Gli attivisti dell’International Alliance Against Mandatory Detention hanno inscenato ieri una lettura pubblica ad alta voce dei “Nauru files,” i documenti riservati pubblicati poche settimane fa dal Guardian, contenenti i resoconti di oltre duemila incidenti avvenuti all’interno del centro di detenzione per richiedenti asilo di Nauru, nel Pacifico.
Anticipati di pochi giorni da una dura inchiesta di Amnesty International e Human Rights Watch, i documenti di Nauru hanno contribuito a svelare l’ordinarietà della violenza — fisica e psicologica — a cui sono costretti a sottostare i migranti che cercano di raggiungere l’Australia.
La protesta di ieri, tenuta di fronte all’ambasciata australiana a Londra, è durata circa 10 ore. “La durata, la monotonia e la ripetitività della lettura di ciascun documento riflette la normalizzazione della violenza e dell’inattività sopportata dai rifugiati mantenuti in detenzione indefinitamente,” ha detto al Guardian Sarah Keenan, una delle organizzatrici del sit-in.
Reading late into the night for #NauruFilesReading @sarahjkeenan #CloseTheCamps #naurufiles #Nauru #BringThemHere pic.twitter.com/ZW2AsgSp7W
— Nadine El-Enany (@NadineElEnany) August 26, 2016
Dietro la postazione con cassa e microfono, gli attivisti hanno esposto un manifesto in memoria di Omid Masoumali, un rifugiato iraniano di ventitré anni che a maggio scorso si è dato fuoco a Nauru, morendo all’ospedale di Brisbane due giorni dopo. Secondo la moglie, Masoumali sarebbe stato soccorso con grave ritardo e lasciato in agonia per otto ore.
Next #NauruFilesReading about woman saying she wants to die, life not worth living… #violenceagainstrefugees pic.twitter.com/gahcOmmnKg
— Ruth Fletcher (@fletcher_ruth) August 26, 2016
Australian Embassy for durational #NauruFilesReading – horrific account of refugee detention centres #closethecamps pic.twitter.com/YonsFh5v2B
— Global Justice Now (@GlobalJusticeUK) August 26, 2016
Con lo slogan Close the camps, in occasione della giornata mondiale dei rifugiati, il 20 giugno scorso, gli stessi attivisti hanno portato di fronte all’ambasciata australiana londinese un canotto gonfiabile, simbolo del viaggio precario e disperato dei migranti. Proteste simili si sono tenute contemporaneamente a New York, Berlino, Santiago e Wellington.
Pochi giorni dopo la pubblicazione dei documenti, il governo australiano e quello della Papua Nuova Guinea hanno dato notizia della prossima chiusura del centro di detenzione di Manus Island, gestito con criteri e condizioni molto simili a quello di Nauru. Ma è probabile che la decisione sia stata presa per le pressioni del governo guineano, indipendentemente dalla pubblicazione dei Nauru files — che anzi sono stati accolti da Peter Dutton, il ministro dell’immigrazione australiano, quasi con scherno: Dutton ha detto che i migranti praticano autolesionismo apposta per essere portati in Australia, che paragonare Nauru a Guantanamo è ridicolo, e ha duramente attaccato il Guardian e la ABC per la loro copertura della vicenda, oltre che Save the Children, accusata di aver fatto trapelare i documenti.