizzanti, incluso Mohammed Morsi, ex presidente egiziano eletto dopo la Primavera Araba.
Morsi è stato condannato a morte per essere evaso dal carcere di Wadi Natrun, al Cairo, insieme ad altri esponenti dei Fratelli Musulmani. La condanna, avvenuta nel maggio 2015, è stata però revocata dalla Corte di Cassazione d’Egitto che, dopo aver accolto il ricorso di Morsi, ha ordinato un nuovo processo per l’ex presidente e per altri militanti della Fratellanza.
Shawkan è in carcere da tre anni, sotto inchiesta insieme a oltre 700 altri imputati.
Il primo novembre 2016 è stato disposto l’ennesimo rinvio del suo processo, previsto per il 19 novembre.
Il fotogiornalista ha fatto richiesta per la scarcerazione più volte per motivi di salute: infatti, ha contratto l’epatite C e non riceve le cure necessarie.
Le accuse per cui è stato incarcerato sono pretestuose. Si tratta di capi di imputazione come omicidio, tentato omicidio, adesione a un’organizzazione terroristica, tentativo di rovesciare il governo con l’utilizzo della forza, resistenza a pubblico ufficiale.
In realtà, Shawkan è stato arrestato dopo che le forze di sicurezza hanno capito che si trattava di un giornalista che stava fotografando un terribile atto di repressione da parte del governo di al-Sisi.
Abu Zeid scrive dal carcere che il 14 agosto 2013 sembrava di vivere in un film. “Mi sentivo come se fossimo in guerra. Pallottole, gas lacrimogeni, incendi, polizia, soldati e carri armati erano ovunque”.
Shawkan stava fotografando la situazione quando la polizia lo ha arrestato, legandogli le mani con un cavo di plastica che gli ha causato tagli profondi ai polsi. Poi è stato picchiato e frustato con delle cinghie, prima di essere portato a Tora Prison, il carcere più famoso al Cairo.
“Scattare fotografie non è un crimine” sostiene il fotogiornalista.
Il 27 ottobre di quest’anno il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ne ha richiesto il rilascio e il risarcimento, sostenendo che l’incarcerazione fosse arbitraria.
Nonostante ciò, il governo di al-Sisi non ha rilasciato Shawkan che vive in prigione ormai da oltre 1000 giorni.
Sono numerosi gli appelli a sostegno del fotogiornalista che ne richiedono l’immediato rilascio.
Amnesty International invita a firmare una lettera a favore di Shawkan, destinata al Ministro degli Interni egiziano, già compilata online.
“Caro Ministro Magdy Abde el-Ghaffar,
la sollecito a rilasciare immediatamente e incondizionatamente Mahmoud Abu Zeid, meglio conosciuto come Shawkan, facendone cadere tutte le accuse. Lui è un prigioniero di coscienza, detenuto solamente per il suo lavoro giornalistico.
Un fotogiornalista, stava facendo un servizio sul sit-in in piazza Rabaa al-Adaweya il 14 agosto 2013 al Cairo, quando le forze di sicurezza l’hanno trascinato via. Oltre 700 persone sono state uccise in questo sit-in. Oltre 1000 persone sono state uccise in tutto il paese quando polizia e ufficiali sono stati schierati per disperdere le proteste. Quando la polizia ha scoperto che Shawkan era un giornalista, l’ha arrestato. è stato detenuto per oltre tre anni, affrontando accuse inventate e ricevendo cure mediche non adeguate.
La prego di rilasciarlo senza ritardi.”
Ahmed Abu Seif è il fautore della campagna Free Shawkan che chiede la scarcerazione del fotogiornalista.
Abu Seif spiega che Shawkan ha saputo del ritardo del processo dai genitori, in quanto le condizioni a Tora Prison sono veramente terribili.
Alla famiglia di Shawkan è concesso fargli visita solo una volta a settimana. Questo putroppo non avviene sempre perché gli Abu Zeid vivono a 300 chilometri dalla capitale, a Sohag.
Abu Seif dichiara che la madre di Shawkan gli ha detto “sto perdendo mio figlio.”
Un’altra campagna di sostegno a Shawkan riporta continui aggiornamenti sulla situazione del fotogiornalista sulla pagina facebook Freedom for Shawkan.
Nel 2015 è stato indetto il Premio Fotogiornalistico Shakwan, in onore di Abu Zeid. Il premio contribuisce un’onorificenza ai cinque migliori scatti dell’anno di fotografi egiziani.
Quest’anno lo hanno vinto fotografie che documentano la morte di civili durante le dimostrazioni disperse con sanguinosa violenza, il funerale di un colonnello e le celebrazioni di tifosi di calcio.
In una lettera di Shawkan postata sulla pagina facebook, il fotogiornalista scrive “La disperazione è penetrata nei miei globuli rossi e reni, il mio cervello si rifiuta di dormire e il mio corpo suda di continuo. Perdere i sensi per pochi minuti è diventata un’abitudine quotidiana.”
E continua “Il mio corpo debole, pieno di malattie, è diventato incapace di sopportare la dura detenzione per due anni, senza alcuna colpa se non quella di portare la mia macchina fotografica alle sparatorie con neutralità e oggettività.”
Fra pochi giorni sarà reso noto il futuro di Shawkan, arrestato in un paese dove lavorare come giornalista è diventato quasi impossibile.