Love, Life, Peace: l’indigestione di stili di Raphael Gualazzi

Love, Life, Peace è la consacrazione di un compromesso: il pianoforte perde terreno, gli arrangiamenti si fanno più curati, e la tracklist si snoda in un caleidoscopio di influenze senza perdere integrità.

Love, Life, Peace: l’indigestione di stili di Raphael Gualazzi

Raphael Gualazzi non è un artista facile da inquadrare: snobbato dai puristi del jazz perché troppo commerciale ma allo stesso tempo mai sulla cresta dell’onda perché troppo sofisticato.

Quest’estate però qualcosa è cambiato. Il 14 luglio, a stagione già inoltrata, è entrato in rotazione L’estate di John Wayne, riscontrando inaspettatamente un buon successo in radio e aprendo la strada al suo quinto album, uscito il 23 settembre.

Con Love, Life, Peace il pianista di Urbino consolida e perfeziona la sua virata verso una musica più radiofonica, ma non per questo meno elegante e complessa.

Se la sua prima fatica, Love Outside The Windows, era apertamente ispirata al jazz dello stride piano e al soul old school, con Reality and Fantasy e Happy Mistake il suo sound si è arricchito di influenze sempre più ampie, per diventare più orecchiabile ma anche e soprattutto più eclettico e personale.

E Love, Life, Peace è la consacrazione di questo compromesso: da una parte il piano perde sempre più terreno (è il primo album in cui non è presente nessuno strumentale), dall’altra gli arrangiamenti si fanno più curati, e la tracklist si snoda brano per brano attraverso un caleidoscopio di stili e atmosfere senza perdere integrità.

Raphael infatti si diverte — perché non c’è dubbio, si diverte moltissimo — a esplorare e mescolare stili diversi, senza allontanarsi mai troppo dalla musica black, ma creando abbinamenti inediti. E così passiamo dal singolo di punta, un R&B dal vibe estivo condito da echi western, alle ballate neo-soul, facendo tappa tra la disco anni ’80 e groove funky che sanno del primo Stevie Wonder.

I momenti più notevoli però si hanno con tre brani: innanzitutto Mondello Beach, che fonde i colori della Sicilia con il dixieland jazz in una danza sfrenata in ragusanglish e che è stato definito dall’autore un omaggio dichiarato a Nick La Rocca, l’immigrato siciliano di New Orleans che per primo registrò un disco jazz.

Poi Lotta Things, che sembra cominciare nel bluegrass di un saloon ma che ci porta immediatamente in piena dance di fine anni ’70, in un turbinio senza fiato scritto per mimare la frenesia e la frammentarietà della nostra società.  Non è la prima volta che Raphael Gualazzi affronta tematiche sociali, ma questo è ad ora il tentativo più convincente: versi come l’accumulo Gotta paint my nails and fold my tie, gotta see forty million people die rendono bene l’indigestione di stimoli che ci porta ad avere a belly full but a glance like ice.

E infine l’immancabile collaborazione femminile: dopo Rox e Camille è la volta di una Malika Ayane in splendida forma, che presta la sua voce a Buena Fortuna, un crossover latino di gran classe che sa di bossa nova, di samba e di ottimismo.

L’album si chiude sulla title-track, Love Life Peace, un morbido neo-soul dalle atmosfere eleganti di un lounge, che racconta quello che per Raphael è unmessaggio sempliceper affrontare quello che ci capita intorno: amore, vita, pace and you.

Finito l’ascolto non si grida al capolavoro ma si è abbastanza soddisfatti: Raphael non ha certo sperimentato strade inedite, né si è lanciato in progetti innovativi — ma ha fatto quello che in questo momento in Italia non è affatto scontato: un album personale, ben curato e compiuto, capace di scalare le classifiche senza perdere classe.