A chi serve lo stato d’emergenza
Lo stato di emergenza, rinnovato per la quarta volta da novembre 2015, è prima di tutto un efficace strumento di repressione interna.
Al momento in cui scrivo, le indagini non hanno rivelato nessun legame esplicito tra Mohamed Lahouaiej Bouhlel — il conducente del camion — e la galassia del terrorismo islamista, né è arrivata alcuna rivendicazione dell’attentato. Nell’appartamento di Bouhlel non sono state trovate armi, e i conoscenti concordano nel descrivere come piuttosto blanda la sua osservanza musulmana. Al contrario, è emerso con certezza che l’uomo era depresso e aveva precedenti penali per violenza privata.
Il Ministro dell’interno Cazeneuve ha ribadito in serata che non c’è evidenza di nessun legame tra Bouhlel e l’Islam radicale, smentendo le affermazioni avventate, in senso opposto, dello stesso Primo ministro Manuel Valls.
Edit: questa mattina l’agenzia di propaganda Amaq ha riconosciuto Bouhlel come “soldato dello Stato Islamico.” Gli inquirenti stanno ancora indagando.
Nonostante questo, il dibattito su Stato Islamico e terrorismo internazionale ha subito monopolizzato i media — specialmente quelli italiani, con la ben rodata retorica dello scontro di civiltà — e si è ripercosso sulle prime reazioni politiche alla strage.
Il Presidente Hollande ha parlato per la prima volta alle 3.45 del mattino di venerdì, definendo “innegabile” la natura terroristica dell’attacco. “Dobbiamo fare qualsiasi cosa per lottare contro la piaga del terrorismo. Dobbiamo alzare ancora il nostro livello di protezione.”
Tra le decisioni annunciate, oltre al proposito di “rinforzare ulteriormente le nostre azioni in Siria e in Iraq,” c’è il prolungamento dello stato di emergenza, il famigerato état d’urgence proclamato all’indomani degli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, che avevano lasciato sul terreno 130 morti.
L’état d’urgence è normato da una legge promulgata nel 1955, agli inizi della Guerra d’Algeria — e da allora applicato soltanto altre due volte, nel 1987 in Nuova Caledonia e nel 2005 per la prima volta su territorio francese (ma solo in alcuni dipartimenti), per reprimere le rivolte nelle banlieue parigine, sotto la presidenza di Jacques Chirac. In quel caso fu esteso fino a tre mesi.
Proclamato dal Consiglio dei ministri, lo stato di emergenza entra in vigore con una scadenza naturale di 12 giorni, e per essere prolungato ha bisogno di un apposito provvedimento legislativo. L’emergenza dichiarata dopo gli attentati di Parigi è già stata prolungata tre volte, di tre mesi in tre mesi: la prima volta, il 20 novembre scorso, con una maggioranza schiacciante di 577 voti contro 6 all’Assemblea Nazionale, e all’unanimità in Senato. Poi, rispettivamente, a fine febbraio e a fine aprile di quest’anno — per arrivare a coprire gli Europei di calcio e il Tour de France.
Il provvedimento conferisce ai prefetti una discrezionalità quasi assoluta per quanto riguarda la limitazione della libertà di circolazione e manifestazione; facilita l’assegnazione alla libertà vigilata; permette perquisizioni domiciliari in ogni momento; rende non necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per le indagini su attività terroristiche.
Con il rinnovo di maggio, era stata esclusa la possibilità delle perquisizioni amministrative senza intervento del giudice — ora verrebbe invece reintegrata.
Con una certa tragica ironia, Hollande aveva annunciato proprio giovedì 14 luglio l’imminente rimozione dello stato di emergenza, dichiarando che non avrebbe senso estenderlo indefinitamente, perché significherebbe che la legge “non viene più applicata.”
A febbraio, lo stesso Hollande aveva premuto per l’approvazione di una riforma costituzionale che avrebbe normalizzato alcune misure emergenziali — tra le più contestate, la possibilità di privare della nazionalità francese le persone condannate per terrorismo — provocando, tra l’altro, le dimissioni della Ministra della Giustizia Christiane Taubira.
Il dietrofront dopo la strage di Nizza rischia di prolungare l’état d’urgence fin quasi all’anniversario della sua proclamazione. L’opposizione politica è quasi nulla. Al contrario, non manca chi sostiene apertamente la necessità di rendere permanente l’emergenza, mentre Christian Estrosi, presidente della regione Provenza–Alpi–Costa Azzurra, ha criticato Hollande per l’improvviso cambio di programma, sostenendo che da vari mesi Nizza aveva chiesto rinforzi di polizia.
Siamo di fronte a un doppio non sequitur: lo stato di emergenza anti-terrorismo viene prolungato a seguito di una strage che potrebbe non aver nulla a che fare con il terrorismo, ma che comunque lo stato di emergenza stesso, tuttora in vigore, non ha potuto impedire — così come la precedente tornata di leggi speciali sulla sorveglianza telefonica e informatica, approvata a giugno 2015 e giustificata con la ragion di Stato post-Charlie Hebdo, non è servita a evitare gli attacchi di novembre.
Nei primi 90 giorni di applicazione, su oltre 3.500 raid e circa 400 arresti domiciliari, solo cinque indagini per attività terroristiche sono state effettivamente aperte, e una sola persona è finita sotto processo. Viceversa, due duri rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch hanno ampiamente documentato gli abusi e le violenze della polizia durante le perquisizioni e i fermi, mentre numerosi dubbi sulla reale efficacia dello stato di emergenza sono stati sollevati anche in occasione dei disordini tra i tifosi durante le prime partite degli Europei. A inizio luglio, una commissione parlamentare d’inchiesta ha definito “limitato” l’impatto sulla sicurezza dello stato d’emergenza.
Poco efficace sul piano della lotta al terrorismo, ma strumento perfetto per la repressione del dissenso interno: oltre ai musulmani fatti oggetto di indagini e intimidazioni, vittime della svolta autoritaria Hollande–Valls sono stati sin da subito attivisti e militanti politici. Il primo vero banco di prova delle nuove misure è stato offerto infatti dai manifestanti che, nonostante i divieti, sono scesi in piazza a più riprese durante la COP21, mentre le proteste contro lo stato di emergenza si sono susseguite a cadenza quasi mensile, sin dai giorni immediatamente successivi all’attacco.
Il massimo storico della repressione legalizzata in Francia ha finito per coincidere con i mesi di lotta più caldi degli ultimi decenni, con le proteste serrate di studenti e sindacati contro la Loi Travail, la riforma del lavoro fatta passare forzatamente in Parlamento da Valls. Sembra anzi che il prolungamento dello stato di emergenza sia servito a cementare il fronte del dissenso — mentre i manifestanti hanno dovuto sperimentare sulla propria pelle una gestione sempre più militarizzata degli scontri da parte della polizia. Alla destra parlamentare non resta che criticare il governo per la sua reazione troppo blanda e infruttuosa — come nel caso dell’occupazione continuativa di Place de la République da parte degli attivisti di Nuit Debout — salvo poi offrire i propri voti ogni volta che c’è da rinviare la scadenza dell’urgence.
La reazione guerresca alle crisi è ormai lo schema standard adottato da Hollande e dal Partito Socialista, evidentemente incapaci di offrire soluzioni complesse a una società sempre più spaccata. Insieme al rinnovo dello stato d’emergenza, il Presidente ha dichiarato nella conferenza stampa di venerdì mattina che sarà tenuto “alto” il livello dell’Operazione Sentinelle, che disloca nelle strade delle città francesi più di 10mila militari. La Francia, senza dubbio, è un Paese in guerra — ma con se stesso.