Il proibizionismo è fallito dal momento in cui esiste una droga illegale che non è percepita come tale. È arrivato ieri in Parlamento con 221  sostenitori (ne servono 315 per la maggioranza) il ddl per la legalizzazione della marijuana, ma dopo sei ore di dibattito è stato rimandato tutto a settembre. La legge è stata promossa dall’intergruppo parlamentare Cannabis Legale e tra i sostenitori ci sono 87 deputati del Movimento cinque stelle, 85 del Pd, 24 di Sinistra italiana, 16 di Alternativa libera-Possibile, 7 di Scelta civica e due di Forza Italia.

I punti discussi sono, in sintesi:

  • Per uso ricreativo i maggiorenni possono possedere 5 grammi fuori casa e 15 in casa. Lo spaccio di piccole dimensioni rimane comunque illecito. La detenzione per uso terapeutico è consentita nei limiti prescritti dal medico, anche oltre il limite previsto per l’uso ricreativo;
  • La coltivazione è permessa fino a un massimo di 5 piante. Tale attività dovrà essere comunicata all’Ufficio regionale dei Monopoli;
  • È possibile per i cittadini italiani maggiorenni coltivare all’interno di associazioni non a scopo di lucro;
  • Con una autorizzazione è possibile coltivare e lavorare la cannabis, ma importazione ed esportazione sono vietate;
  • È vietato fumare marijuana e hashish  in luoghi pubblici, aperti al pubblico e negli ambienti di lavoro, pubblici e privati. Sarà possibile fumare solo in spazi privati, sia al chiuso, che all’aperto;
  • Le leggi sulla guida in stato di alterazione rimangono invariate: è vietato guidare dopo aver fumato;
  • Il 5% dei proventi della legalizzazione verranno reinvestiti dallo Stato per finanziare i progetti del Fondo nazionale per la lotta alla droga;

Benedetto Della Vedova, senatore e sottosegretario agli Esteri, sa che non sarà un percorso facile soprattutto visti gli oltre 2 mila emendamenti presentati.

 

Anche questa volta il Parlamento italiano ci sta mettendo i suoi tempi e intanto l’Italia si colloca tra i Paesi europei con i più alto tasso di consumo di cannabis. Secondo i dati raccolti dall dipartimento politiche antidroga nel 2014, 69mila ragazzi tra i 15 e i 19 anni ha fatto uso almeno una volta di cannabis nell’anno analizzato. Tra i 15 e i 64 anni sono 2,3 milioni. L’altissimo tasso di consumazione di droghe in Italia rende alle mafie un contributo che oscilla tra  5,5 miliardi e gli 8,5 miliardi di euro.

Questi dati sono la prova che il proibizionismo ha perso la sua battaglia e che solo con la legalizzazione le cose cambierebbero: la criminalità organizzata subirebbe un duro colpo e il consumo dovrebbe addirittura diminuire.

Com’è possibile che la legalizzazione non diventi un incentivo al consumo?

La principale polemica è quella mossa da chi vede nella legalizzazione la tomba di uno Stato moralmente accettabile. “Non voglio che mi figlia appena 18enne possa andare dal tabaccaio a comprare sostanze stupefacenti. Finché la marijuana è illegale i nostri figli avranno una remora civica e morale nell’andare dallo spacciatore, ma quando sarà lo Stato a farsi spacciatore sarà diverso,” diceva Mario Adinolfi a In Onda su La7 pochi mesi fa.

Tra i sostenitori del proibizionismo non poteva mancare Matteo Salvini che ha infelicemente affermato “allora legalizziamo anche la prostituzione. Il sesso non fa male, la droga sì.”

Il problema socioculturale della realtà delle droghe leggere sta nel fatto che nessuno percepisce più la cannabis come illegale nel suo consumo. E tra i miei amici i pochi che non fanno uso di marijuana hanno fatto una scelta controtendenza non perché il consumo o la detenzione sia illegale, ma perché nuoce alla salute. Questa è l’unica verità, come afferma il professore Alberto Veronesi: “Ho sette figli e 16 nipoti: nessuno di loro fa uso di alcol, droghe o tabacco, non perché sia illegale, anzi la trasgressione ha sempre fatto parte della crescita dell’adolescente, ma perché ho spiegato loro la gravità dei danni permanenti di tali sostanze.”

La legalizzazione può portare verso una maggiore consapevolezza: normalizzando il consumo si potranno raccogliere dati più certi e meno nebulosi rispetto a quelli che oggi riguardano il mercato nero.

Come è possibile che la facile reperibilità non aumenti il problema della dipendenza da cannabis? Come ha recentemente fatto notare Roberto Saviano, sostenitore del ddl, i dati parlano chiaro: “Il Portogallo nel 2001 depenalizza la cannabis e lì in 15 anni diminuisce il consumo. L’Uruguay nel 2013 e il Colorado nel 2014 ne legalizzano il commercio a scopo ricreativo: e anche lì il consumo diminuisce invece di aumentare”.

In questi Paesi le droghe sono state progressivamente trattate come un problema medico e non come un problema legale.

Il Colorado è stato il primo esempio di legalizzazione del consumo di cannabis negli USA nel 2014 con l’approvazione dell’emendamento 64. L’analisi degli effetti della legalizzazione è stata svolta nei minimi dettagli da medici e antropologi nel corso degli anni. La possibilità di osservare da vicino una realtà che è emersa progressivamente da un sottosuolo prima illegale, ha permesso di scoprire diminuito il tasso di consumo di stupefacenti e non aumentato l’uso tra gli adolescenti.

L’intervento va fatto alla radice: il problema non è il consumo, ma l’abuso, come per qualunque dipendenza. E l’abuso esiste anche per quanto riguarda sostanze legali. Occorre intervenire sui disagi sociali che portano il soggetto ad abusare di qualunque tipo di sostanza. La legge discussa ieri propone, infatti, che gli introiti ricavati dal monopolio vengano reinvestiti in progetti statali di assistenza per i tossicodipendenti.

È molto facile pensare che questo sia un semplice circolo vizioso dello Stato che reinveste nel danno che lui stesso ha creato, probabilmente arricchendosi nel mentre – ma è un pensiero banale. Il tossicodipendente non è il consumatore saltuario di cannabis. L’approvazione del ddl potrebbe portare nelle tasche dello Stato fondi consistenti per limitare i danni delle restanti droghe, le cosiddette droghe pesanti.

Con la legalizzazione non verrà debellata la criminalità organizzata, ma se ne indebolirà la rete.

È un falso mito quello che afferma che il monopolio statale strapperà dalle mani del mercato nero gestito dalla criminalità organizzata lo spaccio e la distribuzione di sostanze stupefacenti. Certamente ridurrà l’esistenza di piazze di spaccio delle città, ma i consumatori di droghe pesanti continueranno a rivolgersi alla camorra e alla ’ndrangheta.

Secondo la Direzione nazionale antimafia si tratta di un mercato che oscilla tra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi di cannabis venduti ogni anno. Per questo motivo gli introiti della legalizzazione dovranno andare a finanziare progetti di intervento mirato contro la distribuzione illegale di stupefacenti, quali eroina, cocaina e droghe sintetiche.

Sottrarre alle mafie lo spaccio delle droghe leggere indebolirà il mercato nero del narcotraffico e sarà un disincentivo a finanziarlo. Questo potrebbe sembrare un passo dello Stato verso le mafie, uno scendere a patti come molti dicono, ma è anche un modo per limitare i danni di un fenomeno che ha effetti gravissimi anche sul terrorismo internazionale.

I gruppi terroristici si finanziano grazie al narcotraffico di sostanze stupefacenti e per quanto riguarda i paesi del Medio Oriente si tratta proprio di cannabis. Dalle zone di conflitto vengono importate sostanze stupefacenti. A comporre la cosiddetta Triade (del nome dell’inchiesta svolta dalla Procura di Palermo contro il narcotraffico) sono la Camorra, la Mafia e i narcoterroristi.

Hezbollah controlla la maggior parte delle piantagioni di marijuana e cannabis libanesi della zona di Bekaa, l’Isis ha le mani sull’enorme piantagione di Lazarat in Albania, le Farc colombiane riforniscono di droghe leggere e pesanti Europa e Nord America e così via.

Il ddl prevede la possibilità della coltivazione ad uso privato ma non il commercio, chiudendo così all’interno del Paese i proventi di tale attività, almeno per quanto riguarda le droghe leggere.

Ad oggi la legge che vieta l’assunzione e il possesso di sostanze stupefacenti è la Iervolino-Vassalli del 1990, recuperata dopo che la Cassazione ha dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi nel 2014. Quest’ultima cancellava ogni distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, stabiliva la soglia di 5 grammi per uso personale, limitava l’uso terapeutico e introduceva una pena fino a quattro anni per lo spacciatore — ovviamente senza grandi distinzioni tra lo spaccio di cannabis e lo spaccio di eroina. Secondo quanto si legge sul VII Libro Bianco sulle droghe presentato alla Camera dei deputati a fine giugno, il peso maggiore dell’attuale legislazione si percepisce nelle carceri dove un detenuto su quattro è condannato per uso o possesso di droghe.

Negli ultimi vent’anni, l’iter burocratico ha ucciso le proposte di legge per la legalizzazione. Ma possiamo essere fiduciosi perché nonostante il conservatorismo del nostro Parlamento, con anni di ritardo e molta fatica, leggi sul divorzio, sull’aborto e sulle unioni civili rappresentano ad oggi lente, ma importanti, conquiste.