Fuga dal Pakistan, o ritorno forzoso in patria

L’autunno da incubo dei rifugiati afghani, intrappolati tra incudine e martello.

Durante la notte di venerdì 9 settembre 2016 l’IOM, Organizzazione internazionale per i migranti, ha annunciato in una press release congiunta con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nuovi dati allarmanti sul ritorno verso l’Afghanistan di centinaia di migliaia di rifugiati che erano fuggiti in precedenza in Pakistan.

Secondo i dati raccolti dalle due agenzie è in corso uno spostamento di massa di rifugiati che avevano precedentemente lasciato la propria patria — l’Afghanistan — nella speranza di trovare sollievo nel vicino Pakistan. Il numero si attesta attorno alle 600mila persone ma è tuttavia impossibile da conteggiare strettamente perché comprende migliaia di migranti a cui l’UNHCR non ha potuto rilasciare status di rifugiato — perché non hanno mai avuto modo di farne richiesta.

Vivere in Pakistan è ogni giorno più pericoloso.

Quotidianamente arrivano report di casi sempre più gravi di violenze, esplosioni, attentati. Di fronte a improvvisi o minacciati arresti, molti si vedono costretti a lasciare immediatamente il Paese, svendendo i propri pochi averi e partendo alla volta del proprio Paese di origine con pochi vestiti e nient’altro di più.

Contemporaneamente, è in corso da parte del governo pakistano una stretta virulenta contro i cittadini afghani residenti nel Paese.

I rifugiati afghani non possono vivere fuori dai centri di accoglienza, non possono iniziare attività commerciali. Dopo svariate minacce di terminare le — minime — operazioni di accoglienza, il Pakistan sembra deciso a non rinnovare le tessere “Proof of Registration” oltre la fine dell’anno, costringendo i rifugiati che vorranno rimanere nel Paese a trovare uno sponsor per fare richiesta di permesso di soggiorno. Il Governo ha ordinato la progressiva chiusura dei conti in banca dei rifugiati, e sta procedendo a disattivarne le SIM.

La situazione in Afghanistan è forse solo marginalmente migliore. Siamo in uno dei momenti dell’anno di massima violenza e, con l’arrivo dell’inverno, sembra inevitabile che i campi informali che si stanno creando in tutto il Paese diventeranno insediamenti stabili, in particolare quello di Nangarhar, in una regione dove l’inverno è più mite.

IOM dichiara nel comunicato stampa di poter offrire ospitalità fino a 100 famiglie al giorno: facilita il trasporto da una nazione all’altra, ospita temporaneamente le persone, offre controlli medici basilari e screening per la tubercolosi, e mette a disposizione servizi per minori non accompagnati e persone che mostrano segni di shock o instabilità mentale.

Tuttavia, considerata l’evidente instabilità in cui tuttora versa l’Afghanistan, è impossibile considerare l’attività di trasporto verso il Paese come un’operazione puramente di stampo umanitario.

IOM è stato in precedenza aspramente criticato da Human Rights Watch per la gestione delle crisi in Haiti, e il NoBorder Network ha una pagina sul loro portale in cui raccoglie materiali che disegnano il ruolo dell’agenzia come un agente di migrazioni controllate, più spesso contro-migrazioni, progetti di ritorno in patria semiforzati, e attivamente coinvolto nel controllo degli spostamenti del popolo rom.

Abbiamo contattato IOM Afghanistan per chiarire la situazione.

Durante la breve conversazione ci è stato sottolineato come IOM non operi in nessun modo con rifugiati afghani in Pakistan, ma piuttosto con migranti completamente privi di documentazione. Gli spostamenti di ritorno di cui si interessa IOM, ci ha detto il rappresentante, non sono in nessun modo collegati con la decisione da parte del governo pakistano di non rinnovare le registrazioni ai rifugiati afghani, ma esclusivamente in seguito all’instabilità della zona.

Alla domanda circa come IOM trasporti questi “undocumented afghans” nel Paese dal Pakistan, IOM Afghanistan ha declinato di commentare.