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Intervista con Zoya Phan, attivista politica Karen in Birmania.
in collaborazione con ASSP Milano
di Paola Lo Bue Oddo


Vederla in una grande aula universitaria, piccola e silenziosa, con le mani ferme poggiate sulla sua gonna, infonde un senso di serenità e dignità. Phan ci parla di due Birmanie, la Birmania che mostra la faccia al mondo esterno e la Birmania nella quale gli innocenti sono ammazzati e i colpevoli non sono puniti.

Il popolo di Phan, i Karen, sono una minoranza etnica stanziata nel sud della Birmania, vittima di ripetute persecuzioni e stermini da parte del regime militare centrale del Paese.

Questa è la Birmania che Phan conosce e dalla quale è fuggita, quando è stata inserita nella “hit list” dell’esercito burmese.

Sin dalla sua nascita Phan fu esposta al pericolo; sua madre era una soldatessa ribelle e il padre un leader inneggiante alla democrazia. Il nome datole era quello di un’eroina russa morta mentre combatteva i Nazisti.

Il villaggio nel quale viveva Phan, Manerplaw, si trova nello Stato Karen a sud della Birmania, vicino alla Thailandia, dove vivono la maggior parte dei Karen. Verso la fine dell’era coloniale, gli inglesi lasciarono la Birmania e permisero al popolo Karen di appropriarsi di questa piccola regione che oggi conta più di 1 milione di persone. La costituzione del 1947 della Birmania permetteva ai piccoli stati di separarsi dalla “Union” ovvero la Birmania, dopo un periodo di dieci anni, ma il popolo Karen, non soddisfatto, cominciò presto a lottare per l’indipendenza.  

Il governo burmese ha sempre cercato di distruggere lo stato Karen e a causa di questi conflitti fra governo e indipendentisti, meno del 10% degli studenti Karen che frequentano la scuola elementare arrivano al liceo. Ci sono solo 700 posti letti negli ospedali dello stato Karen. Scuole e ospedali sono costantemente bombardati. In condizioni igienico-sanitarie precarie, lo stato Karen è completamente abbandonato dal governo burmese tanto che Phan, da bambina, ha contratto la malaria e un’altra malattia sconosciuta.

All’età di quattordici anni mentre stava facendo i compiti il villaggio venne raso al suolo dai bombardamenti. Manerplaw fu distrutto e le 3000 persone che ci vivevano furono assassinate o costrette alla fuga.

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I sessant’anni di conflitto fra il popolo Karen e il governo burmese sono stati considerati come uno dei più grandi conflitti ignorati dal mondo. Il popolo Karen vanta cultura e tradizioni millenarie ma è stato perseguitato e il loro genocidio nascosto dal governo burmese col pretesto di volere tenere il Paese unito.

Phan è colma di tristezza quando racconta la storia del proprio popolo. Più di un milione di persone sono state costrette ad abbandonare la propria terra a causa del conflitto. Ricorda il fuoco, le grida e la fuga nella pericolosa giungla burmese. I Karen sopravvissuti ai bombardamenti sono scappati in campi per rifugiati, la famiglia Phan in uno in Thailandia.

La Thailandia è la destinazione preferita dal popolo Karen, probabilmente perché essa non ha alcun interesse nel perseguitarli — anche se i Karen si sentono comunque ad un passo dalla persecuzione

L’integrazione locale é impossibile. La Thailandia non ha firmato la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951 per cui i Karen che vivono al di fuori dei campi per rifugiati possono essere arrestati e deportati. Lo stesso è il trattamento subito in Malesia, altra destinazione preferita dal popolo Karen. Il legge sull’immigrazione malese, del 1963, non distingue fra rifugiati e migranti senza documenti. I rifugiati Karen non possono lavorare legalmente, non possono mandare i loro figli a scuola e non hanno accesso al sistema sanitario.

La vita da rifugiati è simile a quella dei prigionieri ma, come dice Phan, senza aver commesso un crimine. Non si può lasciare il campo senza autorizzazione. Non si vive come esseri umani. Non è una sorpresa sentire che i suicidi siano estremamente comuni.

Altri rifugiati Karen preferiscono focalizzarsi sul lavoro e trasferirsi in Thailandia come lavoratori migranti per evitare l’umiliazione della vita da rifugiati, come affermato da numerosi report di Human Rights Watch. Almeno l’80% dei tre milioni di lavoratori migranti in Thailandia vengono dalla Birmania ma moltissimi sono in realtà rifugiati de facto. Gran parte dei Karen non si preoccupano neanche di richiedere lo status di rifugiato vista la situazione.

Poco dopo l’insediamento di Phan e la sua famiglia nel campo, il governo burmese diede ordine al suo esercito di distruggere il campo in Thailandia. Senza casa, la famiglia di Zoya scappò nelle montagne Burmesi.

La convenzione di Ginevra, i diritti umani e le raccomandazioni delle Nazioni Unite sono state ignorate dal governo burmese. Le minoranze burmesi bersagliate avevano come unica difesa piccoli gruppi di soldati che non hanno potuto impedire l’uccisione di intere famiglie, il rapimento di ragazze vendute poi come prostitute e il rapimento di ragazzi, forzati a combattere contro il loro stesso popolo.

L’unica difesa è rappresentata dall’Unione Nazionale Karen. È un’organizzazione politica che rappresenta il popolo Karen ed ha richiesto l’indipendenza sin dal 1949. Nel 1976, dopo aver accettato che questa richiesta non sarebbe stata soddisfatta, ha proposto un sistema federale, mozione che gli venne negata. L’Unione Nazionale Karen aveva la propria sede centrale a Manerplaw, il villaggio di Phan, fino a quando fu raso al suolo. L’organizzazione politica ha un braccio armato, l’Esercito Nazionale di Liberazione Karen (il KNLA), che opera attraverso reti segrete nella zona montuosa della Birmania dell’Est.

Ma la situazione non è cosi semplice. Ci sono costanti conflitti tra i soldati buddisti e cristiani del KNLA. Nel 1994, un gruppo di militari buddisti, irritati dall’eccessivo numero di soldati cristiani, si distaccò dal KNLA e organizzò un proprio esercito, l’Esercito Democratico Buddista del Karen (DKBA). Gran parte del popolo Karen è buddista, solo un quarto di loro è cristiano. Il DKBA firmò un accordo di cessate il fuoco con il governo della Birmania a patto che il DKBA aiutasse il governo nell’attaccare l’Unione Nazionale Karen. Tuttavia il DKBA ha avuto una relazione contrastata con l’Unione Nazionale Karen, in alcune occasioni ha combattuto al loro fianco ma spesso si è trovato su posizioni diametralmente opposte, arrivando anche ad assassinare il segretario generale dell’Unione Nazionale Karen nel 2008.

Il numero dei Karen uccisi nei conflitti è talmente alto che il numero preciso di morti è sconosciuto.

Col passare del tempo il governo ha riconosciuto che l’unico modo per evitare eccessive problematiche interne e evitare di attrarre l’attenzione della comunità internazionale era di promuovere piccole riforme. Alcuni prigionieri politici come Aung San Suu Kyi sono stati liberati ed è stato concesso il diritto di organizzare piccoli gruppi politici anche se controllati dal governo.

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Una volta sciolta la feroce giunta militare, ha preso il potere un governo civile. Con il partito di Aung San Suu Kyi che ha vinto le elezioni del 2015 si potrebbe pensare che la lotta etnica sia terminata e le problematiche interne risolte, ma Zoya Phan scuote la testa mentre racconta che nonostante le poche riforme democratiche portate da Aung Saan Suu Kyi, i vecchi leader militari hanno ancora un enorme potere e il popolo Karen è esausto, sospettoso e amareggiato. Tutti i governi in Birmania, sia durante la democrazia che la dittatura, hanno rifiutato il federalismo, che potrebbe essere l’unica soluzione per portare la pace fra gli otto gruppi etnici. L’élite ha sempre rifiutato la Birmania come un Paese con le sue differenti etnie.

E chi dice che la democrazia di Aung San Suu Kyi promuova il rispetto dei diritti umani? La stessa Aung San Suu Kyl afferma “faccio politica non come difenditrice dei diritti umani o come operatrice umanitaria ma come leader di un partito politico.”

Oggi l’esercito non si è ancora ritirato dal territorio “dei Karen” anche se distrutto e senza infrastrutture. Il cessate il fuoco fra l’Esercito Nazionale di Liberazione Karen e il governo della Birmania è sempre stato una farsa e non una vera pace. Infatti, Phan afferma che la pace senza la stabilità politica è come premere il pulsante della pausa e non dello stop.

La gran parte dei paesi ignora la situazione in Birmania o si accontenta delle riforme e del lieve progresso democratico che si è realizzato. Ad eccezione di alcuni scrittori, soldati e accademici che rischiano le loro vite come volontari nel KNLA, la situazione non ha risvegliato alcun interesse nel mondo occidentale. L’unica relazione con i paesi occidentali è dovuta al fatto che gli stessi hanno accettato i cittadini Karen come rifugiati: tra il 2005 e il 2011 circa 70 mila rifugiati sono stati accettati in Regno Unito, Stati Uniti e Australia.

Dopo essere sopravvissuti a un tentativo di assassinio da parte di due soldati-bambini che erano stati ospitati dalla famiglia Phan, Zoya ha perso la madre. Lavorando all’università di Bangkok ha avuto la possibilità, attraversando segretamente il confine, di organizzare gruppi di lavoro che collegavano gli studenti Karen in Birmania agli studenti Karen integrati a Bangkok, la cui origine etnica era sconosciuta da professori e studenti.

Nel 2005 Phan lascia la Birmania e riesce a raggiungere, come rifugiata, il Regno Unito.

Il suo sguardo diventa cupo quando ricorda di non essere neanche potuta ritornare in Birmania per assistere al funerale del padre. La vita di chi è costretto ad abbandonare il proprio Paese è drammatica, ma lei si ritiene fortunata, e per questo sente di avere il dovere di raccontare la sua storia.