Hillary Clinton e il nuovo femminismo made in USA

Rebecca Traister, Katha Polis e Ida Dominijanni parlano di Hillary Clinton e della questione femminile negli Stati Unit: la sua elezione significherebbe una svolta storica per le donne e un importantissimo passo verso l’uguaglianza.

Rebecca Traister, giornalista del New York Magazine e scrittrice femminista statunitense, concludeva uno dei suoi ultimi articoli per Internazionale sottolineando l’importanza — sociale ancor più che politica — della presenza di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali: “A prescindere da quello che le persone pensano di lei, queste elezioni sollevano una serie di importanti domande su come gli statunitensi vedono la leadership e su cosa pensano delle donne che cercano di conquistarla.”

Proprio da questo concetto prendeva il via l’incontro “Stati Uniti — decidono le donne,” organizzato al Teatro Comunale di Ferrara in occasione del Festival di Internazionale lo scorso 2 ottobre e moderato dal giornalista Alessio Marchionna.

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Oltre alla Traister erano presenti al dibattito Katha Pollitt, scrittrice femminista newyorkese, e l’italiana Ida Dominijanni, filosofa e scrittrice attenta da sempre alle questione femminile.

Marchionna apre il dibattito interrogandosi sulle plausibili motivazioni per cui gli Stati Uniti si trovano davanti a una situazione paradossale: la prima candidata donna in scontro diretto con un candidato esplicitamente sessista, maschilista, incarnazione perfetta del maschio bianco ricco e conservatore.

Katha Pollitt osserva a riguardo che quello di Trump non è un caso isolato, ma fa parte di una reazione mondiale contro il progressismo e l’emancipazione femminile. Un esempio di questa reazione è Silvio Berlusconi – a cui Trump è stato spesso paragonato — con la sua esaltazione della donna oggetto, la sua politica da show televisivo, e il suo rapporto con i figli — definito dalla scrittrice “diseducativo.” Rappresenta, secondo le parole della Pollitt, la playboyzzazione della mascolinità, un machismo goliardico e pericoloso portato agli eccessi tanto da apparire, il più delle volte, ridicolo.

How much money is the extremely unattractive (both inside and out) Arianna Huffington paying her poor ex-hubby for the use of his name?

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 7, 2015

Ma non bisogna pensare che l’ascesa di personaggi come Donald Trump sia frutto di un fallimento del femminismo. Secondo Ida Dominijanni “in Italia i media usano ogni contraccolpo della virilità per mostrare la fine del femminismo, ma non è così. Negli Stati Uniti — così come in Italia — vediamo risposte maschili molto forti in reazione alle vittorie che le donne hanno ottenuto. È la risposta di chi sente il lento sradicamento di un ordine precostituito e ne ha paura.”

La Dominijanni pone l’accento anche sulla rottura operata da Obama nella questione di genere: “Barack Obama era un uomo nuovo sia rispetto allo stereotipo dell’uomo bianco di potere — quello, per intenderci, perfettamente incarnato da Trump — sia rispetto allo stereotipo razzista dell’uomo nero, sessista e violento.” È un esempio diverso di genere maschile e la sua retorica è sempre stata legata alla gratitudine per il sesso femminile, dalla first lady Michelle, spesso definita dal presidente “the rock of my family”, alla figura di sua madre, spesso presente nei suoi discorsi, e, infine, alle figlie. Obama si è dichiarato femminista, e nella lettera scritta per il mensile Glamour lo scorso agosto tratta alcuni punti che la Dominijanni definisce come “fondamentali e niente affatto convenzionali.”

Per esempio, il fatto che la rivoluzione femminile richieda un cambiamento agli uomini:

È assolutamente anche responsabilità degli uomini combattere il sessismo. E come mariti, compagni, fidanzati abbiamo bisogno di lavorare sodo e dobbiamo essere decisi nel creare un relazioni veramente paritarie.

E il fatto che si senta profondamente debitore delle donne libere da cui proviene:

Ora, le persone più importanti della mia vita sono sempre state le donne. Sono stato cresciuto da una madre single, che ha trascorso gran parte della sua carriera lavorando per dare potere alle donne nei Paesi in via di sviluppo. Ho guardato come mia nonna, che mi ha cresciuto, ha lavorato in banca senza possibilità di promozione. Ho visto come Michelle ha equilibrato le esigenze di una carriera intensa e metter su famiglia

Dunque Obama rappresentava una svolta nel paradigma — significativa per molti e pericolosa per altri — ma l’elezione di Hillary porterebbe effettivamente progressi significativi nella lotta per la gender equality?

Secondo Traister e Pollitt non c’è dubbio, sia per le molte donne presenti nello staff della Clinton — molte delle quali dichiaratamente femministe — sia per alcune riforme che Hillary si prefigge di portare avanti, come il congedo parentale e la tutela dell’equità salariale tra uomo e donna.

“Negli Stati Uniti ci sono attualmente più donne adulte single che donne sposate – spiega la Traister citando il suo ultimo libro All the Single Ladies. Unmarried women and the rise of an independent Nation — è fondamentale che le donne che scelgono di vivere da sole possano permettersi di farlo, sia a livello economico che sociale, potendo crescere un figlio esclusivamente con il proprio stipendio e con le proprie forze. La politica di Hillary, partendo dall’equità salariale, andrà proprio a proteggere questo diritto.”

Pollitt richiama l’attenzione su uno dei video più significativi della campagna della Clinton.

Mirrors punta il dito contro il sessismo di Donald Trump, un aspetto spesso denunciato dalla Clinton, che sembra volersi porre in netto contrasto su tutta la linea.

“Le politiche di Hillary vogliono proteggere le donne e non solo gli uomini bianchi, ed è questo che fa arrabbiare moltissimo Trump” spiega sorridendo la Pollitt.

“Ma è corretto misurare il progresso delle donne in base a canoni maschili quali il guadagno, il reddito?” si chiede la Dominjanni, sottolinenando come, a suo parere, siano altri i fattori importanti, più sociologici (uno su tutti la decisione di molte donne di non sposarsi) che remunerativi.

“Ho apprezzato molto che, in un servizio sulla convention democratica, le donne intervistate sostenevano che l’elezione di una donna alla Presidenza degli Stati Uniti avrebbe dato la forza e la speranza a tutte le donne — americane e non — di inseguire i propri desideri. È un’affermazione che va oltre all’idea della mera emulazione maschile, e che sembra aprire il varco a un concetto di indipendenza a tutto tondo.”

La Dominijanni sposta il discorso più sulla figura umana e non politica di Hillary Clinton: “La mia opinione su Hillary è molto più complessa, è una moglie che ha rammendato il suo matrimonio in un momento in cui era in frantumi e ha usato il suo ruolo di moglie per fare carriera. Questo ha spaccato l’opinione pubblica femminista statunitense.”

La Traister ribatte ripercorrendo la carriera della Clinton, non riducibile a una mera storia di arrivismo: “Mi piace Hillary e credo in lei, è una figura simbolica. È stata una studentessa brillante, prima portavoce del suo partito politico universitario. Fin da giovane è stata considerata come una donna fuori dal comune in grado di fare la storia. Sceglie di legarsi a Bill Clinton con un matrimonio tradizionale in cui però si pone come alla pari, non come sottomessa. La storia statunitense ci insegna che le prime grandi donne politiche hanno potuto arrivare al potere solo succedendo a padri o mariti. È un modello che idealmente non mi piace, ma è l’unico fino ad oggi funzionante.”

“Quando da giovane scrivevo delle mogli dei politici ero molto contrariata, pensavo che dovessero farcela da sole — ricorda la Pollitt, riallacciandosi al discorso. Oggi, dopo aver visto come gira il mondo mi dico che dobbiamo rimboccarci le maniche e prenderci quello che possiamo prenderci, o rimarremo sempre ferme.”

La Pollitt sottolinea anche la diversità incolmabile tra la politica europea e quella statunitense, definita “uno show business severissimo in cui l’immagine conta fin troppo.” Hillary Clinton sarebbe a tutti gli effetti la prima donna ad aver superato questo severissimo scrutinio. Sembra una visione piuttosto rassegnata, ma la Pollitt apre a scenari di speranza: “Già con la sua prima candidatura nel 2008 Hillary ha aperto le porte della politica a molte donne che vengono da percorsi diversi, indipendenti da padri e mariti. Il mero fatto che una donna ce la possa fare legittima tutte le altre che vorrebbero quanto meno provarci.”

Trattando delle politiche della Clinton, che secondo la Traister saranno “più rivoluzionarie di quel che si crede,” la Dominijanni mette in gioco la questione delicata dell’interventismo:  “Non ho dubbi che le politiche sociali di Clinton saranno molto importanti, ma sappiamo però che il punto non è solo questo, che la politica non funziona solo su base programmatica. Il mio dubbio sta nella politica estera: Hillary è assolutamente interventista, molto più di Obama. Spero che riesca a staccarsi dalla matrice clintoniana e giunga a posizioni più adeguate a catturare un elettorato di sinistra.”

A questo punto del dibattito risulta evidente la differenza netta tra il femminismo europeo e quello statunitense, nati da due realtà sociali totalmente diverse. Secondo le giornaliste statunitensi, Hillary non ha bisogno di distaccarsi da quel tipo di politica, e non crea una politica “più personale,” semplicemente perché un modo femminile di far politica non esiste. “La politica è stata creata da uomini su schemi maschili — sottolinea la Traister — non c’è un modo per entrarvi se non emulando gli uomini. Ed è questo che dobbiamo fare, se vogliamo arrivare a un qualsiasi cambiamento.”

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Secondo l’autrice di All the Single Ladies, è assurdo che Hillary Clinton venga tacciata di far parte dell’establishment. “Anche Trump fa parte di un establishment, quello dell’uomo bianco di Wall Street. Trump è proprio l’incarnazione di quella casta che ha distrutto gli Stati Uniti, eppure non viene criticato per appartenervi — sostiene la Traister, concludendo che sono proprio le donne ad essere maggiormente criticate di appartenere a un establishment, soprattutto quando non dovrebbero. E, guarda caso, la Clinton è donna.

Ma ridurre tutto a una mera questione di genere non va forse contro quell’uguaglianza che molte femministe si prefiggono? La politica di Hillary Clinton è oggettivamente poco innovativa, a prescindere dal fatto che sia una donna, ed è giusto e sacrosanto analizzare un politico per la sua politica, non riconducendo tutto al genere di appartenenza.

Hillary è una candidata navigata, sicura per certi versi. Indubbiamente una sua elezione significherebbe una svolta storica per le donne e un importantissimo passo verso l’uguaglianza. Nel caso, si spera che riesca ad essere un esempio positivo per il futuro, perché è vero che la politica è da sempre un gioco tra uomini, ma non è affatto detto che una donna debba per forza vestire i panni di un uomo per giocarci (e, soprattutto, per vincere).