Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha pubblicato due giorni fa il risultato di un’investigazione condotta nel corso di quattordici mesi sulla polizia di Baltimora, avviata dopo la morte del venticinquenne Freddie Gray ad aprile 2015
Freddie Gray era stato arrestato senza nessuna ragione apparente e caricato dentro un furgone, ammanettato e senza cinture di sicurezza. Ricoverato immediatamente dopo l’arrivo alla stazione di polizia, sarebbe morto una settimana dopo per le complicazioni dei traumi ricevuti alla spina dorsale durante il trasporto. Al momento dell’arresto, Gray aveva detto di non riuscire a respirare — come il connazionale Eric Garner a luglio 2014, diventato poi uno dei simboli del movimento Black Lives Matter — ma non aveva ricevuto assistenza medica. Tra maggio e luglio di quest’anno, tutti gli ufficiali di polizia sotto processo per la sua morte sono stati assolti.
Leggendo le 163 pagine del rapporto, la morte di Freddie Gray guadagna il suo più ampio e inquietante contesto: emergono anni di ingiustizie e violazioni costituzionali ai danni della comunità afroamericana della città — che, con il 63%, costituisce la maggioranza. Un sistematico e quotidiano modus operandi di profilazione razziale, che si traduce in un numero enorme di fermi e perquisizioni non giustificate e in un utilizzo esagerato della forza.
I dati sono impietosi. Degli oltre 300 mila fermi pedonali registrati dal 2010 al 2015 — un numero che secondo gli estensori del rapporto è ampiamente sottostimato — il 44% è stato eseguito in poche aree della città, a maggioranza afro-americana, in cui vive appena l’11% della popolazione. Soltanto il 3,7% del totale si è poi tradotto in arresti e carichi penali effettivi. Delle 410 persone che in cinque anni sono state fermate più di 10 volte, il 95% erano afroamericani. In totale, l’86% di tutte le accuse di reato sono state a carico di afroamericani. Gran parte degli arresti — come nel caso di Freddie Gray — avviene senza ragionevoli sospetti di attività criminali.
Queste pratiche sono il risultato di una politica di “tolleranza zero” inaugurata alla fine degli anni Novanta, che ha aumentato la discrezionalità della polizia nel fermare e perquisire i sospettati anche soltanto per uno sguardo storto o un passo troppo veloce. Nel periodo di tempo analizzato, 6500 persone sono state arrestate per “schiamazzi e molestie” (disorderly conduct); 4000 per disobbedienza a pubblico ufficiale; altre 6500 per non essersi fermate a un alt.
Il rapporto è pieno di esempi del genere: a gennaio 2013, un giovane afro-americano viene fermato mentre cammina semplicemente per strada in un’area “ad alto tasso di criminalità“ indossando una felpa con il cappuccio; gli viene trovato addosso un coltello, che viene sequestrato; opponendo resistenza all’arresto — eseguito senza nessuna base legale — viene ammanettato e picchiato e immobilizzato con il Taser. Portato all’ospedale per essere curato, alla fine non riceverà nessuna accusa penale.
Gli agenti vengono specificatamente istruiti dai loro superiori a “ripulire gli angoli delle strade,” anche in mancanza di sospetti di attività criminale.
Tra i casi peggiori di perquisizioni ingiustificate, c’è quella ai danni di una donna, fermata per un guasto al fanale della sua auto e spogliata e perquisita in mezzo alla strada. In modo simile, un minorenne — fermato perché gli agenti cercavano il fratello maggiore, sospettato di traffico di droga — viene spogliato e perquisito senza motivo (e senza risultato) di fronte alla sua ragazza.
Gli arresti immotivati vengono stimati nella media impressionante di duecento al mese. In molti casi, le vittime vengono arrestate semplicemente perché “non riescono a dare una spiegazione valida” per trovarsi in un certo punto della città — e spesso vengono trattenute per ore. Il tutto accompagnato da insulti razzisti e derisori.
L’uso eccessivo di violenza instaura un circolo vizioso di paura nei confronti delle forze dell’ordine e non risparmia gli individui più deboli, giovanissimi — tra i casi più eclatanti, l’arresto nel 2007 di un bambino di sette anni che stava seduto su una motocicletta spenta — o affetti da problemi mentali — gestiti quasi sempre da agenti senza specifico addestramento.
Un capitolo a parte è dedicato alla condotta inadeguata e maschilista degli agenti quando si tratta di gestire casi di violenza sessuale, sistematicamente sottovalutati e riportati — allusivamente o esplicitamente — alla responsabilità delle vittime.
Il dipartimento di polizia di Baltimora è messo sotto accusa anche per non aver mai preso provvedimenti adeguati contro gli abusi, o per aver fornito agli investigatori documentazione incompleta o insufficiente, specie per quanto riguarda gli episodi in cui l’uso della violenza si è rivelato fatale.
Soltanto pochi casi ottengono copertura mediatica arrivano all’attenzione del pubblico — e sono purtroppo i più tragici, come quello di Freddie Gray o, più recentemente, di Korryn Gaines, ventitré anni, barricatasi in casa per opporsi all’arresto (probabilmente immotivato) e uccisa dalla polizia di fronte al figlio di cinque anni. Ma per la comunità afro-americana della città si tratta di una realtà quotidiana, ben nota e frequentemente denunciata, tanto che il rapporto del Dipartimento di Giustizia suona come una scoperta dell’acqua calda.
Già nel 1980, prima ancora della “tolleranza zero,” la NAACP aveva chiesto un’indagine sulla brutalità della polizia di Baltimora. Nel 2006 era stata messa sotto accusa anche dall’ACLU del Maryland (la American Civil Liberties Union) per l’alto numero di arresti e perquisizioni illegali. Un primo tentativo di riforma è stato avviato dal sindaco Rawlings-Blake nel 2012, con la nomina di un commissario ad hoc, e poi più decisamente dopo la morte di Gray, che aveva suscitato accese manifestazioni di protesta.
Il rapporto di martedì sarà seguito da un consent decree tra il Dipartimento di Giustizia e la città, per avviare un profondo rinnovamento del corpo di polizia. Gli agenti saranno ri-addestrati e organizzati in modo da abbandonare le strategie e le abitudini adottate negli ultimi trent’anni, che — come riconosce l’attuale commissario Kevin Davis — “hanno danneggiato il tessuto comunitario e creato ostacoli a un’azione di polizia efficace.” Il sindaco Rawlings-Blake si auspica che il dipartimento di Polizia di Baltimora possa diventare un modello per l’intera nazione.
Nel frattempo, indagini simili sono in corso anche in un’altra dozzina di città ad alto tasso di segregazione razziale, incluse Chicago, Cleveland e Ferguson.