brunori sa, rai3

Piccole inchieste, contributi esterni, brevi reportage di realtà nascoste, tutto fa brodo per l’enorme polaroid dell’Italia del 2018 che è stato, e speriamo sarà, “Brunori Sa.”

A inizio maggio si è concluso, dopo le proverbiali cinque puntate di rito, “Brunori Sa,” l’appuntamento in seconda serata su Rai 3 con Brunori Sas. Il programma rientrava in una sorta di generoso arricchimento del palinsesto avviato da Mamma Rai per quest’ultima stagione televisiva, che ha visto anche la presenza del fratellino seriale “Ossigeno,” firmato Manuel Agnelli. Ma è proprio la presunta parentela da molti tracciata col programma del leader degli Afterhours a non rendere giustizia fino in fondo alle peculiarità di “Brunori Sa” che, pur con limiti da affinare, merita in sé la riconferma per il prossimo anno.

Al contrario di “Ossigeno” infatti, che godeva di un format più divulgativo e strettamente musicale, “Brunori Sa” risente delle recenti esperienze del cantautore cosentino, che negli ultimi anni ha affiancato alla sua musica tutta una serie di monologhi che si muovono dentro i confini di una stand-up comedy meno feroce ma, non per questo, meno amara. Chiaro è che la parte musicale non poteva certo essere tralasciata, ma anzi è stata rimpinguata attraverso una formula che vede, oltre ad una playlist molto azzeccata di sottofondo che spazia dai Tame Impala a Franco Battiato, anche il repertorio dello stesso Brunori e quello dei vari colleghi che, coi loro brevi interventi, hanno animato le cinque puntate del programma. Proprio la cernita degli ospiti da chiamare si è rivelata tra l’altro particolarmente azzeccata, col cantautore cosentino che ha condiviso il microfono con nuovi e, soprattutto, vecchi amici dell’indie italiano. Così, se magari una sera ci si è imbattuti in un più scontato – ma non meno interessante – Calcutta, in altre occasioni si è stati introdotti a artisti come Colapesce e Iosonouncane.

In ogni caso però, al di là di un comparto musicale che già di suo garantirebbe un’ampia sufficienza al programma, è stato tutto il contorno a rendere “Brunori Sa” un programma meritevole di rinnovo in palinsesto. L’idea di fondo – decisamente spericolata – è stata quella di approfondire di volta in volta uno dei temi come casa, lavoro, salute, religione e relazioni applicando sullo sfondo ansie e contraddizioni proprie della società liquida baumaniana. Praticamente impossibile in un’ora risicata di trasmissione, tanto che Brunori ha dovuto adeguarsi, sviluppando discussioni più sintetiche e disseminate di piccoli spunti interessanti, forte soprattutto del contributo dei vari ospiti, in modo da non perdersi nel mare magnum che gli si paventava sotto i piedi.

Scommessa vinta alla fine, perché per tutta la durata del programma Brunori riesce a tenere il profilo di chi lancia il sasso in acqua e poi resta lì, curioso, a guardare i cerchi che si generano e allargano sulla superficie. Non dà risposte ma riflette con gli ospiti e coi telespettatori, fino a rompere più o meno costantemente la quarta parete con interventi brevi fa efficaci.

I toni ovviamente sono quelli che da sempre contraddistinguono la sua poetica: ironici e amari, volti a mischiare linguaggi provenienti tanto da realtà più elevate quanto dal grande calderone del nazional popolare. La forza di questo contrasto sta però proprio nell’evitare eccessi di retorica, classismo o intellettualismo.

Dario Brunori è l’uomo qualunque, ma non è un qualunquista.

Il conduttore si pone questioni su cui chiunque si interrogherebbe, ma lo fa attraverso le domande giuste, con un atteggiamento semplice e ironico, mai saccente. “Brunori Sa” è infatti il tentativo continuo di abbattere ogni luogo comune che aleggia sulle cinque macrotematiche tirate in ballo, attraverso un’analisi della realtà tanto semplice ed immediata quanto veritiera. Piccole inchieste, contributi esterni, brevi reportage di realtà nascoste, tutto fa brodo per questa enorme polaroid dell’Italia del 2018.

Chiaro, non sempre tutto funziona a meraviglia – il capitolo sulle relazioni, ad esempio, semplicemente non colpisce nel suo intento – ma in generale l’esperimento può dirsi più che riuscito, se non altro per l’interesse che comunque riesce a suscitare.

Alla distruzione di ogni luogo comune corrispondono di riflesso infinite sfumature diverse e non un’unica, definitiva, soluzione. Proprio alla luce di questo continuo contatto con l’imperscrutabile, Brunori rinnova la condizione di assoluta finitezza a cui tutti siamo sottoposti e di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Nessuno è giudice di questa “società liquida,” nessuno ne sa, nemmeno lui, ma tutti ne siamo partecipi e, in un certo senso, chiamati ad interpretarla. Proprio questo è il fulcro di “Brunori Sa,” dal titolo ora ben più che programmatico. Come un ragazzino curioso, Brunori affronta le ansie e le contraddizioni dei nostri giorni facendo domande, studiando le realtà più diverse, ponendosi all’ascolto del prossimo e mettendo in discussione persino sé stesso e le proprie certezze, nel segno del buon senso, dell’onestà intellettuale e soprattutto dell’ironia.

Più che insegnare, con le sue riflessioni ricorrenti Brunori ha condiviso tutto questo, come a lasciare un messaggio in segreteria: la capacità di non farsi portatori di verità assolute, ma piuttosto mettersi in ballo ogni volta, porsi con umiltà e tolleranza in ascolto dell’altro, per provare ad orientarsi all’interno delle contraddizioni che tutti viviamo — la realtà è molto più ampia di quanto possiamo a primo impatto immaginare. E questo messaggio, di per sé, vale già una seconda stagione.


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