Ucraina: la guerra dimenticata
Ogni giorno la guerra fa nuove vittime e la situazione non era così tesa dal febbraio 2015. Ma a nessuno sembra importare qualcosa.
Se non fosse per un highlight di due giorni fa sul Guardian, difficilmente l’Ucraina sarebbe tornata ad occupare uno spazio di rilievo su un’importante testata internazionale.
Un po’ si tratta del naturale ciclo di notizie, per cui i fatti più recenti scalzano via le notizie del giorno prima, e un po’ si tratta di malsana agenda setting, che testa quanto secondo i mass media un avvenimento è “notiziabile” per il pubblico — e, dopo più di due anni, dell’Ucraina non importa più nulla a nessuno: non solo all’opinione pubblica, ma anche ai chi ha gettato, più o meno direttamente, il Paese nel caos.
Oggi la guerra in Ucraina difficilmente fa notizia, ma ogni giorno fa nuove vittime e la situazione non era così tesa dal febbraio 2015, almeno secondo Shaun Walker, inviato ad Avdiyivka (nell’Est del Paese) e autore del sopracitato articolo del Guardian — un highlight condiviso appena 525 volte. Per fare un paragone, la notizia sull’evasione fiscale di Apple al momento ha 14,746 condivisioni.
Ad aumentare la tensione è stata una dichiarazione da parte russa secondo cui in Crimea sarebbe stato sventato un “attacco terroristico” nella prima metà di agosto. La dichiarazione è stata in seguito supportata dalla solita retorica di Putin, che ha portato molti a chiedersi, a Kiev come nelle altre capitali europee, se stia arrivando il momento per una nuova offensiva dei separatisti russi. Dall’inverno 2015, dopo gli accordi di pace a Minsk, i combattimenti su vasta scala sono cessati, ma le schermaglie di minore intensità si sono comunque protratte sul confine, e adesso, dopo queste vera o presunta minaccia terroristica, il cessate il fuoco potrebbe essere interrotto del tutto.
Ma il momento per un’eventuale escalation russa non sembra propizio: l’Europa è sempre più divisa in merito alle sanzioni contro la Russia e un suo attacco all’Ucraina non farebbe che ricucire le fratture. Senza contare che la strategia adottata finora da Putin — un’ibridazione di volontari, consiglieri militari e truppe regolari inviate al momento giusto, con annessa negazione di ogni singolo provvedimento — sembra aver funzionato piuttosto bene.
Inoltre, difficilmente l’esercito regolare ucraino potrà migliorare, senza un appoggio da parte dell’Unione Europea (e l’Unione Europea non ha alcun desiderio di imbarcarsi in un altro scontro con la Russia), e costituire di nuovo una minaccia fino al punto di convincere Mosca che un’invasione sia una buona idea.
Non bisogna confondere la situazione che c’è in Ucraina, anche orientale, con quanto successo in Crimea. Per Putin l’annessione della Crimea, che presenta un substrato sociale molto differente rispetto al resto dell’Ucraina, è stata una mossa difensiva.
Come spiega John Mearsheimer in un articolo apparso su Foreign Affairs con il titolo esplicativo “Perché la crisi in Ucraina è colpa dell’Occidente”, il triplice pacchetto costituito dall’allargamento della NATO, dall’espansione dell’Unione Europea e dalla promozione della democrazia ha gettato benzina sui tizzoni di un braciere mai davvero spento.
Così, quando nel novembre 2013 Yanukovych rifiutò un accordo di aiuti economici negoziato con l’Ue per accettare 15 miliardi di dollari dalla Russia, le proteste si riaccesero in un attimo, portando alla caduta di Yanukovych il 21 febbraio 2014 e a un nuovo governo fortemente pro-Occidente e anti-russo — oltre ad avere al suo interno diversi membri neofascisti che fanno sembrare i supporter del Presidente ungherese Orban dei miti democratici.
Per Putin quello era il momento di agire: poco dopo il 22 febbraio, ordinò alle forze russe di occupare la Crimea e, dopo un referendum di dubbia legittimità, incorporò il territorio alla Russia.
Tuttavia la Crimea era un bersaglio facile: non solo migliaia di truppe russe erano già stazionate nella base navale di Sevastopol, ma il 60% dei suoi abitanti è di origine russa, e molti di loro avrebbero voluto andarsene dall’Ucraina in ogni caso.
La stessa cosa non si può dire dell’Ucraina orientale. Se Putin decidesse di annettere le province di Donetsk e Luhansk sarebbe un atto così evidentemente offensivo che neanche la sua retorica a prova di bomba potrebbe confutare. E questo porterebbe a un conflitto aperto a cui Stati Uniti ed Unione Europea sarebbero costretti a rispondere. E nessuno, a partire proprio da Stati Uniti e Unione Europea, lo vorrebbe (e qui si potrebbero aprire parentesi che è meglio lasciare chiuse, come il bisogno che gli USA hanno della Russia per trovare una soluzione al ginepraio siriano e via dicendo).
Anche per la Russia attaccare l’Ucraina non sarebbe conveniente: le occupazioni militari solitamente finiscono male. Per rimanere nell’ambito della geopolitica di Mosca, basta ricordarsi di com’è andata a finire la guerra in Cecenia — il Vietnam della Federazione Russa.
In definitiva è molto improbabile che le rinnovate tensioni al confine tra Ucraina e Ucraina dell’Est portino a uno scontro aperto. Continuerà a succedere quello che già succede: ogni giorno qualcuno muore, nel completo disinteresse generale.