Siamo stati alla manifestazione per l’aborto a Cracovia
Il 23 settembre il parlamento polacco ha votato una legge che potrebbe portare non solo al divieto di ogni forma di interruzione di gravidanza, ma anche al bando di diversi metodi di contraccezione e dei test prenatali.
Andrea Castagna
CRACOVIA—Se vi trovaste in un Paese guidato da un governo ultraconservatore, in cui si vuole abolire qualsiasi forma di interruzione di gravidanza, che cosa fareste? Non stiamo parlando di uno stato sperduto chissà dove, ma di un Paese membro dell’Unione Europea, a due ore di volo dall’Italia. Benvenuti in Polonia, dove ieri si è svolto il Czarny Protest, il giorno dello “sciopero nero” che ha paralizzato mezza Polonia.
Lunedì 23 settembre scorso il parlamento polacco ha votato una legge che potrebbe presto portare non solo al divieto di ogni forma di interruzione di gravidanza, ma anche al bando di diversi metodi di contraccezione (come la spirale) e dei test prenatali.
Per questo, in tutto il Paese, milioni di donne hanno deciso di dire no al lavoro, ai mestieri di casa e alla cura dei bambini. Insomma, uno sciopero silenzioso per bloccare tutte quelle attività che la società polacca ritiene tradizionalmente associate al ruolo femminile. Moltissime altre donne hanno invece deciso di scendere in piazza nel pomeriggio, vestite di nero, in lutto per la perdita dei diritti e della libertà.
In un Paese in cui l’aborto è fortemente limitato — di fatto si può interrompere la gravidanza solo in caso di stupro o grave malattia del feto e della madre — il recente disegno di legge è apparso come un ulteriore tentativo del governo ultra cattolico di ridurre la donna a mero strumento di riproduzione.
“In Polonia l’80% della popolazione è cattolica praticante, perciò non è raro avere interferenze della Chiesa nella vita privata delle persone” mi spiega Ewelina, 23 anni, studentessa di medicina, mentre regge un cartello in cui la bandiera della Polonia viene incatenata da un prete e da una suora.
“Se questa legge dovesse però passare, ci ritroveremmo di nuovo nel Medioevo e migliaia di donne sarebbero costrette ad andare in Ucraina o in Repubblica Ceca per interrompere una gravidanza. Non è questo il Paese dove voglio vivere.”
I dati sulla partecipazione allo sciopero sono però molto discordanti. Se a Varsavia, Cracovia e Danzica, nonostante la pioggia, migliaia di donne hanno bloccato le vie principali dei centri storici, in alcune città più piccole e nelle comunità rurali la partecipazione è stata meno significativa. Del resto “Legge e Giustizia,” il partito di ultradestra nazionalista attualmente al governo, ha la sua roccaforte elettorale proprio nei centri minori, dove le tradizioni religiose e il ruolo della Chiesa hanno un fortissimo impatto sulla vita politica e sociale.
Non è chiaro neppure quante persone supportino attualmente la proposta di legge.
La Conferenza Episcopale Polacca, nei mesi scorsi, è stata in grado di raccogliere più di centomila firme a sostegno del DDL, costringendo così il parlamento a prenderlo in esame e a votarlo. Sorprendentemente però, anche alcune associazioni cattoliche progressiste sono scese in piazza a fianco delle donne, chiedendo con forza di mantenere almeno l’attuale legge.
“Non credo sia solo un problema di religione,” sostiene Maria, 45 anni, pittrice che ha vissuto quindici anni in Italia. “Ci sono diversi Paesi molto religiosi in cui l’aborto e la contraccezione sono legali. Ma per i polacchi è diventato normale preservare ad oltranza ciò che è considerato tradizionale, come il ruolo della donna sottomessa ad un uomo. Questo perché in Polonia il cambiamento continua a fare paura, soprattutto in ambito sociale ed è molto triste che il nostro primo ministro donna, Beata Szydło, non riesca a capire che vogliamo vivere in una società laica e libera. Non vogliamo essere costrette a sottometterci a un insensato nazionalismo maschilista e liberticida.”
Se nelle prossime settimane il DDL dovesse passare anche alla Camera Alta del parlamento, la Polonia diventerebbe l’unico Paese europeo in cui l’aborto è totalmente illegale. E di certo il silenzio di Bruxelles sulla questione non fa ben sperare per il futuro delle donne polacche.