In Giappone la scrittura calligrafica è stata in ogni epoca un’espressione fondamentale della cultura. Ogni anno si tengono competizioni e mostre che durano diversi giorni che coinvolgono sia professionisti affermati che artisti emergenti. L’arte della scrittura rispecchia in pieno quella che è oggi la cultura nipponica, ovvero il sincretismo tra antico e moderno, Oriente e Occidente, tradizione e avanguardismo. Proprio per questo, sono numerose le tele moderne scritte in Lingua antica, lo Zhuan, derivato direttamente dal Kanbun nella Cina della dinastia Qin.

Kanbun
Kanbun

La primissima forma di scrittura è proprio il Kanbun, le cui prime testimonianze sono sono datate intorno al 6000 a.C. Con questo termine ci si riferisce in modo generico a incisioni o pitture su diversi tipi di supporti — che siano essi metallo, carapaci, pietra o legno — e rappresenta l’origine di quelli che sono oggi i caratteri cinesi, coreani e giapponesi.

La peculiarità di questa antica scrittura è l’irregolarità dei caratteri, a partire dalla disposizione e dalla grandezza, che nel corso di millenni si sono via via canonizzate. Particolarmente interessante è la scrittura su ossa e carapaci. Parallelamente alla epatoscopia occidentale, in oriente le prime forme divinatorie avvenivano tramite la scrittura: le domande e le risposte venivano pitturate e poi incise sui gusci delle tartarughe.

Alcuni grandi cambiamenti verso le moderne forme di scrittura avvennero intorno al 220 a.C. in epoca Qin in Cina, quando i funzionari governativi dovettero trovare un modo di redigere grandi quantità di documenti per la gestione della burocrazia imperiale. Da questa esigenza nasce la forma Reisho (“subalterno”/ “dipendere da”), la lingua dei funzionari, ben organizzata e precisa, in cui ogni carattere è idealmente inscrivibile in un rettangolo orizzontale e i tratti curvi sono sostituiti da linee squadrate. Il passo da questa forma di scrittura a quella moderna (Kaisho – scrittura normale) è breve e si canonizza in soli 400 anni.

Inizialmente l’arte calligrafica giapponese era basata su quella cinese: anche la scrittura era un adattamento in puro cinese della lingua parlata. Trattandosi però di due lingue molto diverse, era necessario usare come elementi grammaticali caratteri svuotati del loro significato originario, riciclandoli unicamente per la loro pronuncia. Da questa necessità nasce il Man’yougana. Per agevolare la lettura si decise di selezionare alcuni caratteri del Man’yougana e semplificarli in due modi: Hiragana e Katakana.

Il primo deriva da una evoluzione dei caratteri cinesi scritti in corsivo (Shousho) e mantengono una tratto curvilineo. Nella storia della calligrafia l’Hiragana viene utilizzato, oltre che al suo scopo grammaticale, anche per diari personali, corrispondenza e per poesie composte dalle dame di corte: proprio da questo deriva la sua seconda denominazione, “Onnade” — mano femminile.

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Il Katakana invece deriva dalla riduzione formale dei caratteri normalizzati (Kaisho) e si mostra molto squadrato e con tratti spigolosi. Le prime attestazioni risalgono all’anno 828: veniva utilizzato in ambito religioso come trascrizione fonetica dei caratteri cinesi. Questa funzione attualmente è svolta dall’Hiragana, scritto sopra o a lato del carattere per facilitare la lettura, mentre il Katakana è utilizzato per trascrivere i sostantivi o i prestiti linguistici non cinesi.

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Da menzionare ci sono anche le scritture in corsivo, la Gyousho (scrittura corrente) e Shousho (scrittura corsiva). La prima rappresenta un sistema di scrittura rapida — proprio per la sua velocità di esecuzione è diventato il sistema di scrittura più usato nella vita quotidiana. Nasce subito dopo la formazione del Kaisho e non ha vere e proprie regole stilistiche. È una scrittura pragmatica e si adegua alle necessità dello scrittore. Lo Shousho invece è una forma di scrittura corsiva pittorica che a volte tende ad essere estremamente ermetica. Come il Gyousho non ha regole ferree e nelle versioni più estreme tutti i tratti del carattere vengono eseguiti senza staccare il pennello dal supporto.

Alcuni esempi di scrittura artistica sono stati esposti alla mostra Ame no Hara, le pianure del cielo, tenutasi il 15 e il 16 ottobre al MUDEC di Milano. L’iniziativa dell’associazione culturale Shodo.it, con la partecipazione di Bruno Riva e Carmen Covito, intendeva celebrare i 150 anni di relazioni tra Italia e Giappone. Sono state presentate tele degli artisti Kataoka Shiko, Yonemoto Koro, Morioka Shizue, Nakajima Hiroyuki, Uehira Baikei, Yamada Tomie, Katia Bagnoli e Bruno Riva.

A illustrare le varie opere presenti e a guidare i visitatori è stato il maestro Bruno Riva, che ha dedicato più di vent’anni all’arte della scrittura, in qualità di fondatore dell’Accademia calligrafica di Ruimo, cofondatore dell’associazione Shodo.it e della Confederazione Europea di Calligrafia. Vanta numerose partecipazioni ad eventi internazionali, sia all’estero che in Italia, incluso Expo 2015, per cui ha eseguito insieme a Katia Bagnoli due calligrafie riprodotte su grandi pannelli esposti all’esterno del Padiglione Zero.

Bruno Riva, foto via shodo.it
Bruno Riva, foto via shodo.it

Ad Ame no Hara Riva ha eseguito una performance su una grande tela, su cui ha scritto due poesie, una in kanji (caratteri cinesi) del monaco Zen Ryoukan Taigu (1758-1831) e l’altra scritta in kana (alfabeto sillabico giapponese) di Abe no Nakamaro (698-770). E ad ispirare il titolo della mostra è stato proprio il primo verso di quest’ultima poesia, che vuole evocare il gesto dei viaggiatori che allontanandosi dall’antica capitale verso Occidente si volgevano ad ammirare, ancora una volta, la luna.

Per gli appassionati di cultura nipponica segnaliamo L’Ikebana, arte tradizionale giapponese, una mostra e una conferenza omonima sull’arte della composizione floreale che si terranno al Mudec di Milano a partire dal prossimo giovedì.