Dopo quasi dieci anni di attività politica, una percentuale di consensi attorno al 25% a livello nazionale e ottime probabilità di ottenere il governo della capitale, il Movimento 5 Stelle è ancora oggetto di una diffusa incomprensione. L’exploit elettorale della scorsa settimana (anche se, tecnicamente, anche loro hanno perso voti) è stato accompagnato dagli stessi commenti che si potevano leggere dopo le elezioni politiche del 2013, o ancora prima: voto di protesta, catalizzazione del malcontento, trionfo dell’anti-politica — un termine che per definizione non ha mai avuto nessun senso, ma che ancora viene usato largamente dalla stampa mainstream e dagli avversari del Movimento.
Anche “anti-sistema” non significa molto: bisognerebbe prima definire di quale sistema si parla: il M5S non è certo un partito rivoluzionario o anti-capitalista, né si può dire realmente anti-partitico, dato che — al netto del rifiuto del nome — da tempo funziona e si comporta come un partito a tutti gli effetti, con una gerarchia interna che va progressivamente definendosi e una folta base di attivisti organizzati a livello locale. Il Movimento 5 Stelle è un partito reale molto più di Forza Italia, per dire. Ed è anche istituzionalmente piuttosto conservatore, almeno per quanto riguarda la difesa della carta costituzionale, che all’articolo 49 prevede che siano i partiti — non i “movimenti,” qualsiasi cosa ciò significhi al di fuori della meccanica — i soggetti naturali della dialettica politica del Paese.
“Anti-establishment” potrebbe suonare più calzante, finché non si pensa che è normale che un partito nuovo miri a sostituire con propri elementi il sistema di potere costituito dai predecessori.
Accanto a quest’ultima definizione, l’edizione inglese di Wikipedia cerca di riassumere così la varietà ideologica del M5S: populismo, e-democrazia, ambientalismo, euroscetticismo, decrescita. E poi, come “posizione politica,” indica big tent — una “grande tenda” sotto cui accogliere il maggior numero di elettori, anche di diverso orientamento.
In realtà, questo apparente ibridismo trova giustificazione se si considera l’impronta ideologica fondamentale del movimento, quella apportata da Gianroberto Casaleggio, sposata da Beppe Grillo e tutelata dallo “staff.” Un sistema basilare di credenze che non si irradia del tutto agli eletti e agli attivisti pentastellati — perché non ne contraddice l’azione a livello locale — e quasi per niente agli elettori. La situazione che ne consegue è paradossale, probabilmente un unicum tra le democrazie occidentali: il Movimento 5 Stelle è il più grande partito transumanista del mondo, senza esserne, per larga parte, consapevole.
Beppe Grillo cerca casa
A livello locale, le posizioni del Movimento 5 Stelle si spiegano meglio partendo proprio dalle cinque stelle, che rappresentano acqua pubblica, mobilità sostenibile, sviluppo, connettività e ambiente: potrebbero essere i punti cardine del programma di un qualsiasi partito ecologista verde — come in Italia non se ne vedono da anni.
Nonostante il tratto ecologista sia di sicuro il più vistoso della sua pars construens, dopo le elezioni europee di maggio 2014 — si ricorderà — il M5S non si associò al gruppo dei Verdi nel Parlamento Europeo, ma finì per allearsi con lo UKIP di Nigel Farage (con cui è alleato tuttora, nel gruppo EFDD, Europe for Freedom and Direct Democracy, lo stesso in cui si trovavano, durante la legislatura precedente, Lega Nord e Front National). L’altalena post-elettorale di allora rimane un caso esemplare dell’ambiguità ideologica del Movimento, obbligato per la prima volta a stringere un’alleanza — dato che il regolamento del PE fissa il numero minimo di parlamentari per formare un gruppo a 25, provenienti almeno da un quarto dei Paesi membri.
L’apparentamento con Farage — incontrato da Grillo subito dopo il voto — e le altre formazioni nazionaliste dell’EFDD fu sancito da una consultazione online, in cui si offrivano agli iscritti, però, due ulteriori opzioni: niente — cioè non iscriversi a nessun gruppo parlamentare europeo — oppure l’ECR (Conservatori e Riformisti), che attualmente comprende Alternativ für Deutschland, ma anche i tories di David Cameron. Significativamente, era stata esclusa a priori ogni possibilità di affiliazione con GUe/NGL, il gruppo di sinistra (scelto come casa da Podemos). I tentativi di alleanza con i Verdi o con l’Alleanza dei Liberali e Democratici (ALDE), invece, erano stati rispediti al mittente: da parte dei Verdi, proprio per via dei reciproci abboccamenti tra Grillo e Farage, con cui gli ecologisti non intendevano aver nulla a che fare; da parte dell’ALDE, per via dell’euroscetticismo ostentato dal M5S, “del tutto incompatibile” con gli indirizzi politici del gruppo centrista.
Il rifiuto delle categorie tradizionali di destra e sinistra — che in qualche modo dovrebbe giustificare questa giostra — è sempre stato un ritornello orgogliosamente rivendicato. Tanto per fare due esempi: in un blog post del 2013 Grillo lo utilizza in risposta alle polemiche scoppiate dopo una controversa “apertura” a CasaPound; sempre sulle pagine del blog, ad agosto 2015, Alessandro Di Battista elenca una serie di battaglie politiche del Movimento, di volta in volta rubricabili come di destra o di sinistra: se proponiamo il reddito di cittadinanza siamo di sinistra, se vogliamo smettere di finanziare i giornali siamo di destra, e così via (lo stesso Di Battista ha ripetuto il contenuto del post, sostanzialmente invariato, recentemente in televisione).
Né di destra, né di sinistra: up-wing
La negazione delle categorie di destra e sinistra è stata autorevolmente connessa a movimenti, in realtà, di estrema destra. I risvolti reazionari del Movimento 5 Stelle sono stati già messi frequentemente in luce: dall’abituale utilizzo fascistoide dello sfottò alla mancanza di democrazia interna (nonostante il recente “passo di lato” di Beppe Grillo e l’istituzione del “direttorio”, il M5S è ancora un partito padronale), passando per l’euroscetticismo — che sfocia facilmente in nazionalismo — e l’affiliazione a un partito tendenzialmente xenofobo, com’è appunto quello di Nigel Farage.
Il M5S spicca per l’esiguità del programma elettorale nazionale, un documento di 15 pagine da cui è significativamente assente qualsiasi riferimento ad alcune tematiche di rilievo, come l’immigrazione (eccezion fatta per un accenno ai corsi gratuiti di italiano per stranieri) e l’estensione dei diritti civili alle persone LGBT. La linea politica è dettata di volta in volta attraverso i post sul blog di Grillo, come quando nel 2013 due senatori del Movimento proposero un emendamento per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, e furono sconfessati sul blog per esplicite ragioni di opportunità elettorale: se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico.
A questa noncuranza ideologica fa fronte, specularmente, un’estrema scrupolosità metodologica, con un’attenzione quasi ossessiva per il rispetto di procedure e regolamenti: farraginosi meccanismi di discussione e votazione online; fissa alternanza dei capigruppo alle Camere; limite massimo di due legislature per i parlamentari; severa rendicontazione delle spese per l’attività politica.
Non sono mai divergenze ideologiche a motivare le numerose espulsioni di membri e attivisti, ma l’infrazione — vera o presunta — di qualche norma, che sia contenuta nel Non-Statuto o nel Codice di comportamento degli eletti. Da ultimo, il caso di Federico Pizzarotti: non è stato espulso dal Movimento per aver ricevuto un avviso di garanzia, ma per non averlo comunicato tempestivamente allo “staff.”
A proposito del Codice di comportamento, anche i principali obiettivi politici di cui deve farsi carico il parlamentare — esposti all’inizio del documento — hanno a che fare con questioni procedurali: referendum propositivo senza quorum, l’obbligatorietà della discussione parlamentare con voto palese delle proposte di legge popolare e l’elezione diretta del parlamentare.
Siamo di fronte, allora, a un partito che per gran parte è un guscio vuoto: la sua big tent si gonfierà di volta in volta con il vento più comodo, quello capace di attrarre il consenso maggiore; si manterrà su posizioni il più possibile indefinite, per quanto riguarda le questioni sostanziali, cavalcando per il resto battaglie trasversalmente condivisibili (come quella, estremamente generica, contro la corruzione e la mala amministrazione.) E, nel frattempo, perseguirà gli obiettivi politici che costituiscono il cuore della sua offerta positiva: la disintermediazione dell’attività politica attraverso lo strumento informatico. L’iper-democrazia del web.
Lo slogan neither right nor left — but up si ritrova testualmente nel manifesto politico di Fereidoun M. Esfandiary, noto più tardi con il nome di FM-2030, atleta, diplomatico, scrittore e teorico transumanista, morto nel 2000, ma crio-conservato nei frigoriferi della Alcor Foundation. La sua Up-Wing philosophy, formulata in una serie di saggi all’inizio degli anni ’70, prevede che lo sviluppo tecnologico abbatterà irrimediabilmente le categorie della vecchia politica: nuove forme di organizzazione sociale saranno necessarie nel prossimo mondo fluido, fatto di post-umani, cyborg immortali, intelligenze artificiali e colonizzazione spaziale.
Pur databile già agli inizi del secolo scorso, la filosofia transumanista ha subito naturalmente un’accelerazione di popolarità e diffusione con la rivoluzione informatica degli ultimi decenni, trovando terreno fertile nella Silicon Valley, dove tutti i guru dei colossi tecnologici californiani sono più o meno coinvolti in questo sistema di idee — complesso e non unitario, con un certo spazio di dibattito al suo interno (per esempio, progettare l’intelligenza artificiale sarà un bene o un male?), ma concorde su alcuni punti ben definiti.
Da quest’anno, il transumanesimo ha trovato negli USA anche una stravagante incarnazione politica nel Transhumanist Party, capitanato da Zoltan Istvan, che corre per le presidenziali 2016. Degno erede di FM-2030, Istvan — californiano di origini ungheresi — è un giornalista freelance (ha lavorato per il National Geographic e scrive regolarmente editoriali su Motherboard, Huffington Post e Tech Insider) profondamente convinto che l’immortalità sia a portata di mano. Da poco ha completato un tour elettorale — magnificamente raccontato da Elmo Keep per The Verge — a bordo di un vecchio camper riarrangiato per somigliare a una bara, simbolo del primo nemico da sconfiggere.
Durante i mesi di maggiore esposizione mediatica del Movimento 5 Stelle, suscitò qualche scalpore il breve video — ormai celebre — diffuso su YouTube nel 2008 dalla Casaleggio & Associati, intitolato Gaia – Il futuro della politica. Per la prima volta l’opinione pubblica entrava a contatto con le previsioni futuristiche spiazzanti e tranchant (come quella della terza guerra mondiale tra Occidente libero e Oriente oscurantista, che dal 2020 al 2040 dovrebbe ridurre a un miliardo la popolazione del pianeta) di Gianroberto Casaleggio. Il Movimento finì subito per essere associato anche alla galassia in espansione del complottismo online, tanto che “grillino” diventa quasi sinonimo di “complottista”: scie chimiche, chip sotto-pelle e club Bilderberg entrano di peso nel dibattito politico nazionale.
Gli atteggiamenti di fronte al tecno-utopismo di Casaleggio — incentrato sull’idea di una futura società totalmente connessa e disintermediata — oscillano generalmente tra la rimozione (cioè, si guarda unicamente all’attività politica e amministrativa pratica dei cinque stelle) e l’aperta derisione. A dicembre dell’anno scorso è uscita una raccolta di saggi di Casaleggio, intitolata Veni Vidi Web, con autorevole introduzione di Fedez. Tendenzialmente ignorata, vi hanno dedicato una certa attenzione soltanto L’Unità (addirittura con una prima pagina, il 22 dicembre) e Il Giornale, abbastanza concordi nel ritenere l’esperto di web marketing un “paranoide” o perfino “un vecchio hippie” in bad trip da LSD — probabilmente, della raccolta di Casaleggio hanno letto soltanto l’estratto pubblicato sul blog di Grillo, volutamente tra i più paradossali nella sua descrizione del mondo “ideale:”
Le imprese di costruzione sono state riconvertite in imprese di decostruzione. Distruggono edifici e infrastrutture inutili. La decostruzione è diventata in pochi anni uno dei principali business del pianeta insieme alle opere di bonifica. In Italia le statue di Garibaldi sono state sostituite da statue di Gandhi. Nei fiumi si è tornati a fare il bagno la domenica con la famiglia. Chi è sorpreso a inquinare è condannato alla raccolta differenziata a vita nel proprio comune. Non si possono possedere complessivamente mobili e immobili per un valore superiore a cinque milioni di euro. Ogni euro in più deve andare a favore della comunità. Chi si sottrae è rieducato alla comprensione della vita in appositi centri yoga.
(Lo stile retorico apodittico ricorda molto quello di FM-2030 e dello stesso Zoltan Istvan, anche se non si parla di cyborg e viaggi interstellari).
Federico Mello, giornalista e autore de Il lato oscuro delle Stelle — uno dei numerosi libri che nel 2013 cavalcarono l’onda del successo del M5S — ritiene essenzialmente che l’intero Movimento sia una grossa operazione di marketing orchestrata da Casaleggio per arricchirsi. Le previsioni di Gaia sarebbero soltanto un contenuto virale qualsiasi — come sempre virale è il complottismo catastrofista — da diffondere in rete per ottenere visibilità. Non ci sarebbe dietro nessun vero sostrato ideologico. Eppure, proprio nell’alveo del transumanesimo certe idee di Grillo e Casaleggio trovano una propria tradizione.
Dopo la sua improvvisa scomparsa il 12 aprile scorso, Gianroberto Casaleggio è stato definito in lungo e in largo “visionario,” termine neutro e sostanzialmente bipartisan. Pochi sono andati a fondo del contenuto reale di questa supposta visione del co-fondatore del Movimento.
Mentre oggi emerge di tanto intanto dalle dichiarazioni di qualche parlamentare (anche queste, normalmente, derise), alcuni blogger già nel 2012 avevano intuito la natura intimamente transumanista del M5S — natura che si riflette anche nel messianesimo del leader e, parallelamente, nell’entusiasmo quasi religioso dei suoi sostenitori, per cui spesso il Movimento viene associato a strutture settarie para-religiose come Scientology.
Luigi Bruschi, su L’Espresso, a partire da un richiamo alla futura “iper-democrazia” senza partiti auspicata da Beppe Grillo sul blog, recuperava un passo di Jacques Attali — economista e consigliere di Mitterand — che potrebbe essere uscito senza problemi dalla penna di Casaleggio:
Intorno al 2060, ma non prima, a meno che l’umanità non scompaia sotto un diluvio di bombe, né l’impero americano, né l’iperimpero, né l’iperconflitto saranno più tollerabili. Nuove forze, altruiste e universaliste, già attive oggi, prenderanno il potere a livello mondiale, sotto l’imperio di una necessità ecologica, etica, economica, culturale e politica. Queste forze si ribelleranno alle esigenze della sorveglianza, del narcisismo e delle norme. E condurranno progressivamente a un nuovo equilibrio, questa volta planetario, tra il mercato e la democrazia: l’”iperdemocrazia”.
Attori dell’iperdemocrazia saranno, appunto, i transumani:
Tutti i transumani saranno altruisti, cittadini del pianeta, nomadi e sedentari allo stesso tempo, uguali nei diritti e nei doveri verso i propri vicini, ospitali e rispettosi del mondo. Insieme, faranno nascere istituzioni planetarie e orienteranno le imprese industriali in una nuova direzione.
Non mancano anche punti di contatto più concreti tra il programma di Zoltan Istvan e il M5S: anche Istvan ha rifiutato ogni tipo di contributo pubblico per la propria campagna elettorale e sostiene la necessità di un reddito minimo universale (che sarà necessario, quando le macchine svolgeranno la quasi totalità del lavoro oggi svolto dagli umani — non a caso l’idea comincia a farsi largo anche nei think tank della Silicon Valley). Viceversa, l’unico vero nucleo ideologico coerente e sempre riconoscibile nel Movimento 5 Stelle — oltre alla democrazia diretta via web — e cioè l’ecologismo, si può ritrovare nel partito transumanista sotto forma di battaglia per scongiurare i cosiddetti rischi esistenziali — ossia i rischi posti da uno sviluppo tecnologico incontrollato all’esistenza stessa degli esseri umani.
Le differenze si possono spiegare con la differenza (abissale) di contesto: l’Italia è lontana mille miglia dalla Silicon Valley. Fondare un movimento politico basato sul web in uno dei Paesi occidentali con il più alto tasso di analfabetismo digitale sembra già in partenza una follia, e in parte la stessa leadership del M5S ha dovuto riconoscerne i limiti, per esempio rinunciando all’oltranzismo anti-televisivo (ormai acqua passata). Non è immaginabile per una forza politica nazionale parlare di crio-conservazione, intelligenza artificiale e mind uploading in un Paese che riconosce a stento le unioni civili omosessuali.
Anche la forma dell’attività online dovrà quindi ricalcare e assecondare le caratteristiche dell’internet italiano: così si spiegano la cattiva e antiquata grafica di beppegrillo.it, il largo utilizzo di fotomontaggi e pseudo-meme grossolani, il complottismo, il click-baiting sfrenato, l’uso di Facebook più che di Twitter (quasi nulla l’attività su Instagram). Parallelamente, il Movimento si è dovuto calare nella peculiare attualità politica italiana, tra gli sgoccioli del berlusconismo, la crisi dell’euro e il tremendo calo di credibilità dei partiti politici “tradizionali,” travolti dagli scandali giudiziari.
Per Zoltan Istvan le cose non vanno troppo bene: oltre all’irrilevanza politica a cui è destinato il Transhumanist Party, a dicembre 2015 è stata lanciata una petizione per disconoscerlo, in quanto non rispettoso della Dichiarazione Transumanista, troppo stravagante, autoritario e lesivo della reputazione del movimento stesso. Nessuno dei miliardari transumanisti della Silicon Valley — né Elon Musk, né Larry Page, né Ray Kurzweil, né Max More, amministratore delegato della Alcor — ha sostenuto finanziariamente la folle campagna politica di Istvan, che per allestire il proprio Immortality Bus a forma di bara ha dovuto racimolare poche migliaia di dollari su Indiegogo.
Probabilmente l’intellighenzia tecnologica americana preferisce continuare a lavorare per l’affermazione dell’era transumana attraverso il mercato, dettando i modi e i tempi dello sviluppo tecnologico senza che un bizzarro giornalista visionario porti prematuramente all’attenzione dell’opinione pubblica il dibattito sull’intelligenza artificiale e sulla conquista dell’immortalità.
In Italia, invece, il successo del primo e più grande partito transumanista del mondo è favorito anche dalla carenza di cultura politica di certi analisti. Cito da un editoriale di Concita De Gregorio, pubblicato in prima pagina su Repubblica martedì scorso (cioè il primo giorno utile, per i quotidiani, per commentare i risultati definitivi delle amministrative):
Allora, se aveste trent’anni (ma anche quaranta, e ad essere un po’ stanchi anche cinquanta) non vi fidereste di due ragazze nuove, non ci provereste almeno? L’alternativa, che un tempo si coltivava nel dissenso, è stata spenta come un fastidio al manovratore. Persino i Rodotà sono stati allontanati con diffidenza. Sarà interessante vedere, nel futuro prossimo, chi siederà al posto di manovra. Chi tra gli strateghi avrà pensato al futuro e non a sé. Chi avrà avuto ragione.
Finché uno dei ragionamenti portanti a favore del voto ai cinque stelle rimane “sono nuovi, proviamoci”— sfruttato ampiamente dai candidati stessi — sarà difficile affrontare una discussione seria sul reale contenuto ideologico del Movimento, e sull’impatto che potrebbe avere sull’ordinamento politico del Paese — non soltanto su Roma e Torino.
In copertina: foto CC Niccolò Caranti
foto: cc Antonella Beccaria