Le fondamenta della lotta alla ‘ndrangheta Intervista a Giuseppe Gennari
Tre anni dopo “Le fondamentà della città”, abbiamo incontrato il magistrato nel suo ufficio del Palazzo di Giustizia milanese per parlare di cosa succede oggi alla ‘ndrangheta in Lombardia.
Il 13 luglio del 2010 scatta l’Operazione Infinito, una delle più grandi operazioni antimafia della storia italiana. Obiettivo: colpire la ‘ndrangheta sia nella sua terra d’origine che nel ricco Nord, dove le cosche fanno affari sempre più proficui.
Vengono spiccati 154 mandati d’arresto in Lombardia e altri 156 in Calabria, sono coinvolti più di 2000 uomini delle forze dell’ordine e vari magistrati. Tra questi ultimi c’è Giuseppe Gennari del Tribunale di Milano. Nel 2013, Gennari ha pubblicato per Mondadori Le fondamentà della città, la sua testimonianza diretta della lotta alla ‘ndrangheta in Lombardia. Tre anni dopo, l’abbiamo incontrato nel suo ufficio del Palazzo di giustizia milanese per parlare di cosa succede oggi alla ‘ndrangheta in Lombardia.
The Submarine: Cos’è cambiato in questi tre anni, dall’uscita del libro Le fondamenta della città?
Giuseppe Gennari: Non mi sembra ci siano state nuove indagini particolarmente significative, quindi probabilmente grazie a quelle dal 2006 al 2008 [di Infinito] alcuni meccanismi sono stati messi in difficoltà. Non si sono più ripetuti – o non sono più stati scoperti – i fenomeni di rapporti con il mondo della politica, della pubblica amministrazione o addirittura della magistratura che erano emersi in passato. A essere ottimisti potremmo dire che le indagini hanno messo un po’ in difficoltà le famiglie calabresi. Non lo sappiamo per certo, a partire da me che essendo un giudice non svolgo indagini: può anche darsi semplicemente che non siamo riusciti a scoprire altro, che si siano riorganizzati e stiano facendo altre attività.
Ad esempio, lo spaccio di droga. In una sua intervista a Lettera 43 ha dichiarato che l’apparente minore penetrazione politica delle cosche unita a un ritorno allo spaccio come principale fonte di sostentamento potrebbe essere un buon segno.
Sì, potrebbe essere un buon segno. Ci sono state diverse indagini da cui è emerso che in certi casi i clan sono tornati a un traffico di droga – tra l’altro quello che fanno qui [in Lombardia] non è un traffico di droga ad alto livello, non fanno grandi importazioni, vendono sul territorio. Siccome è un’attività rischiosa, si può dire che la fai se non riesci più a entrare nei meccanismi che ti consentivano di guadagnare in maniera più sicura.
Quanto si può penetrare in profondità nei meccanismi dell’azione ‘ndranghetista?
Come tutte le organizzazioni mafiose, la ‘ndrangheta è costruita sulla segretezza. Riesci a entrarci attraverso le indagini, ma non puoi avere una fotografia davvero completa dell’interno se non hai dei collaboratori. Qui di collaboratore serio ce n’è stato soltanto uno, a differenza di quello che è successo negli anni passati in Sicilia dove ci sono stati un sacco di pentiti che, rilasciando varie testimonianze in maniera più o meno credibile, alla fine hanno permesso di realizzare un affresco di Cosa Nostra. Nella ‘ndrangheta riesci a entrare all’interno, ma non ad avere l’esatta percezione dei modelli organizzativi, di come sono le dinamiche Nord-Sud e via dicendo. È un’organizzazione molto più chiusa.
Dal 2013 ad oggi a Milano c’è stato Expo, che molti temevano sarebbe stato inquinato da infiltrazioni ‘ndranghetiste. Qualche tempo fa però, durante una conferenza in Statale, il capo della Commissione Antimafia Rosy Bindi ha detto che si è riusciti a tenere l’organizzazione criminale fuori dalla manifestazione.
Secondo me una valutazione definitiva e complessiva sull’Expo si riuscirà ad averla solo tra uno o due anni, cioè quando – nel caso – matureranno le indagini che possono essere eventualmente in corso su quell’evento. Su Expo ho sempre detto che, a oggi, l’aspetto peggiore non è tanto quello dell’infiltrazione mafiosa quanto la ordinaria e allucinante corruzione. Se andiamo a vedere le indagini sull’evento, tutte coinvolgono politici, amministratori, funzionari… Questo tipo di criminalità poi a sua volta favorisce il meccanismo dell’infiltrazione mafiosa: sono due facce della stessa medaglia. Finché in questo Paese non si riesce a capire che non puoi gestire gli appalti per fare gli affari tuoi, per gli affari dei tuoi amici, per spartire cose, queste organizzazioni criminali avranno sempre la loro fetta di torta.
Beppe Sala, Commissario di Expo, si è candidato a sindaco di Milano e ha dichiarato che se verrà eletto proporrà al Presidente dell’autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone una convenzione per il controllo degli appalti. Quant’è seria questa proposta? Quanto potrebbe essere efficace?
Francamente io non credo molto nei salvatori della patria, nel trasferimento di poteri sempre più concentrati ad authority varie. Senza dubbio, cercare di fissare delle linee guida, dei protocolli di verifica, sarà sempre meglio che non averli ma – ripeto – quando poi soggetti ai vertici o quasi di qualche evento vengono arrestati… Di cosa stiamo parlando?
Un’altra cosa: non è verosimile e credibile che organizzazioni mafiose sarebbero potute entrare in Expo con ruoli di vertice a livello di appalti. Non sono intelligenti, non sono grandi manager, non sono imprenditori “smart”: stiamo parlando di imprenditori di livello medio o medio-basso, che fanno i lavori in fondo alla catena. Questo da un lato dovrebbe tranquillizzare perché non è ad esempio che la piastra la costruisce la mafia, non esiste. D’altro canto però proprio perché si collocano in fondo alla catena riescono a inserirsi: non entrano vincendo l’appalto, ci entrano perché chi vince l’appalto, di fatto, li fa lavorare.
Su Expo ho sempre detto che, a oggi, l’aspetto peggiore non è tanto quello dell’infiltrazione mafiosa quanto la ordinaria e allucinante corruzione.
Come la Perego?
Come la Perego, esatto. Loro sono molto bravi a fare “quello che fanno,” ma quando si tratta di entrare in alcuni meccanismi societari d’impresa secondo me non sono all’altezza. Con la Perego avevano la possibilità di avere un’azienda che si stava fondendo con una società trentina, che sarebbe andata in borsa, che poteva vincere appalti in tutta Italia… Invece hanno fatto saltare tutto perché gli Strangio da una parte e quelli di Erba dall’altra si sono messi a far cagnara per una parte in più o una parte in meno.
Tutte le imprese che hanno incluso al loro interno associazioni mafiose citate nel suo libro alla fine sono crollate.
Infatti. Non hanno la lungimiranza, sono come un virus che uccide il paziente. Entri, ciucci tutto tutto quello che puoi e te ne vai a casa.
Nella stessa conferenza Rosy Bindi ha dichiarato che la sanità è un settore a rischio di infiltrazione mafiosa. I meccanismi potrebbero essere simili a quelli già visti?
Un meccanismo potrebbe essere semplicemente quello di aggiudicarsi anche nella sanità appalti nel settore dei servizi, di livello basso o medio-basso, fare i lavori nelle strutture, portare via l’immondizia, cose così.
Qualche tempo fa il tentativo delle famiglie calabresi – giù, non qui – era quello di legarsi alle residenze per anziani. Siccome le residenze per anziani possono essere un affare perché le aziende convenzionate sono sempre di più, tu puoi trovare un imprenditore testa di legno che fa la residenza per anziani mentre dietro l’affare alla fine lo fai tu.
Che differenza c’è tra il contrasto alla mafia al Nord e al Sud?
Sicuramente l’intensità di presenza: per quanto io sia un sostenitore del fatto che la ‘ndrangheta al Nord è presente in maniera significativa, non raggiunge un livello di intensità neanche lontanamente comparabile a quello della Calabria. La fotografia di una città come Reggio è quello di una mafia che si intreccia con la borghesia cittadina, con le strutture politiche e amministrative, in maniera molto profonda; questo al Nord fortunatamente non esiste. In più ci sono anche altri fattori culturali; c’è una presenza militare molto più forte, c’è un livello di condizionamento del territorio che al Nord non c’è. Al Nord chiaramente ci sono molti più soldi. La Calabria è casa loro: la logica è proprio quella del “qui governo io, io sono lo stato,” però poi i soldi li vado a fare al Nord. Al Nord vengo per investire, per fare affari, per fare impresa, per portare a casa il denaro.
Carmelo Novella, il vecchio capo ‘ndranghetista della Lombardia, è stato ucciso nel 2008. Secondo alcune interpretazioni, i calabresi l’hanno eliminato perché stava provando a rendere la ‘ndrangheta del Nord più indipendente da quella del Sud. Non si sono avuti altri episodi di “secessionismo”?
Sembrerebbe di no. Anche sull’omicidio Novella, la spiegazione della Procura in effetti era quella di un tentativo di “indipendentismo.” Però – e questa è anche un’altra dimostrazione di quanto è difficile entrare nei meccanismi delle mafie – se leggete le dichiarazioni del pentito Belnome, di quell’omicidio dà una spiegazione radicalmente diversa. Belnome sostiene che poco interessava ai calabresi cosa facesse la Lombardia: Novella è stato ammazzato per questioni molto più “strette” e personali con i Gallace di giù, che a un certo punto, per ruggini loro, hanno deciso di eliminarlo.
La fotografia di una città come Reggio è quella di una mafia che si intreccia con la borghesia cittadina, con le strutture politiche e amministrative, in maniera molto profonda; questo al Nord fortunatamente non esiste.
Secondo lei è possibile in Lombardia, magari in piccole zone, un controllo militare come quello in Calabria?
No, come al Sud secondo me no. Sarà successo, nel quartiere del paesino dell’Oltrepò pavese con un’elevata percentuale di residenti di origine calabrese, in una via con cinque case, che i carabinieri avessero difficoltà a fare attività di indagine o ricerca di latitanti perché il quartiere faceva una specie di sorveglianza – quelli che non erano mafiosi segnalavano l’arrivo delle forze dell’ordine a quelli che sapevano esserlo. Questo direi che è il massimo a cui si può arrivare.
Che ruolo possono avere le iniziative non giudiziarie come il comitato antimafia a Milano nella lotta contro la criminalità organizzata?
Iniziative come queste sono importanti non tanto perché il comitato in sé possa fare qualche cosa, ma perché evidenziano un problema, come altre iniziative di informazione, come le attività delle associazioni e via dicendo: secondo me è addirittura quasi più importante dell’attività giudiziaria.
Un’azione di sensibilizzazione capillare è molto importante. L’attività giudiziaria può contribuire, ma sicuramente non può eliminare la mafia, che è un fattore culturale della società. Tanto più è capillare l’informazione che esiste la mafia, che la mafia è qualcosa che danneggia i territori, danneggia l’impresa, danneggia la società e via dicendo, tanto più è la società stessa che espelle quel fenomeno criminale.