Non è Trump il prossimo presidente degli Stati Uniti
Non abbiamo dubbi che Trump delegherà, lascerà lavorare “chi ne sa piú di lui,” e si godrà i riflettori che solo l’uomo piú potente del mondo può pretendere.
Torniamo a una foto dell’altra notte, scattata quando iniziava a farsi chiaro che no, non era uno dei tanti avanti e indietro che si fanno durante uno spoglio dei voti: Trump stava vincendo un grande elettore dietro l’altro, ma sul suo volto c’è solo spazio per un misto di stanchezza, incredulità e male di vivere. Un vincitore, disfatto.
Al centro della foto, e della baldoria, il candidato vicepresidente Pence, la figlia Ivanka Trump, e suo marito, Jared Kushner.
Kushner, in particolare, è raggiante. Così felice da far sorridere: pugni chiusi per scaricare la tensione, denti di fuori, occhi chiusi per gustare l’endorfina.
Kushner è il punto su cui convergono gli interessi di Pence, garante del partito repubblicano all’interno dell’entourage dei Trump, e di Ivanka Trump, prima confidente e una delle poche persone genuinamente vicine a Donald Trump.
Donald Trump ha vissuto una vita da star, ed è relativamente facile tracciare un profilo psicologico dal suo comportamento pubblico. Poche caratteristiche sono piú chiare, della personalità di Trump, che la pigrizia. Trump odia lavorare, odia faticare, odia litigare. Come una persona il cui lavoro piú pesante sia stato fare la celebrità nel proprio show abbia deciso di incaricarsi di uno dei lavori piú stancanti al mondo, e certamente il piú stressante, resta un mistero.
Non abbiamo dubbi che Trump delegherà, lascerà lavorare “chi ne sa piú di lui,” e si godrà i riflettori che solo l’uomo piú potente del mondo può pretendere.
Dietro le quinte, insomma, ci sarà spazio per tanti imprenditori, intrallazzatori, falchi e generali — tra loro, re della giungla, Jared Kushner sarà, a tutti gli effetti, il presidente ombra dei prossimi quattro anni.
Kushner, A.B. in sociologià ad Harvard e M.B.A. alla New York University (due titoli incassati in parte anche grazie a due corpose donazioni del papà alle università, da due e tre milioni di dollari), gestisce le proprietà della compagnia di famiglia, la Kushner Companies, che il padre ha dovuto lasciare nel 2005, quando è stato condannato a un anno di prigione federale per evasione fiscale e per minacce a testimoni.
Non appena si è trovato alla guida delle imprese familiari, Kushner ha immediatamente investito pesantemente per ampliare il proprio “parco palazzi” e i possedimenti terrieri, e da allora ha speso piú di 7 miliardi di dollari.
È stato anche protagonista del takeover del settimanale New York Observer, che ha ristrutturato interamente attorno ad una aggressiva politica di click-bait quintuplicandone le visite mensili in poco piú di un anno. Observer sarebbe diventato poi uno dei 9 giornali a dichiarare il proprio supporto per Trump, potendo vantarsi così della compagnia di prestigiose riviste come The Crusader, il giornale del Ku Klux Klan.
I Kushner sono una famiglia di vecchia tradizione democratica, che hanno supportato con donazioni cospicue, seppur per la loro ricchezza minuscole, finché i democratici non hanno deciso di candidare candidati di colore.
Kushner torna a occuparsi in prima mano di politica lo scorso anno, quando decide di dedicarsi a tempo pieno alla campagna elettorale del suocero. Frutto dell’esperienza raccolta dirigendo l’Observer Media Group, Kushner ha riunito per Trump una squadra di cento start-upper, pubblicitari ed esperti di comunicazione sotto la bandiera di “Project Alamo,” prendendo in prestito il nome da Fort Alamo, da dove si scatenò la omonima Battaglia, chiave nella conquista del Texas nel contesto della guerra espansiva contro il Messico.
Tramite Project Alamo Kushner non ha solo curato la strategia digitale: il suo team ha scritto per Trump il programma elettorale, pennato tutti i discorsi del candidato, e curato i rapporti col GOP.
Dopo la fine dei rapporti tra Project Alamo e Corey Lewandowski, manesco direttore della campagna, che Kushner voleva cacciare da mesi e che si è di fatto cacciato da solo, Kushner è stato fondamentale per portare all’interno della campagna presidenziale Paul Manafort, già adviser di Reagan e Bush padre, ma soprattutto lobbysta per Viktor Yanukovych e per una discreta schiera di dittatori, dal filippino Ferdinand Marcos a Mobutu Seses Seko, e il generale della forza paramilitare per l’indipendenza dell’Angola Jonas Savimbi.
Cosa farà Kushner? Non lo sappiamo, ma è facile riassumere la sua filosofia politica con una dichiarazione rilasciata a Bloomberg Businessweek dopo la vittoria — tutto merito suo — alle primarie.
“Dopo le primarie abbiamo capito che dovevamo davvero schiacciare il pedale del gas e lanciare questa cosa ad un altro livello. (…) Ho chiesto a dei tipi della Silicon Valley — gente che si è convertita a veri fan di Trump, esperti in digital marketing — e ci hanno spiegato come ampliare i nostri orizzonti. In fondo, non c’è mica tanta differenza, tra la politica e gli altri tipi di marketing.”