Forse tutti coloro che sono fan di fumetti e cartoni animati giapponesi hanno sognato, almeno una volta nella vita, di trasferirsi nella terra del sol levante e intraprendere la carriera di animatore. D’altra parte, nel panorama dell’industria nipponica, gli anime (abbreviazione di animeshon, translitterazione fonetica dell’inglese animation) ricoprono un ruolo fondamentale: i giapponesi entrano quotidianamente in contatto con cartoni animati e animazione in genere, non solo per quanto riguarda l’intrattenimento — dove le produzioni animate superano di gran lunga quelle in live action — ma anche per esempio nella pubblicità.
Se quindi avete sempre avuto la fantasia di entrare a far parte di questa industria fatta di occhioni giganti e linee cinetiche colorate, o anche solo se ci avete mai fatto un pensierino, sappiate che in realtà il vostro sogno potrebbe trasformarsi in un incubo ad occhi aperti.
Se già si sa molto delle pessime condizioni lavorative giapponesi, e in particolare di alcune professioni artistiche come quella del mangaka, o fumettista — grazie per esempio a opere metaletterarie come Bakuman di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata — i disagi presenti nell’industria dell’animazione vengono affrontati raramente e con malcelata reticenza.
Per capire quali problemi sono insiti in questo tipo di industria, bisogna capire come sia formata esattamente. Nel processo di produzione di un anime — che sia la puntata di una serie regolare, un film o uno speciale per la visione a casa — esistono diverse fasi: la scrittura, lo story-boarding, la post-produzione, il doppiaggio e via dicendo. L’animazione è quindi solo una parte di questo relativamente lungo processo, ma probabilmente la più importante, e per ciò ci si aspetterebbe che gli animatori siano pagati in modo congruo rispetto al successo dell’anime. Niente di più sbagliato.
Proprio a causa della reticenza di cui sopra, la maggior parte delle informazioni riguardante questa industria provengono dai (pochissimi) animatori stranieri che lavorano in Giappone. Tra questi, Henry Thurlow, un giovane statunitense trasferitosi a Tokyo per inseguire il suo desiderio di diventare un famoso animatore, ha svelato un po’ di retroscena sul suo impiego dei sogni durante un “ask me anything” su Reddit.
La settimana lavorativa media di un animatore è composta da sei giorni su sette, per dieci ore al giorno. Nel caso in cui ci si accorga di essere in ritardo per la consegna, allora il giorno libero alla settimana viene cancellato e si può arrivare fino a lavorare per un mese e mezzo senza pause. Inutile a dirsi, un orario di lavoro così pieno non può che causare gravi danni alla salute dei lavoratori. Non è raro infatti che la gente stia male in ufficio durante l’orario lavorativo, e Thurlow stesso ha ammesso di essere stato ricoverato in ospedale tre volte a causa dell’esaurimento e del sovraffaticamento.
Se ciò non bastasse, anche lo stipendio non è dei migliori. Gli animatori vengono pagati a disegni, quindi l’introito mensile varia a seconda delle giornate; quanto si guadagni per ogni disegno dipende poi dallo studio in cui si lavora: nel suo attuale lavoro allo Studio Pierrot – uno dei più importanti di tutto il Giappone e responsabile per gli adattamenti animati di manga di successo come Naruto, Bleach e Tokyo Ghoul, tra gli altri — Henry Thurlow guadagna dai 2 ai 4 dollari per disegno, per un totale di circa mille dollari al mese; nel suo precedente lavoro presso lo studio Nakamura Pro, molto più piccolo e meno famoso di quello attuale, guadagnava un dollaro a disegno, per uno stipendio mensile di circa trecento dollari.
In realtà, è difficile parlare di stipendio medio perché esistono diversi livelli professionali per gli animatori: i “key animators,” ossia coloro che disegnano i frame essenziali di un’animazione, sono pagati molto meglio degli “in-between animators,” quelli che si occupano delle animazioni di collegamento tra i vari disegni, di cui Thurlow fa parte. Per raggiungere l’apice di quest’industria, però, ci vogliono anni e anni di gavetta, e con delle condizioni di lavoro così sfavorevoli poche persone riescono a farcela. Alcuni ci rimettono anche la vita.
Nel 2010 un animatore di 28 anni si è suicidato.
Il giovane lavorava presso l’A-1 Pictures, uno degli studi di animazione più popolari al momento. Nel 2014 è stato reso noto dall’avvocato della famiglia delle vittime che l’agenzia di controllo sulle condizioni di lavoro di Shinjuku ha rintracciato le cause della morte in una depressione dovuta all’eccesivo affaticamento.
L’ufficio sanitario che si occupa dei lavoratori ha stimato che, durante il periodo in cui il ragazzo soffriva di depressione, lavorasse circa 600 ore al mese, un numero letteralmente incredibile, considerando che significherebbe aver lavorato venti ore al giorno.
Sempre secondo lo stesso avvocato, i problemi delle condizioni di lavoro nell’animazione giapponese sono dovuti alla volontà del governo di incentivare l’industria a mostrare un’immagine che si adatti alla definizione – rigorosamente in inglese – di “Cool Japan,” un Giappone duro e puro, bello, ricco e dove chiunque vorrebbe abitare, senza capire che permettere l’esistenza di condizioni lavorative così misere non corrisponde per nulla all’ideale di un Paese invidiabile.
Daiki Nishimura, un celebre direttore d’animazione, nel commentare la notizia ha dichiarato che non si può far ricadere la colpa sulla A-1 Pictures poiché l’intera industria soffre degli stessi identici problemi riscontrati in questo caso particolare.
Se certamente la situazione in generale è critica, ci sono anche delle fortunate eccezioni. Tokyo Animation e Ufotable, due degli studi d’animazione responsabili per prodotti di alta qualità come K-On e la serie Fate/Stay, vengono sempre lodati per garantire ai propri dipendenti stipendi più alti e condizioni di lavoro decisamente migliori rispetto ai concorrenti — tanto che l’Ufotable cafè, una caffetteria interna agli uffici in cui gli animatori dell’omonimo studio posso riposarsi e passare il tempo libero, è diventato una vera e propria icona nella cultura otaku.
Un’altra motivazione può essere ricercata nella quantità sempre crescente di prodotti d’animazione pubblicati nel corso di un anno: per prendere sempre due studi già citati e con lo stesso numero di dipendenti, l’A-1 Pictures ha prodotto o dovrà produrre solo nel 2016 otto serie, due film e uno speciale dedicato al videogioco Final Fantasy XV. Ufotable, invece, si occuperà di due serie e un videogioco.
Tra questi due estremi si trova un mare di sfumature, ma è indubbio che una migliore pianificazione del lavoro comporti quasi automaticamente migliori condizioni lavorative e una qualità del prodotto superiore.
Per fortuna, sembra che in questi ultimi anni anche il governo si stia mobilitando per cambiare la situazione: la JAniCA (Japanese Animation Creators Association), il sindacato degli animatori giapponesi, a metà del 2015 ha istituito un sondaggio tra i suoi membri per esaminare meglio la situazione.
I risultati sono stati disastrosi, e hanno confermato l’esperienza di Henry Thurlow. Per esempio: con una giornata lavorativa media di undici ore e uno stipendio medio di 1.100.00 di yen all’anno – poco più di ottomila euro — più del 50% di coloro che hanno risposto hanno ammesso di prendere quattro o meno giorni liberi al mese, compreso il fine settimana.
Il problema è che per molti non si tratta di una semplice gavetta: come dice Osamu Yamasaki, rappresentante della JAniCA, solo poche persone potranno ambire a posizioni più elevate e accedere di conseguenza a condizioni lavorative migliori.
Non importa quanto prestigio una persona possa ricevere nel fare il lavoro dei propri sogni e dare vita a opere grandiose e memorabili: con la gloria non si mangia.