Juncker doveva girare a sinistra. E invece no.
Il Presidente della Commissione Europea sembrava incline ad aprire una nuova fase nella politica continentale, più attenta alla dimensione sociale e meno legata al pareggio di bilancio in fondo al taccuino. Ma il suo discorso sullo Stato dell’Unione ha richiuso le flebili speranze emerse negli ultim
In un articolo di qualche giorno fa, riportavamo di come il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker sembrasse incline ad aprire una nuova fase nella politica continentale, più attenta alla dimensione sociale e meno legata al pareggio di bilancio in fondo al taccuino. L’apertura era prevista per ieri, durante l’annuale discorso sullo Stato dell’Unione del Presidente. Invece, il suo intervento ha richiuso le flebili speranze che erano emerse negli ultimi giorni su una maggiore flessibilità dell’Ue su debito pubblico e deficit dei Paesi membri. Juncker ha affrontato il discorso flessibilità/austerità solo alla fine del suo discorso, con un giro di parole non proprio cristallino:
“La creazione del patto di stabilità e crescita è stata influenzata dalla teoria. La sua applicazione è diventata una dottrina per molti, e per alcuni un dogma. In teoria, un singolo punto decimale sopra il 60% del debito dovrebbe essere punito, ma in realtà bisogna guardare le ragioni del debito. Dovremmo cercare di supportare e non di punire i tentativi di riforma in corso. Per questo continueremo ad applicare il Patto non in maniera dogmatica, ma col buon senso e la flessibilità che abbiamo saggiamente messo nelle regole.”
Che può essere tradotto con “decidiamo noi con chi essere bravi e con chi essere cattivi. Vero, Atene?” non lasciando intendere nessun cambiamento effettivo nelle attuali politiche economiche comunitarie. Juncker va ripetendo che la flessibilità non è un dogma non solo da quando è stato eletto Presidente della Commissione nel 2014, ma persino prima, quando era Presidente dell’Eurogruppo. In questo lasso di tempo, nonostante le sue dichiarazioni, è cambiato ben poco: l’austerità continua ad essere praticamente imposta dal blocco di Paesi “virtuosi”, capeggiati dalla Germania, verso tutti gli altri e sta trascinando l’Ue all’implosione. Si sapeva già che Juncker non avrebbe proposto stravolgimenti del Trattato di Lisbona, dove queste norme sono state enunciate: ma questa (non) apertura è stata inferiore alle già moderate aspettative.
Anziché la ventata d’aria fresca è arrivato dunque uno spiffero pungente di conservatorismo. E non solo in ambito economico. Juncker, all’inizio del suo discorso, ha riconosciuto che l’Unione Europea non è proprio in condizioni di salute ottimali, e ha proposto un’agenda per i prossimi mesi, alla fine dei quali Juncker vorrebbe:
Un’Europa che protegga.
Un’Europa che preservi gli stili di vita europei.
Un’Europa che difenda in patria e all’estero.
In un altro punto del discorso, ha dichiarato esplicitamente che “Il soft power non è sufficiente nel nostro vicinato sempre più pericoloso,” asserendo che sia necessario un quartier generale permanente per condurre missioni militari europee — il primo passo verso la costituzione di un esercito europeo: uno scenario da tempo atteso, ma riproposto in maniera piuttosto repentina dopo la Brexit. C’è comunque da domandarsi, una volta che eventualmente Bruxelles sarà in possesso di un esercito continentale, cosa intenda farne nel proprio “vicinato sempre più pericoloso.” Nel suo discorso Juncker ha definito come valori “in cui crediamo” la libertà, la democrazia e lo stato di diritto, in modo piuttosto nebuloso. Non si può dire che in Europa questi valori, per quanto buoni, siano sentiti come un collante culturale o sovranazionale, ma sembra che il soft power non basti già più per difenderli.
In alcuni passi del suo discorso Juncker si è dimostrato poi davvero contraddittorio, annunciando prima un provvedimento o un’ideale per poi negarlo o annunciare qualcosa di contrario. Prima ha affermato che “essere europei vuol dire essere aperti”, spingendo per un trattato di libero scambio con il Canada. Poi, pochi minuti dopo, ha proposto di innalzare una barriera protezionistica ancora più alta contro le importazioni di acciaio cinese, per preservare i posti di lavoro nel nostro continente.
Un altro capitolo ridondante del suo intervento è stato dedicato alla politica digitale. Juncker sostiene di volere un’Europa che potenzi, ma non sembra avere le idee molto chiare su cosa e come potenziare. Se da un lato dichiara di voler coprire le maggiori città continentale con una rete wifi gratuita entro il 2020, di promuovere lo sviluppo del 5G e di “creare una cornice legislativa che alletti gli investitori”, dall’altro basta andare a vedere come intenda questa “cornice” per rendersi conto di quanto sia tutto tranne che allettante:stiamo parlando delle controverse norme sul copyright di cui abbiamo trattato spesso in questi giorni. Una cornice che senza dubbio, se entrerà in vigore, affosserà molte start-up — sì, anche questo giornale — nonostante Juncker, in un altro punto del discorso, si riferisca alla categoria come una risorsa preziosa per l’economia continentale.
Si potrebbe andare avanti ancora — l’intero discorso di Juncker merita una lettura. Per chi volesse leggere tutto il suo intervento, sul sito del Parlamento Europeo c’è una trascrizione completa in inglese: lo linkiamo qui, visto che ancora ci è consentito farlo. Ma se dovesse passare la nuova e allettante cornice legislativa, linkandovi il sito infrangeremmo i diritti d’autore che Jean-Claude Juncker (o il Parlamento stesso?) possiede sul discorso.