Il 4 maggio 2016 il Naga – Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti – ha pubblicato (Ben)venuti, un’indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia.
L’analisi è partita dal fatto che molti richiedenti asilo avevano iniziato a recarsi al Centro Naga Har (aperto dal 2001 per richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tortura), chiedendo delucidazioni sulla loro situazione legale e domandando se fosse possibile frequentare corsi di italiano. Servizi che, da convenzione, dovrebbero essere previsti ed erogati dai centri di accoglienza.
Il Naga ha deciso quindi di esplorare la situazione, sia attraverso un’istanza di accesso agli atti della Prefettura di Milano, per avere informazioni sulle strutture di accoglienza, sia attraverso interviste agli ospiti, ai gestori e agli operatori dei centri da cui proveniva la nuova utenza. L’obiettivo era fotografare lo stato attuale del sistema di accoglienza e verificare il grado di conformità con i bandi della Prefettura di Milano.
Ciò che emerge è un quadro a dir poco confuso.
Sebbene il modello di Milano abbia ottenuto riconoscimenti a livello nazionale ed europeo, i servizi che vengono erogati sul territorio risultano disomogenei. Le strutture, indipendentemente dalle loro dimensioni, sembrano non funzionare e non garantiscono i servizi che dovrebbero assicurare da convenzione.
In alcuni centri gli ospiti non sono quasi considerati, non vengono ascoltate le loro domande e non viene fornito loro alcun servizio. In molte strutture, ad esempio, la scuola di italiano non è presente e talvolta, per pochi fortunati, è gestita da volontari esterni che si recano nei centri appositamente.
Per quanto riguarda il pocket money si nota come questo sia diventato un’opportunità che soltanto i più fortunati ricevono. Il pocket money è definito dai bandi e rappresenta la somma che mensilmente ogni centro di accoglienza è tenuto a dare a ogni richiedente asilo. Somma che non proviene dai fondi della struttura, ma che è definita da un piano europeo.
Molto spesso accade che i richiedenti asilo non ricevano alcuna somma di denaro. Bisogna tenere conto che spesso i centri di accoglienza si trovano in luoghi lontani rispetto al centro delle città, e quindi gli ospiti per muoversi devono pagare il biglietto piuttosto che l’abbonamento ai mezzi pubblici. Ma senza soldi, non possono farlo. E bisogna tenere conto, soprattutto, che i centri di accoglienza ricevono – come previsto da convenzioni europee – una cifra pari a 35€ al giorno per ogni presenza registrata nella struttura.
Per cui, dove vanno a finire questi soldi, se ai richiedenti asilo non arrivano?
Non certo nei servizi di base che i centri dovrebbero erogare.
Il Naga analizza i dati economici delle varie strutture poste sotto indagine, ovviamente quando è possibile, perché alcuni centri non forniscono le informazioni richieste; verrebbe da chiedersi come mai manchi tale trasparenza. Ciò che emerge è che le varie strutture avrebbero soldi per fronteggiare ogni tipo di evenienza, anche tenendo conto dei tagli al personale e di ore previsti dalle nuove direttive del Ministero degli Interni.
Il problema principale che il Naga riscontra però è di portata maggiore.
Ciò che è emerso principalmente dall’indagine e che causa, in larga parte, le varie problematiche riscontrate è il fatto che la logica emergenziale ha sostituito il sistema di accoglienza tradizionale.
Infatti, il Ministero dell’Interno per fronteggiare l’afflusso crescente di cittadini stranieri che sbarcano sul territorio italiano ha deciso di affiancare ai centri di accoglienza governativi alcune strutture di accoglienza straordinarie. Queste, i cosiddetti CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), però, sembrano aver presto il posto dei centri tradizionali, nonostante dovessero essere strutture temporanee.
Quindi è facile comprendere come la logica emergenziale giochi un ruolo dominante, nonostante piani e decreti adottati dal governo e dagli enti locali abbiano largamente cercato di superarla.
Il 28 settembre 2015 l’Italia ha pubblicato la Roadmap italiana, un documento in cui si impegna ad adottare misure adeguate per migliorare l’efficienza del sistema per l’asilo, la prima accoglienza e il rimpatrio su base europea. Questo documento prevede che la fase di primo soccorso e di assistenza si svolga negli Hot Spot, centri in cui concentrare gli arrivi via mare per garantire una maggiore efficacia nelle procedure di identificazione. Questi centri sorgono in strutture preesistenti e prevedono lo screening sanitario, la pre-identificazione, il fotosegnalamento e l’avvio di procedure di accoglienza o di rimpatrio. Attività coordinate con il Ministero dell’Interno, con il supporto di Frontex, UNHCR, Europol e Easo, per distinguere all’ingresso in Europa i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
Il problema che si riscontra in Italia, però, deriva dal fatto che il nostro Paese sta rispettando le normative europee, per cui quello che non funziona e ciò che si dovrebbe modificare per garantire un’accoglienza degna, una vera accoglienza, non riguarda unicamente l’Italia, ma la stessa Europa.
In attesa di nuovi provvedimenti, il Naga propone alcuni punti per rendere l’accoglienza migliore, almeno in Italia: “Nessun rinnovo di convenzioni a enti che non erogano i servizi previsti dalle stesse; non rinnovo della convenzione agli enti coinvolti in inchieste giudiziarie; standard di assegnazione degli appalti legati alla qualità del servizio e non alla logica del massimo ribasso; meccanismi di monitoraggio e revisione delle convenzioni; superamento del “doppio sistema” – accoglienza prefettizia e SPRAR – in un unico sistema rispettoso degli standard SPRAR; per tutti i comuni italiani quote, proporzionate alla popolazione, di richiedenti asilo e rifugiati, puntando a un modello di accoglienza diffuso su tutto il territorio nazionale”.
Foto per concessione di naga.it