I Wayúu colombiani muoiono di sete ma il governo preferisce dare acqua alle miniere
Nel Nord della Colombia la minoranza Wayúu deve vivere con meno di un litro d’acqua al giorno, mentre la miniera Cerrejón ne usa 17 milioni solo per irrigare le strade su cui transitano i loro camion.
Si stima che in Colombia 22 su 46 milioni di abitanti soffrano in diversa misura la fame. Secondo le statistiche dell’ONU la fame cresce più rapidamente nel Paese sudamericano che nell’Africa subsahariana, detentrice del maggiore tasso di mortalità per denutrizione al mondo.
Circa il 12 per cento dei bambini sotto i cinque anni soffre di denutrizione cronica, ma la cifra si alza vertiginosamente se ci concentriamo sulla Guajira, il dipartimento più a Nord della Colombia abitato dalla maggiore etnia indigena del Paese, i Wayúu. Qui il 55 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà estrema, ma i dati più preoccupanti riguardano i più piccoli. I numeri forniti dal Dane – l’ISTAT colombiano – parlano di 4.151 bambini indigeni morti per denutrizione tra il 2008 e il 2013 e, secondo le stime degli attivisti, sono 37mila quelli che soffrono la fame.
La condizione dei Wayúu ha attirato l’attenzione internazionale, motivo per cui la Commissione Interamericana dei Diritti Umani nel dicembre del 2015 ha emesso una sentenza nella quale intima al governo colombiano di prendere misure urgenti per proteggere i bambini indigeni.
Allo stesso modo, la Corte Suprema colombiana ha richiesto al presidente Juan Manuel Santos di attuare un piano che velocizzi gli accessi della popolazione ad alimenti e acqua potabile. Ma i risultati tardano ad arrivare o non sono sufficienti, e in molti iniziano ad accusare il governo di assenteismo.
Possono essere molti i fattori che hanno ridotto i Wajúu in queste condizioni: il cambiamento climatico, la disoccupazione, il latifondismo, le monoculture, ma uno prevale su tutti, la mancanza d’acqua.
Possono essere molti i fattori che hanno ridotto i Wajúu in queste condizioni: il cambiamento climatico, la disoccupazione, il latifondismo, le monoculture, ma uno prevale su tutti, la mancanza d’acqua.
La Guajira è una piccola penisola separata dal resto della Colombia dalla Sierra Nevada de Santa Marta, in cui si trovano soltanto deserto e carbone. L’unica fonte d’acqua dolce che permetteva la sopravvivenza nella zona era il rio Ranchería, fino a quando non è stato deviato per servire la più grande miniera di carbone a cielo aperto al mondo, la Cerrejón.
Da allora nella Guajira una persona deve vivere con meno di un litro d’acqua al giorno, mentre la miniera nello stesso arco di tempo ne usa 17 milioni solo per irrigare le strade su cui transitano i loro camion.
La tragedia per la Guajira inizia negli anni Settanta, quando la crisi petrolifera mondiale porta le superpotenze alla ricerca di fonti di energia alternative che le svincolino dalla dipendenza dal Medio Oriente. Il carbone diventa quindi l’obbiettivo principale e la Guajira un pezzo fondamentale nel puzzle della politica energetica mondiale.
All’epoca le trattative con la comunità locale si sono giocate su una forte campagna mediatica dove la Cerrejón si presentava come portatrice di sviluppo e progresso per il popolo colombiano, in particolare per i Wayúu. Promettevano inoltre un’azione responsabile e sostenibile nei confronti del territorio, elemento che pubblicizzano ancora: sul sito ufficiale sotto lo slogan minería responsable scorrono le immagini di animali liberati e riportati nel loro habitat naturale — poco conta che più di 600mila persone vivano senza acqua.
Da quando nel 1985 è iniziata l’estrazione del carbone, il territorio è stato profondamente deturpato. La massiccia deforestazione ha portato all’esaurimento o alla contaminazione di quasi tutti i corsi d’acqua della zona, distruggendo poco alla volta l’economia agricola dei Wayúu. La deviazione del río Ranchería è stato il colpo di grazia che ha portato a dichiarare nel 2014 la Guajira in stato di emergenza.
Tuttavia, il governo in questi mesi ha discusso la deviazione del Bruno, uno dei pochi ruscelli rimasti, per poter estrarre le oltre 35 milioni di tonnellate di carbone che si trovano nel suo letto. Ha poi dato la sua approvazione alla Cerrejón, negando la correlazione tra le condizioni dei Wayúu e la miniera, ma dando piuttosto la colpa a eventi naturali come El Niño.
Così quella che dovrebbe essere la zona più ricca del Paese, almeno dal punto di vista energetico, è diventata la più povera senza che nessuno se ne assuma la responsabilità.
Il governo manda cibo e acqua, insufficienti, senza preoccuparsi di instaurare un dialogo sincero con la comunità locale, che chiede scuole e strutture adeguate per poter praticare la propria medicina tradizionale — sono numerosi i Wayúu che muoiono perché rifiutano di farsi curare dalla medicina occidentale, in cui non credono. Sono sempre più insistenti le voci che si alzano per chiedere dove siano finite le royalties in teoria destinate al popolo, ma che sembrano sparite nel nulla, mentre governo e multinazionali si arricchiscono sempre di più.
Sono significative quindi le parole di Héctor Ignacio Salah Zuleta, Vescovo della Riohacha – capoluogo della Guajira – che durante un’omelia ha denunciato come non siano la siccità o il crimine organizzato a uccidere i bambini, ma la corruzione.
Pur non potendo contare sul governo, il popolo non si ferma. C’è una giovane Wayúu, Remedios Uriana, che si è trasferita a Bogotá per poter pacificamente raccontare e spiegare le condizioni del suo popolo. Inoltre, ha fondato assieme ad altri leader indigeni il movimento Mantas Negras che lo scorso 11 maggio ha manifestato in plaza de Bolivar, nel centro di Bogotà, riempiendola di piccole simboliche bare. Più che di una protesta si è trattato di un momento di lutto collettivo che non ha mobilitato solo le comunità indigene ma anche il mondo culturale e artistico colombiano, nella speranza che la loro storia acquisisca visibilità agli occhi di tutti.