New York Times: Assange è una “spia russa,” ma le rivelazioni per cui è sotto accusa sono tutte vere

In un attacco quasi diffamatorio, il New York Times disegna un profilo durissimo per Julian Assange, leader di Wikileaks.

Twitter è scosso da un “reportage” del New York Times su possibili, ipotetici, famigerati collegamenti tra Julian Assange, leader di Wikileaks, e l’intelligence russa. Assange è stato attaccato in un pezzo così da cortina di ferro da aspettarsi che all’autore scappasse di chiamare l’intelligence russa – pardon, sovietica – KGB.

Il reportage, e il successivo dibattito mondiale, prendono il toro per le corna: Wikileaks è sempre stata dichiaratamente anti-americana e il leak della DNC — l’organo che gestisce il partito democratico statunitense — sembra effettivamente di provenienza russa. A questo si aggiungono le recenti paure per la tensione sempre  più alta tra hacker russi e NSA.

Il reportage, che comprende anche una lunga intervista con Assange stesso trasmessa su Facebook live, ha basi meno solide di un castello di cuscini. Ad esempio, tira in ballo alcuni tweet di Assange  contro la Turchia del settembre 2014, scritti proprio mentre i rapporti tra Mosca e Ankara erano al minimo storico. Oppure quella volta in cui, durante lo scandalo dei Panama Papers, il fondatore di Wikileaks ha fatto notare che malgrado la portata enorme dello scandalo l’unico leader politico coinvolto, l’unico, fosse proprio Putin.

Questo non significa che gli interessi di Wikileaks non possano sovrapporsi a quelli del Cremlino. C’è un presupposto che sembra completamente ignorato dalla stampa mondiale.

Wikileaks è un’organizzazione politica.

Dalla stessa pagina “About” del sito di Wikileaks, leggiamo:

I principi su cui basiamo il nostro lavoro sono la difesa della libertà di parola e di stampa, il miglioramento della storiografia comune, e il sostenimento dei diritti di tutti i popoli di creare una nuova Storia.

Sebbene questa possa sembrare una dichiarazione moderata, modesta, il dato di fatto nell’ambito della politica internazionale è che Wikileaks si pone in difesa contro personaggi, entità e stati che reputa negativi. Fin dal proprio primo exploit Assange e Wikileaks si sono posti in posizioni chiaramente anti-americane, pubblicando i famosi War Logs sulle guerre in Iraq e Afghanistan. In quell’occasione, alcuni documenti erano stati rilasciati in collaborazione con lo stesso New York Times.

Cosa è cambiato allora in questi sei anni?

La risposta offerta dal quotidiano newyorkese è di una banalità disarmante: quattro anni di reclusione avrebbero profondamente alterato Assange, in grave deficit di vitamina D a causa della vita di clausura, incattivito da dolori a tutto il corpo, vittima di una “severa depressione esacerbata dalle difficoltà legali.”

La storia del NYT si fa così incredibilmente semplice: nelle crescenti difficoltà, Assange, naturale nemico degli Stati Uniti, ha trovato come unico sollievo l’alleanza con il leader russo, di cui è diventato portavoce satellite. Ma qui il giornale di Dean Baquet cade in contraddizione. Sempre dall’About di Wikileaks:

Una delle nostre attività principali è pubblicare materiali originali insieme a notizie così che lettori e storici possano osservare di prima mano le prove della verità.

Nessun organo giornalistico parlerebbe mai di verità, non è giornalismo parlare di verità. Lo scopo che Wikileaks si prefigge fin dal suo primo giorno è quello di editorializzare la realtà.

Non si tratta quindi di giornalismo, ma di un impegno d’attivismo, inevitabilmente d’opinione. Tuttavia, a parte il recente caso dei leak turchi dell’AKP, abbastanza inconsequenziale e privo di grosse rivelazioni, le rivelazioni degli scorsi anni, e anche quelle del DNC del mese scorso, si sono effettivamente rivelate vere. Cosa può farci Julian Assange se la verità certe volte fa più piacere alla Federazione Russa che agli Stati Uniti?