Grecia: profughi costretti a prostituirsi per sopravvivere
Prostituirsi per sopravvivere. Questo è quello che succede in Grecia, a poca distanza dall’Italia.
Una settimana nei centri d’accoglienza profughi ad Atene e Salonicco: la quotidianità dei volontari, le vite dei migranti, le politiche della poca accoglienza — sono storie di porte chiuse.
di Carlotta Passerini
foto di Hans Leopold Helm e Carlotta Passerini
Per garantire la sicurezza e l’anonimato degli intervistati, tutti i nomi sono stati cambiati.
sesto giorno
Si calcola che negli ultimi mesi siano moltissimi i profughi minori siriani, afghani e iraniani costretti a prostituirsi nel quartiere a luci rosse di Atene. Il punto di incontro si chiama Sami’s Bar, in Fylis Street, mentre le prestazioni hanno luogo nel parco di Pedion tou Areos, il più grande della città, accanto alla stazione metropolitana di Victoria.
“Quella zona è molto pericolosa” ci dice un ragazzo locale “ci sono drogati, malintenzionati e prostituti.”
“La sera è meglio non andarci” prosegue.
Victoria Square è una delle tante zone abbandonate e in degrado di Atene. Il Paese, infatti, da quando è iniziata la crisi, non riesce più a controllare tutto il territorio, e sono frequenti aree del genere.
Si calcola che il 40% dei profughi arrivati in Grecia nel 2016 siano minori di cui 1200 non accompagnati. Questi dati, tuttavia, rappresentano solamente i ragazzi che una volta sbarcati hanno deciso di registrarsi, lasciando le impronte digitali. Altri, per paura, non si sono fatti identificare e vivono invisibili nelle città greche.
I minori non hanno soldi e sono bloccati in Grecia per la chiusura dei confini. Non possono proseguire il loro viaggio e non trovano lavoro a causa della crisi che travolge il Paese da anni. Le alternative per racimolare qualche soldo rimangono attività illegali, come spaccio, prostituzione e lavorare per gli scafisti di terra. I minori prostituti, quindi, rappresentano una sorta di effetto collaterale della crisi economica europea che ha messo la Grecia in ginocchio.
Moltissimi ragazzi iniziano a prostituirsi pochi giorni dopo essere arrivati al porto del Pireo dalle isole. Molti di loro vivono attorno all’Olympic Complex, il complesso costruito per ospitare le Olimpiadi di Atene ormai abbandonato, e nell’aeroporto in disuso, dove le condizioni di vita sono estremamente precarie. “Docce fredde, bagni chimici e poco cibo” ci spiega Jawaz, un ragazzo afghano che incontriamo di fronte all’Ellenikon Airport.
I ragazzi che intendono vendere il proprio corpo sanno che devono recarsi al parco Pedion tou Areos, dove un gruppo di migranti di origine irachena e marocchina gestisce il giro della prostituzione. Una volta assoldati aspettano sulle panchine che uomini più grandi, spesso anziani, si avvicinino. I clienti si siedono accanto a loro e domandano il costo della prestazione.
Il tariffario è contrattabile e varia dai 30 ai 10 euro, ma alcune prestazioni vengono pagate anche soltanto 2 euro. I ragazzi più piccoli e i più belli sono pagati di più e solitamente vengono portati in camere di albergo attorno a Victoria Square.
La maggior parte di loro viene dall’Afghanistan, ha solitamente quindici o sedici anni e molti non parlano inglese. Quasi tutti non hanno mai avuto rapporti e non conoscono l’educazione sessuale. Molti non usano preservativi e non sanno che ciò può avere conseguenze terribili per quanto riguarda la trasmissione di malattie infettive.
Altri, per fortuna, utilizzano i condom, e infatti nella zona del parco dove hanno luogo le prestazioni sessuali si possono trovare molti preservativi usati. A Pedion tou Areos c’è una zona protetta, una piccola radura nascosta da una staccionata e cespugli in cui c’è abbastanza spazio per sdraiarsi. A terra moltissimi rifiuti fra cui lattine, bottiglie, confezioni di preservativi. Un vero e proprio bordello all’aria aperta.
Public Radio International è riuscita a raccogliere la testimonianza di Abdullah, un giovane profugo iraniano di soli diciannove anni che si prostituisce.
“Non c’era altro modo per me” dice Abdullah. “Non avevo neanche venti centesimi in tasca”.
Il ragazzo ha iniziato a prostituirsi due settimane dopo essere arrivato ad Atene. Vive all’interno dell’ex Olympic Complex, con altri 4000 migranti prevalentemente di nazionalità afghana.
“La disperazione porta anche ad accettare cifre irrisorie in cambio di un rapporto” dice Abdullah.
“Molti ragazzi si vergognano. Per questo non chiedono soldi prima della prestazione, ma li domandano alla fine. E molte volte i clienti ne approfittano e non pagano.”
La prostituzione in Grecia non è una novità. È legale all’interno dei cosiddetti “brothels”, specifiche aree lontane da scuole e luoghi di culto. Nonostante ciò, molte persone la praticano per le strade e nei parchi. Neanche il fatto che siano i migranti a prostituirsi, però, rappresenta una novità: infatti, la migrazione “classica” di persone provenienti dai Balcani e di Pakistani ha creato un mercato per questo tipo di attività ormai da anni.
Ora, però, la situazione è diversa. I profughi costretti a prostituirsi in Grecia fanno parte della nuova ondata migratoria e provengono principalmente da Siria, Afghanistan e Iran.
I confini con l’Albania, la Macedonia e la Bulgaria sono chiusi e i migranti non riescono ad arrivare nel Nord Europa, loro destinazione finale, rimanendo bloccati in Grecia.
I profughi afghani e iraniani, inoltre, non vengono considerati rifugiati, ma migranti economici e per loro è ancora più difficile passare. Non hanno soldi, e se li hanno li spendono cercando in ogni modo di oltrepassare i confini, affidandosi a trafficanti che poche volte mantengono le loro promesse.
La prostituzione, per questo, resta una alternativa.