Finale di partitaI campioni e la carta d’identità
Dai 40 anni di Totti a chi non smetterà mai: tutti i campioni che non hanno voluto dire addio.
Tra le innumerevoli conquiste dello sport contemporaneo, quella dell’innalzamento dell’età della pensione è senza dubbio la più redditizia per i pochi, ma molto noti, fuoriclasse degli sport più amati e remunerati. È talmente difficile imparare l’arte dell’ultimo inchino che varrebbe la pena di stilare delle classifiche, a loro volta suggellate da medaglie con tanto di inno.
Tra i peggiori addii nello sport, verrebbe da citare subito l’unico che non tiene conto della volontà del campione stesso, in questo caso un cavallo: l’ultima corsa di Varenne. Un gran premio in Canada di cui si ricorderanno per molti anni le migliaia di scommettitori.
All’arrivo vittorioso di un Gran Prix d’Amerique, al commentatore della TV francese scappò: “È il più grande trottatore di tutti i tempi!” Per mesi poi, misteriosamente non fu più presente all’antenna.
Anche la memoria per fortuna ha cancellato quel Grand Prix. Per Varenne nessun tifoso avrebbe mai voluto un’ultima corsa. Un giorno un bravo sceneggiatore proverà a riscrivere quel finale, con gli attori e i ruoli al proprio posto e davanti alle proprie responsabilità.
In questi giorni si festeggiano i 40 anni di Francesco Totti, che unisce i meriti di sportivo e campione a quelli di una simpatia che gli appassionati di calcio del mondo intero gli riconoscono.Allora, perché gli ultimi anni, le ultime partite di un fuoriclasse dal conto in banca incommensurabile devono risultare tanto strazianti. Perché soubrette in cerca di autore, allenatori volta frittata e presidenti un poco opportunisti devono fare da coro a una tragedia greca?
Il capitano giallorosso è sempre il miglior asset della Lupa. Marketing, sponsor, senza dimenticare il ruolo di calamita di tifosi. Con lui in campo gli incassi derivanti dai ticket aumentano a dismisura. A Pallotta e Spalletti conviene non fare troppo i preziosi.
Perché invece non scegliere un’uscita di scena appena più eroica? Immaginiamo un ventaglio di possibili scenari. Il ritiro a sorpresa – magari dopo una grande prestazione o vittoria – modello Pennetta nel tennis. La fuga agli antipodi – alla Del Piero, il quale però non fu esente, anche se qualche ragione l’aveva, dall’alimentare una coda polemica con la Juventus.
Altro modello – il cambio di sport. Si ricordano esiti infausti tipo Michael Jordan che passò dal basket al baseball (per poi tornare al basket), con successivo sforzo di oblio da parte di tutti. Come ultimo modello di ritiro si potrebbe citare quello del più grande, Mohammed Alì, ovvero “un-ritiro-in-più-di-una-rentrée”, moltiplicato per 5 o 6 volte. Un modello che si poteva perdonare solo a lui.In genere infatti peggio di ritiri troppo esitanti, con relativo piano inclinato di performance nella tristezza dell’inevitabile declino, ci sono solo degli inutili quanto a volte pericolosi rientri in campo.
A quei campioni tristi che non sanno ritirarsi suggeriamo invece tre diversi finali tanto tragici, quanto consolatori come esempi.
La fine prima dell’acme del successo: il numero 58 di Simoncelli è ancora stampato nel nostro cuore. La fine che si mescola in un abbraccio mortale al ritiro: la storia di Fausto Coppi, un destino segnato che nessuno fu in grado di capovolgere. E per ultimo, la fine che non ti lascia neppure scegliere il finale e segnare la tua ultima meta: la malattia di Jonah Lomu, l’uomo più forte e veloce del mondo con una palla (ovale) in mano, sconfitto da una nefrite e dall’illusione della guarigione.Per terminare su una nota alta, si riveda l’ultimo gran premio di Aragon e il dopo gara di Valentino Rossi. L’uomo che ha deciso – e noi con lui – che non smetterà mai. Dovranno cambiare le corse, le regole, le moto, le gomme, forse aggiungeranno una ruota. Ma il Dottore non smetterà: lo abbiamo capito una volta di più domenica scorsa.
Era in testa, è stato superato due volte, alla fine ha tentato il sorpasso impossibile, e poi all’arrivo ha ancora battuto tutti: con la simpatia, la follia, la sua incredibile pienezza di vita. Sembra l’unico personaggio non schiavo della propria maschera. Anzi, come Arlecchino, Valentino si diverte a strapparsela la maschera e a calpestarla sotto gli stivali. Intanto niente e nessuno riesce a portargli via la scena. Non ci provano neanche più.