Dal 30 settembre su Netflix è stata resa disponibile Marvel’s Luke Cage, la terza serie coprodotta dalla Marvel e la compagnia di Los Gatos. Quest’ultima produzione, come Daredevil e Jessica Jones, fa parte del progetto di costituire un universo condiviso che culminerà l’anno prossimo, dopo l’introduzione di Iron Fist, nell’uscita della serie corale The Defenders.
L’accostamento di questi quattro supereroi non è casuale: tutti infatti operano in realtà di degrado urbano, tra quartieri malfamati, traffici illeciti e criminalità organizzata. Mentre i supereroi cinematografici, nei loro scintillanti e colorati costumi, si dedicano a sventare minacce aliene e cospirazioni planetarie, questo gruppo di disadattati si batte per salvaguardare il quartiere in cui sono nati e la gente che lo abita.
Se già nelle precedenti produzioni Netflix la Marvel ha cercato di affrontare tematiche più adulte e delicate rispetto a quelle dei suoi lungometraggi, con Luke Cage viene compiuto un ulteriore passo in avanti: Carl Lucas, vero nome di Luke Cage, è infatti passato alla Storia come il primo supereroe afroamericano ad avere ricevuto, nel 1972, una testata a lui dedicata — perciò la sua etnia ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle sue storie, e non sempre nella maniera giusta.Il personaggio di Luke Cage venne creato infatti per cavalcare l’onda dei così detti “blaxploitation movies”. La parola “blaxploitation” è letteralmente una crasi tra la parola “black”(nero) ed “exploitation” (sfruttamento), ed indica un genere di film con attori afroamericani e destinato ad un pubblico afroamericano; nonostante il valore di alcune di queste pellicole, la maggior parte di esse non facevano altro che perpetrare stereotipi e pregiudizi nei confronti della comunità nera degli Stati Uniti, rappresentata sempre come criminosa e poco incline a seguire le leggi dello Stato, ed erano caratterizzate da un eccesso di contenuti espliciti, sia violenti che erotici.
Quando venne creato, quindi, Luke Cage incarnava molti di questi stereotipi.
A partire dalle sue origini – un ex galeotto evaso di prigione, incarcerato però ingiustamente, su cui viene fatto un esperimento che gli dona una forza sovraumana e una pelle indistruttibile – continuando con la sua decisione di diventare un “eroe a pagamento” per poter arrivare a fine mese e concludendo con l’ambientazione in cui si svolgono le sue avventure, ossia una New York ben più cupa e criminosa rispetto a quella in cui operano gli altri supereroi.
Nonostante nel corso di anni l’alter ego di Power Man si sia affrancato dagli aspetti più stereotipati delle sue origini, la questione razziale è stata una componente su cui gli scrittori del personaggio hanno sempre insistito, probabilmente per l’importanza storica che in ogni modo ricopre. Era perciò impensabile trasporre Luke Cage senza affrontare questi argomenti.
Che diventano ancora più difficili da trattare se si pensa alla situazione sociale attuale negli Stati Uniti, con i casi di violenza da parte della polizia nei confronti della comunità afroamericana in forte aumento solo in quest’ultimo anno.
Marvel’s Luke Cage non affronta direttamente il problema, forse perché non doveva essere quello il focus della serie, forse perché la produzione era iniziata quando il problema non era ancora così scottante, o forse semplicemente per paura, ma non può neanche glissare completamente sulla questione – infatti il movimento Black Lives Matter viene citato più o meno subdolamente fin dai primi episodi.
Cheo Hodari Cocker, lo showrunner di Luke Cage, ha dichiarato a più riprese di non voler rinnegare [1]le origini da “blaxploitation” del personaggio, ma anzi di volere recuperarne le parti positive ed adattarle ad un’ambientazione moderna, ed in effetti sembra che così abbia fatto.
Mentre Daredevil e Jessica Jones sono ambientati in una Hell’s Kitchen molto diversa rispetto a quella moderna e più simile a quella degli anni Settanta – un quartiere prettamente popolare – gli eventi di Luke Cage si svolgono in un Harlem moderna, successiva al processo di gentrificazione che ha interessato la zona dagli anni Novanta in poi.
Poiché la riqualificazione del quartiere è partita dai cittadini stessi, la comunità afroamericana si trova adesso divisa da un enorme divario sociale ed economico in due grandi classi. Soprattutto nelle prime puntate, il focus non viene puntato sulle vicende personali di Luke Cage – anche perché erano state già esplorate, almeno in parte, durante l’apparizione del personaggio in Jessica Jones – bensì su ciò che succede ad Harlem, sulle luci e ombre di entrambi i lati della medaglia.
Attraverso gli occhi di Power Man osserviamo la governatrice corrotta e i poliziotti dediti al bene; i piccoli delinquenti con il sogno di diventare grandi gangster e l’umile barbiere che cerca di tenerli lontani dalla cattiva strada, ognuno con i propri ideali da seguire. Luke Cage quindi ritrova alcuni dei cliché che hanno caratterizzato i suoi primi anni di pubblicazione, ma vengono contestualizzati in un mondo in cui non bastava avere la pelle bianca per essere buono, e allo stesso tempo non tutte le persone di colore sono automaticamente dei santi. Le distinzioni che contano risultano essere quelle morali, non quelle razziali o sociali.
In definitiva, Marvel’s Luke Cage non potrebbe essere ciò che è – ossia un ennesimo ottimo telefilm prodotto da Netflix – se non fosse ambientato ad Harlem. Questo però si trasforma in un’arma a doppio taglio: da una parte, rappresenta un’ottima reinterpretazione in chiave moderna del materiale di partenza, senza cadere troppo nel cliché; dall’altra, senza conoscere bene il contesto sociale in cui le azioni si svolgono è difficile empatizzare appieno con i personaggi e capire alcuni dei messaggi che la serie tenta di mandare.
Forse questo è il prezzo da pagare per una trasposizione quasi perfetta di un personaggio dal passato così complesso.
[1] http://www.digitalspy.com/tv/luke-cage/news/a809516/luke-cage-showrunner-show-relishes-in-the-comics-blaxploitation-past/