San Siro tra degrado e iniziativa sociale
Continua il giro tra i quartieri popolari di Milano per documentare la situazione sociale e abitativa. Oggi è il turno di San Siro, il quartiere con uno stadio e due facce.
Il quartiere di San Siro ha uno stadio e due facce. La prima faccia è ricca – il quartiere dei calciatori, tra i più esclusivi della città. La seconda è povera, poverissima, un agglomerato di case popolari tra le più degradate e depresse di tutta Milano. Il viaggio di The Submarine per i quartieri popolari di Milano riparte da qui.
Come Corvetto, San Siro è stato realizzato durante il fascismo, con la tipica logica razionalista dell’epoca e addirittura la stessa la pianta poligonale. Ma mentre Corvetto è stato pensato almeno all’inizio per ospitare vari strati sociali in modo armonico, San Siro assomiglia a un ripostiglio dove alloggiare i più poveri senza troppi complimenti: fin dal progetto originale è stato sacrificato il verde e lo spazio pubblico, creando un’area ad altissima densità abitativa simile a un dormitorio senza vita. In compenso gli architetti si premurarono di rendere esplicita la loro fedeltà al regime, disponendo alcune case a formare la scritta DUX. Qualcosa però è andato storto e oggi da GoogleMaps si può leggere più o meno DUO.
Nei successivi ottant’anni, la situazione non è affatto migliorata: lo si nota al primo colpo d’occhio. Alcuni palazzi sono così malridotti da sembrare scampati a qualche azione militare. “Lavoro qui da 35 anni e non ho mai visto fare nessun intervento di restauro,” sostiene il titolare di una tintoria in via Ricciarelli. “Soprattutto negli ultimi 5 o 6 anni la situazione è diventata ingestibile. Abbiamo anche mandato una raccolta firme ad Aler ma non hanno fatto nulla. Il mio ormai è l’ultimo negozio aperto.” La sua vetrina è in un palazzone grigio che sembra sul punto di sgretolarsi da un momento all’altro: ampi pezzi dell’intonaco si sono scrostati, lasciando vedere i mattoni sottostanti. Su quello che resta, dilagano le macchie di umidità. Le altre vetrine lungo la strada sono vuote.
Quello dei negozi è tutt’altro che un problema secondario. Negli ultimi anni, moltissime attività del quartiere hanno chiuso i battenti, lasciando gli abitanti ancora più privi di servizi e di luoghi di aggregazione di quanto lo siano mai stati. Girando intorno a piazza Selinunte, il cuore dell’abitato, si notano serrande calate e un senso di desolazione incipiente: il negozio più frequentato è il mercato comunale, rivestito da un qualche materiale dal colore di dubbio gusto. “Pago dodicimila euro all’anno,” continua il proprietario della tintoria, “e i contratti qui vanno di sei anni in sei anni. Ho chiesto all’Aler se potevano ridurmelo un po’, ma mi hanno risposto che al massimo me lo possono stabilizzare.”
Tutte le case popolari di San Siro sono possedute e gestite da Aler. Come altrove, la malagestione dell’azienda si è ripercossa direttamente sugli inquilini.
In bilancio c’è un buco da quasi mezzo miliardo di euro, dovuto soprattutto a investimenti sbagliati e scelte discutibili. Aler, tuttavia, continua a imputare il suo dissesto finanziario alla percentuale di inquilini morosi o occupanti. Che è molto alta. “Tanti affitti sono troppo alti,” ci dice un giovane del Comitato San Siro, una delle principali realtà sociali attive nel quartiere. “Tante persone magari prendono uno stipendio di 700-800 euro: non si può sostenere un affitto di 200 euro più 300 di spese condominiali. Ecco allora che la gente è costretta ad occupare.” Un anno e mezzo fa, la polizia cominciò una serie di sgomberi che sfociarono in tensioni e qualche tafferuglio. Anche oggi, a riflettori spenti, gli sgomberi continuano. “In media c’è uno sgombero a settimana.”
Gli abusivi sono soprattutto immigrati piuttosto giovani, spesso con famiglie a carico. Il Comitato dispone di uno sportello al quale chiunque di loro può recarsi, tramite il quale cerca di offrire un sostegno ai residenti. Ad esempio, li aiuta ad avere a che fare con Aler. Nella sede del Comitato ascoltiamo un volontario istruire un giovane padre arabo su cosa fare se un uomo dell’azienda bussa alla sua porta. “Se viene da solo fallo entrare, è normale, anche se viene un poliziotto, è normale che ti prendano il nome. Prima comunque chiamaci che cerchiamo di venire a darti una mano. Se invece sono tanti non aprire e chiamaci subito.” “Speriamo sempre che chi viene qui riesca a trovare una casa con un contratto regolare,” ci dice il ragazzo. “Occupare è un rischio, puoi essere cacciato via ogni mattina.”
Fuori dalla sede del Comitato, in via Micene, si affacciano alcune tra le case più malridotte di tutto il quartiere. Via Micene sbocca da una parte in via Preneste, e dall’altra in via Tracia. Quest’ultima via è in una situazione assurda: gli edifici del lato destro sono stati ristrutturati, quelli del lato sinistro no. E cadono a pezzi.
“L’azienda che stava ristrutturando tutto è fallita a metà dei lavori. Qualcuno, a quanto pare, si è preso tutti i soldi ed è sparito. E in realtà anche dove han lavorato han rifatto solo la facciata: ad esempio gli infissi fanno veramente schifo e le case si riempiono di umidità. Le case dentro sono una merda. Io ho una lampadina collegata con un filo elettrico scoperto e senza nemmeno la messa a terra.” Aler cerca di dare la colpa della pessima situazione delle case – e del proprio buco in bilancio – all’alta percentuale di inquilini morosi. “La verità è che questo quartiere Aler vorrebbe smantellarlo: ormai con la metro non è più una periferia così sperduta e potrebbe fare gola a molti.”
Aler, comunque, ha escogitato un piano per tappare il suo drammatico buco in bilancio: vendere 10.000 alloggi entro la fine del 2016. Il piano è partito un anno e mezzo fa, ma è parso subito chiaro che cedere tutte le abitazioni previste sarebbe stato impossibile. A San Siro, gli inquilini che accettano di acquistare casa sono ancora meno che altrove: in parte perché molti abitanti sono immigrati, spesso abusivi, che alle tariffe di Aler non possono nemmeno pagare l’affitto, figurarsi accendere un mutuo. E in parte perché la restante popolazione è soprattutto composta da anziani.
Passeggiando per il quartiere, l’età media elevatissima dei residenti italiani si nota subito. Questo a volte crea qualche problema di convivenza con la parte più giovane dei residenti, ma soprattutto fa si che gli acquirenti potenziali di Aler siano ancora meno. “È chiaro che nessuno di questi anziani compra casa. I loro figli se ne sono andati. Quale banca accorderebbe un mutuo di quarant’anni a un settantenne?”
Dalla difficoltà di piazzare alloggi deriva anche la mobilità forzata a cui possono essere sottoposti gli inquilini.
Le case, infatti, non devono essere comprate per forza dai residenti, ma possono essere acquistate da chiunque. Se l’inquilino non compra e qualcuno fa un’offerta per quell’appartamento, Aler lo vende e sposta chi ci abita da un’altra parte. “Però non stanno riuscendo a venderle e hanno l’obbligo di farlo entro quest’anno. Ma si arriverà senz’altro al punto in cui diranno «ah be’, dobbiamo vendere in blocco, altrimenti non risaniamo il debito».”
Eppure, nonostante la situazione drammatica delle case e delle infrastrutture, le dinamiche sociali del quartiere San Siro sembrano essere molto più solidali e organizzate rispetto a Corvetto. Sono attive molte strutture di cooperazione e di sostegno, qualcuna gestita e portata avanti direttamente dagli abitanti, qualche altra costruita dall’esterno. Il Comitato di cui abbiamo parlato finora è operativo da vent’anni e riesce a migliorare la vita dei residenti. È autogestito: molti volontari sono militanti del Centro Sociale Cantiere. In piazza Selinunte ha sede il Laboratorio di Quartiere, il cui lavoro di promozione sociale è stato studiato in un corso di Psicologia dell’Università Bicocca; il Politecnico ha ottenuto l’uso di uno spazio per ospitare alcuni ricercatori del progetto Polisocial. La torre che svetta al centro della piazza, un po’ il simbolo del quartiere, qualche anno fa è stata decorata con un graffito.
Poco distante dalla piazza si trova la sede di Alfabeti, un’associazione di volontari che insegna l’italiano ai numerosi stranieri residenti nel quartiere, che spesso arrivano senza nemmeno saper leggere l’alfabeto latino. “Siamo una settantina di volontari e ci alterniamo su tre turni,” ci racconta un’insegnante. “Al turno del mattino vengono principalmente le donne, al turno serale soprattutto chi lavora di giorno.” Il corso è molto frequentato. “Quest’anno abbiamo avuto circa 300 studenti. Ci sono vari livelli, da quello base fino all’A2. C’è gente che torna anno dopo anno per migliorare la lingua.” La sede dell’associazione è ricavata in quella che forse era la portineria di un palazzo decrepito. Da fuori quasi non la si nota. Dentro è colorata e spaziosa, con i poster dell’alfabeto appesi alle pareti.
Continua —