Le fantasticherie iperconnesse di Werner Herzog
Tra miracoli della genetica e fantasmi di autodistruzione, colonie spaziali e spettacolari attacchi informatici, Werner Herzog racconta il futuro — e lo fa con ironia implacabile.
29 ottobre 1969, verso le 22.30. In un laboratorio della University of California, a Los Angeles, il professor Leonard Kleinrock e il suo studente Charley Kline mettono in funzione l’SDS Sigma 7, un computer grosso come un frigorifero, per comunicare con una macchina simile in un laboratorio dell’Università di Stanford, a circa 600 chilometri di distanza. Il messaggio doveva essere un semplice LOGIN, ma il sistema andò in crash dopo le prime due lettere.
Così fu LO la prima comunicazione inviata attraverso la rete ARPANET, il network di computer — sviluppato grazie alla pioggia di finanziamenti del Dipartimento della Difesa americano — che sta alla base di internet così come lo conosciamo oggi: non soltanto un errore di sistema, quindi, ma un vero e proprio segno profetico di ciò che sarebbe stato. “Guarda, e ammira.”
Da questo aneddoto prende le mosse (e il titolo) Lo and Behold, l’attesissimo documentario di Werner Herzog presentato ieri in anteprima al Milano Film Festival. Ma la retorica quasi messianica del racconto entusiasta del professor Kleinrock, che elogia il profumo inconfondibile dei componenti del Sigma 7, è sin da subito minacciata dall’ironia impietosa del regista — tra un rallenty nei corridoi asettici della UCLA e musica sinfonica da epica blockbuster.
Da settantaquattrenne che indaga i tratti di un futuro che probabilmente non conoscerà mai (e che in gran parte non conosce nemmeno adesso, a dirla tutta), Herzog può permettersi un atteggiamento distaccato, a tratti dissacratorio, di cui gli intervistati non sembrano rendersi conto.
Pionieri outsider dell’informatica, Elon Musk sulle tracce della colonizzazione spaziale, programmatori di robot che giocano a calcio, hacker blasonati che truffano segretarie al telefono, cosmologi, scienziati che si emozionano all’idea di poter twittare con la forza del pensiero, monaci buddisti incollati allo smartphone; ma anche le vittime della rivoluzione digitale, dalla famiglia Catsouras alla piccola comunità di persone che vivono vicino al radiotelescopio di Green Bank perché soffrono di ipersensibilità alle radiazioni telefoniche: Herzog guarda a tutta questa umanità con lo sguardo di chi osserva curiosamente una gabbia di criceti. E fa le domande giuste: chi comunicherà i risultati del baseball ai coloni marziani? I robot si innamoreranno? La rete ha già cominciato a sognare se stessa?
Come vuole il sottotitolo originale — Reveries of the Connected World — Lo and Behold non offre un quadro esaustivo della rivoluzione informatica, ma soltanto una serie di scorci, di riflessioni divaganti. Nell’arco di dieci capitoli sono affrontati molti dei principali temi del dibattito attuale — lʼeticità dellʼintelligenza artificiale e la possibilità di un suo sviluppo spontaneo e incontrollato, il futuro del lavoro umano nell’era dellʼautomazione, e così via — ma altrettanti sono lasciati in ombra. Grandi assenti, per esempio, Google, i social network, l’internet mobile.
In alcuni momenti, l’immagine di internet ricostruita da Herzog si adatta meglio all’internet di dieci o quindici anni fa che a quello attuale: la rete libera e anonima, terreno di conquista degli hacker attivi a fine anni Novanta, è abbondantemente scomparsa. Al suo posto si trova un World Wide Web sempre più compartimentato da pochi grandi operatori, tanto che l’esperienza stessa del navigare in rete fa parte ormai solo marginalmente dellʼattività degli utenti di oggi, abituati a muoversi entro i confini ben definiti di poche app.
Alla fine, nonostante l’equilibrio tra opportunità e minacce, resta il sentimento dʼinquietudine trasmesso dalla presenza invisibile di un Moloch — la sagoma appena abbozzata di una creazione sfuggita al controllo degli esseri umani, capace di trascinare con sé l’intera specie nella propria eventuale distruzione. Per esempio, basterebbe una tempesta solare abbastanza potente per abbattere, in poco più di un battito di ciglia, la civiltà. (E allora sotto con le stampanti per salvare Wikipedia, presto.)
Ma Herzog riesce a giocare anche con il fantasma più terribile, quello dellʼauto-annientamento, dellʼestinzione. Impagabile l’inquadratura dello skyline di Chicago la mattina presto, quasi una città giocattolo. I gabbiani stridono in lontanaza. “Sembra che sia stata abbandonata dai suoi abitanti,” dice fuori campo la voce roca di Herzog, con il suo inconfondibile accento tedesco. “Dobbiamo immaginare che siano tutti partiti per la colonia spaziale.”
Lo and Behold uscirà nelle sale italiane a ottobre.
Nell’ambito del Milano Film Festival sarà replicato domenica 18/09 alle 18, allo spazio Oberdan. Qui abbiamo selezionato gli appuntamenti imperdibili di questa ventunesima edizione del MFF.