La droga peggiore dei nostri tempi è lo zucchero
Da Liverpool a Philadelphia, sono sempre di più le città che cercano di tassare le bibite zuccherate per contrastare l’obesità infantile e la diffusione delle malattie dentali.
in copertina, foto CC-BY-SA Lauri Andler
“Lo zucchero è la droga più pericolosa dei nostri tempi e può ancora essere acquistata ovunque, proprio come alcool e tabacco. C’è un ruolo importante che dovrebbe ricoprire il governo, ed è scoraggiare l’uso di zucchero.”
Così affermava nel 2013 Paul van der Velpen, specialista del servizio sanitario di Amsterdam, sul sito ufficiale della GGD GHOR, l’Associazione per la salute pubblica e la sicurezza dei Paesi Bassi.
Qualcuno sembra averlo ascoltato, visto che a partire dal 2018 il Regno Unito imporrà una sugar tax sulle bibite zuccherate. Una tassa molto discussa, che dopo anni di pressioni da parte dei maggiori gruppi attivi nel campo dell’alimentazione e della salute sembra finalmente una certezza. La sugar tax è stata voluta tra gli altri anche dal NHS, il servizio sanitario nazionale inglese, che aveva parlato dell’introduzione di una “propria tassa” negli ospedali, pari al 20% per le bibite e cibi zuccherati a partire dal 2020. E una propria tassa sullo zucchero l’ha già imposta nei propri ristoranti Jamie Oliver, celebre chef televisivo molto attivo in fatto di politiche alimentari, che su questo tema aveva lanciato una campagna e una petizione online insieme a Sustain, alleanza di 100 organizzazioni nazionali impegnate nel sostegno di agricoltura e cibo più equi.
Il denaro che verrà raccolto grazie all’introduzione dell’imposta — secondo le stime ufficiali, mezzo milione di sterline — verrà destinato all’attività sportiva nelle scuole.
Nonostante questo enorme passo, la lotta contro “la peggiore droga in commercio” continua ad inasprirsi e dal 9 maggio il comune di Liverpool è il primo nel Regno Unito a fare campagna contro i grandi marchi di bibite zuccherate, al grido di: “Is your child’s sweet tooth harming their health?.”
La città, in linea con molte altre in Europa, rileva altissimi tassi di obesità infantile e di carie ai denti. Un dato che sorprende poco se si considera che “In Regno Unito l’estrazione di un dente è la prima causa di ricovero ospedaliero tra i bambini, e costa allo Stato oltre 45 milioni di sterline,” come afferma Tim Spector nel suo libro The diet myth. The real science behind what we eat.
La campagna di Liverpool ha lo scopo di “elencare e gettare nella vergogna” marchi di note bibite zuccherate, tra cui la peggiore è la Lucozade, con 15,5 zollette di zucchero in una bottiglia da mezzo litro. Segue poi la Coca-Cola con 13,5 per la stessa quantità, Frijj Chocolate Milkshake 12,7 per 471 ml, Capri-Sun con 8,25 per 330 ml, Tropicana Orange juice con 7,5 per 300 ml, Ribena con 7,25 per 288 ml e Volvic Flavoured Water con 5,75 per 500 ml.
Negli Stati Uniti, la seconda città ad approvare una soda tax — dopo Berkeley, California — potrebbe essere Philadelphia, nonostante la forte opposizione alla proposta.
Ma qual è la posizione del nostro Paese sulla questione? A prima vista sembra che l’Italia non sia interessata a intraprendere delle iniziative che possano contrastare o diminuire l’assunzione di zucchero. Alle raccomandazioni dello scorso anno dell’OMS di abbassare dal 10 al 5% l’apporto calorico quotidiano di questa sostanza, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin aveva dichiarato: “No a diktat senza base scientifica. È un’aggressione alle nostre tradizioni dolciarie.” E ancora: “È un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell’obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore.”
La delegazione italiana inviata a Ginevra al consiglio esecutivo dell’OMS ha fatto approvare un emendamento con il quale ha richiesto di rivedere le modalità con cui l’organizzazione definisce le linee guida che una volta perfezionate vanno a indirizzare le politiche sanitarie dei governi. Un’iniziativa che ha suscitato forti perplessità, spingendo alcuni a chiedersi per quale motivo la delegazione si affannasse a tal punto. I dubbi sono stati in parte fugati da Nicoletta Dentico in un articolo apparso su Salute Internazionale: “La delegazione italiana accreditata all’OMS contiene qualche risposta. Delle due figure apparse per la prima volta sotto la generica denominazione di ‘esperti della salute del Ministero Affari Esteri’, Luca del Balzo risulta in effetti ‘Senior Advisor della Ferrero’ in diversi link rintracciabili fino a qualche giorno fa sul web. Con questa funzione Del Balzo compare in un convegno dell’Istituto Luigi Sturzo del 16 luglio 2014 su ‘Il voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia’, e in un incontro con le aziende italiane organizzate in Portogallo, dove è stato ambasciatore dell’Italia, a ottobre 2014. Un classico esempio di revolving doors, o meglio di paso doble fra pubblico e privato, nella progressiva ibridazione della governance nazionale e mondiale.” Problema riscontrato infatti anche nel Regno Unito, ad esempio con la multinazionale Unilever.
Ma nel nostro Paese, considerato ancora la patria del buon cibo e della dieta mediterranea, fare riferimento — così come il ministro Lorenzin — alla difesa delle tradizioni italiane è un’arma tanto subdola quanto pericolosa. Secondo lo studio “Perils of Perception” di Ipsos Mori, infatti, alla domanda “Su ogni 100 persone al di sopra dei vent’anni, quante credi siano sovrappeso o obese?” gli italiani hanno sottostimato del 14% il reale dato. Non sono infatti il 36% della popolazione, bensì il 50. E non confortano nemmeno i dati relativi ai più giovani, visto che a quanto riportano alcuni studi, la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica in Italia è maggiore di circa 3 punti percentuali alla media europea con un tasso di crescita annuo pari a quello statunitense.
“Lo zucchero, in realtà, è una forma di dipendenza. Liberarsi dal bisogno di cibi dolcificati è difficile esattamente quanto smettere di fumare. Per questo le diete funzionano solo temporaneamente. Sarebbe meglio una terapia per disintossicarsi.” (Paul van der Velpen)