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Il nuovo centro d’accoglienza di Ventimiglia è gestito dalla Croce Rossa e si trova in un posto sperduto – lungo un vecchio scalo ferroviario in una zona industriale in disuso. Ci si può arrivare solo dopo un percorso tortuoso lungo la strada a scorrimento veloce che porta dal centro città verso l’autostrada. Fino all’altroieri, il campo poteva contenere circa 150 persone. Da ieri, invece, le sue dimensioni sono più che raddoppiate. Nel centro nuovo entrano i migranti maschi. Nel vecchio centro d’accoglienza gestito dalla Caritas, invece, possono entrare solo donne, anziani e famiglie.

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Prima, successivamente allo sgombero del parcheggio davanti alla Chiesa, un gran numero di rifugiati avevano trovato riparo in una ex stalla situata vicino al centro d’accoglienza, sempre in una struttura ferroviaria. L’altro ieri, è stata sgomberata e i profughi sono entrati quasi tutti nel centro. Una volta lì, hanno una settimana di tempo per decidere se richiedere asilo in Italia o varcare la frontiera con la Francia. “Di quasi 600 persone che ho visto passare, solo quattro famiglie hanno fatto richiesta d’asilo qui in Italia,” ci dice una volontaria della Caritas di Ventimiglia.

Il vecchio centro della Caritas è ancora aperto, e visitarlo è molto più facile rispetto al centro della Croce Rossa – pesantemente sorvegliato da polizia e carabinieri. Si trova nel cortile di una chiesa, dove siamo riusciti a parlare con qualcuno che ha già provato ad andare in Francia ed è stato respinto. La maggior parte delle persone che arrivano sul confine infatti riescono ad attraversarlo, ma vengono fermati poco dentro il territorio francese, a Nizza o Mentone. Qui vengono catturati e rispediti in Italia, a Ventimiglia.

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“Ero con altri due ragazzi,” ci racconta A., un ragazzo di 22 anni proveniente dal Sudan. “Quando ci hanno fermato in Francia ci hanno chiesto le impronte. Io gliele ho date subito. Gli altri due si sono rifiutati e i poliziotti hanno iniziato a picchiarli con il manganello.” La polizia francese ha la fama di essere più severa – o cattiva – coi migranti rispetto a quella italiana. “L’anno scorso alcuni migranti minacciavano di buttarsi a mare,” ci racconta un bagnino del posto. “La polizia italiana era preoccupata, mentre quella francese in sostanza ha detto — beh, se volete buttarvi, fatti vostri.”

Dopo l’attentato a Nizza, le cose sono solo peggiorate. La stessa volontaria della Caritas ci racconta che la polizia francese in alcuni casi ha lanciato i cani contro i migranti. “È tornato qui un ragazzo che continuava a tremare perché la polizia gli aveva aizzato contro i cani e lo avevano morso,” ci racconta. “Ci diceva che stava così male non per il dolore, che non era poi tanto, ma per l’umiliazione.”

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Continuiamo a parlare con A. “Quando sono arrivato a Ventimiglia, lo Stato italiano ha deciso che dovevo essere trasferito al centro di Taranto” (dove sono stati trasferiti anche alcuni migranti che cercavano di passare il confine di Como). E così è stato. Ma A., come praticamente tutti quelli che sbarcano sulle nostre coste, in Italia non ci vuole stare. “A Taranto ti prendono le impronte, poi ti lasciano libero di fare quello che vuoi. Ma non c’è niente da fare. Così ho subito cercato di ritornare qui per passare il confine.” Tutto questo è successo in meno di due settimane: più di duemila chilometri che lo stato lo ha costretto a percorrere, in parte a proprie spese, completamente inutili.

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“Non c’era lavoro a Taranto, quindi ho chiamato la mia famiglia e mi sono fatto inviare i soldi dal Sudan per tornare a Ventimiglia. Solo che il prezzo del biglietto del treno…sono solo qualche decina di Euro, ma in Sudan equivalgono a circa 2000 (in valuta locale, praticamente uno stipendio, ndr). Se succedesse un’altra volta non credo che potrei richiedergli i soldi per fare il viaggio da Taranto a qui.”

Adesso, diversamente dagli altri, A. è alloggiato al centro della Caritas. “Quando arriva qualcuno qui, non possiamo accoglierlo, o dargli da mangiare,” ci racconta la volontaria, “altrimenti si ricreerebbe la situazione del mese scorso, con tutti i migranti accampati nel parcheggio. Abbiamo messo una tanica dell’acqua all’ingresso, ma poi i migranti che arrivano da soli devono andare nel centro nuovo, sulla ferrovia.” I volontari ci raccontano ancora di qualche episodio accaduto nelle scorse settimana – ad esempio, quello di un ragazzo africano che appena ha capito di essere in un luogo sicuro dopo mesi di pericoli è addirittura svenuto per il calo della tensione psciologica. O la storia di un altro ragazzo africano, che dopo essere stato tenuto in ostaggio e stuprato per un mese in Libia è arrivato al centro in condizioni psicologiche così gravi – fino a quelli che sembravano attacchi epilettici – da dover essere portato in ospedale.

Tutto questo continua ad accadere nell’indifferenza o con l’effettiva complicità delle istituzioni regionali. L’altro ieri, la maggioranza del Consiglio Regionale ha respinto una mozione preparata dal PD che richiedeva l’invio di alcuni uomini della protezione civile a Ventimiglia. La Lega Nord, fautrice del no alla mozione, ha commentato così: “E’ assurdo inviare i volontari della Protezione Civile a Ventimiglia per gestire degli immigrati, sono quasi tutti maschi ventenni con lo smartphone che non sembrano aver mai patito la fame.”