Ieri mattina, un Silvio Berlusconi riscopertosi radioamatore ha fulminato Parisi ai microfoni di Radio Anch’io.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti, Stefano Parisi è l’ultima nuova speranza del centrodestra, autore del miglior risultato elettorale dello schieramento negli ultimi anni: non ha perso troppo male contro Beppe Sala alle comunali di Milano. Dopo la sconfitta, portata con distinzione, Parisi ha deciso di indossare il mantello di salvatore e rifondatore del centrodestra italiano.
Sono tanti i meriti di Parisi:
- non aver perso troppo male, appunto;
- essere un personaggio non compromesso in scandali più vecchi della Terza Repubblica (facciamo finta per un attimo che esista);
- avere l’aspetto di una persona che si fa una doccia tutte le mattine;
- essere esperto nel dire cose terribilmente razziste senza scomporsi e senza indossare felpe con la scritta MILANO.
Insomma, Parisi ricopre all’interno del centrodestra la figura sistemica dell’anti–Salvini, da non confondersi con l’essere più “progressista,” o meno nemico degli stranieri — la battaglia di Parisi si combatte tutta sulla comunicazione e l’immagine della politica, e quindi è intrinsecamente persa in partenza.
La tensione tra Berlusconi, Salvini e Parisi è causata dalla situazione impossibile in cui si trova il centrodestra, schiacciato violentemente sul fronte liberista e ciellino dal Partito Democratico di Renzi e su quello popolare e populista dal Movimento 5 Stelle.
Parisi sembra più o meno convinto di essere in grado di poter guidare il centrodestra fuori dall’impasse mortifero, operando sostanzialmente una rifondazione di Forza Italia.
Il dubbio di Berlusconi, sollevato ancora in giornata, quando ha chiamato Renzi “l’unico leader politico in italia,” è che, sostanzialmente, Parisi non sia abbastanza carismatico per trascinare l’elettorato con sé — anche se è facile immaginare un successo elettorale strepitoso per il sosia del cattivo di Alias.
Sostanzialmente gli scenari futuri per il centrodestra sono tre:
- Aspettare al varco la vittoria del No, offrirsi come spalla di Renzi nell’inevitabile nuova maggioranza che si formerà dopo le sue – inevitabilmente rifiutate — dimissioni;
- Ricostruire un centrodestra: non moderato, ma “pragmatico” — è una parola che Parisi aveva speso anche a Milano, che evidentemente gli piace un sacco, e se queste sono le sue doti di comunicatore, tutto a posto.
- Gettarsi nelle braccia di Salvini e delle ruspe.
L’ultima opzione è particolarmente interessante, e sembra un piano di emergenza a cui Berlusconi non vuole in nessun modo rinunciare. Salvini garantisce alla coalizione di centrodestra appetibilità, in entrambe le direzioni, in caso di un secondo turno elettorale. Parisi non offre niente di allettante per gli elettori del Pd (che hanno già un Parisi più giovane, bello, e meno piagnucoloso — è Renzi), e tantomeno per gli elettori del M5S. I programmi elettorali di Salvini e Grillo sono diversissimi, per fortuna (nostra, di Paese che sarà presto governato dal partito di Grillo), ma i due politici condividono lo stesso linguaggio post–politico che ha garantito loro successo al di fuori dell’area moderata di Renzi.
Salvini in questo momento è anche l’unica carta del centrodestra in caso di deriva “trumpista” della politica europea. Nessun altro personaggio è ben disposto a sporcarsi le mani come lui, e in un momento in cui tutte le opzioni di cui sopra partono da un unico presupposto — l’ormai irrecuperabile marginalità del centrodestra “tradizionale” in Italia — è anche l’unico sbocco di crescita in cui Berlusconi sembra credere.
Ma per questa settimana, la prossima, e probabilmente per il governo di dicembre, Renzi resta il partito – non della nazione — più sicuro.