Dal 10 agosto, tutti i migranti che torneranno in Italia dopo aver provato a entrare illegalmente in Francia verranno deportati con documenti di espulsione coatta nei CIE del Sud Italia. Il provvedimento era già stato annunciato dal capo della polizia Franco Gabrielli nel corso della sua ultima visita a Ventimiglia, e il governatore della Liguria Toti spera che le deportazioni tengano il ritmo di “un pullman al giorno”.
Il provvedimento, a livello umanitario, è un grosso passo indietro per lo Stato italiano.
Le deportazioni al Sud sono state in realtà già messe in atto più volte negli ultimi mesi. Su The Submarine abbiamo già raccontato la storia di A, un giovane sudanese costretto a percorrere la penisola su e giù più volte, e il destino di alcuni migranti che avevano provato a valicare la frontiera di Como. Ma questa volta il proposito sembra essere più fermo e sistematico.
Varie figure politiche hanno promesso o chiesto che non arrivassero più “i profughi a Ventimiglia”: prima il Ministro Alfano, in primavera; recentemente Toti, che qualche giorno fa è pure andato al campo della Croce Rossa lungo il fiume Roja a dire ai migranti che “da qui non avete speranza di passare in Francia, perciò accettate di trasferirvi in altri campi più attrezzati in altre località d’Italia”.
È profondamente illogico.
Anche i sassi oramai sanno che quasi nessuno dei profughi che arrivano in Italia vogliono restarci, ma semplicemente passare il confine per andare in Nord Europa. Toti sbaglia quando dice che i migranti non hanno alcuna possibilità di arrivare in Francia – in molti casi vengono fermati, ma una percentuale consistente, dopo qualche tentativo, riesce a non farsi rimandare indietro. Dopo gli attentati di Nizza, la polizia francese ha inasprito i controlli, ma quella di Toti è una scusa bella e buona.
Immaginiamo di essere un profugo che deve andare in Francia. Arriva a Lampedusa dopo un viaggio di mesi, tra mille pericoli mortali e molti soldi spesi – quelli che ha guadagnato facendosi sfruttare in Libia o che la sua famiglia è riuscita a dargli. Ha con sé ancora qualche soldo per arrivare al Nord Italia e passare il confine – magari per pagare uno spallone. Arriva a Ventimiglia, dopo qualche giorno di viaggio sui treni regionali.
In qualche modo riesce a passare il confine, ma viene pizzicato dalla polizia francese, che lo riporta sul confine italiano. E lo Stato italiano che fa? Lo riporta vicino a dove è sbarcato, da dove proverà a prendere un altro treno per il Nord. Probabilmente chiedendo soldi alla famiglia in patria – e, come A. ci ha detto, un biglietto del treno regionale vuol dire molti soldi nella valuta dei Paesi da dove queste persone provengono. Amen.
Forse il governo italiano ha ricevuto pressioni da quello francese – la politica di velata complicità del nostro Paese con i migranti che vogliono passare il confine è sempre stata irritante per tutti i nostri vicini. Il problema va risolto a livello europeo, e finché la Francia, la Svizzera, l’Austria, continueranno ad alzare muri, controlli e paranoie, la situazione non potrà che peggiorare.
Qual è lo scopo di questo provvedimento? Costringere i migranti a percorrere su e giù la penisola mezza dozzina di volte finché finiscono i soldi della loro famiglia e la volontà di vivere? Chissà, magari per pagarsi il biglietto del treno inizieranno a cercare lavoro nelle campagne della zona, aggravando il fenomeno già incancrenito dello sfruttamento agricolo dei migranti – che con un eufemismo viene chiamato caporalato, ma assomiglia più a un modello di agricoltura feudale.
Lo Stato italiano verso i profughi ha sempre adottato una politica perlomeno neutra, caso più unico che raro in un’Europa sempre più carica di spinte discriminatorie e razziste. Ha sempre chiuso un occhio sui migranti che attraversano il suo territorio, e nonostante la gestione dei flussi e delle strutture d’accoglienza sia stata spesso insufficiente non si può dire che si sia comportato in modo crudele verso i migranti.
Questo, invece, è un provvedimento crudele.