La notizia della richiesta del risarcimento da parte della ragazza ha scatenato la solita quantità desolante di commenti razzisti.
Si sta tenendo in queste ore, al tribunale di Macerata, la prima udienza del processo in corte d’assise a carico di Luca Traini, il neofascista ed ex candidato della Lega che il 3 febbraio scorso sparò dalla propria automobile contro alcuni passanti di colore, ferendone sei. Traini, che è accusato di strage, tentato omicidio plurimo e danneggiamenti aggravati dall’odio razziale, ha dichiarato di aver agito per “vendicare” Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa pochi giorni prima in circostanze ancora non chiarite, per la cui morte sono indagati attualmente quattro cittadini nigeriani. Prima di essere arrestato dai carabinieri, Traini si era avvolto in una bandiera tricolore e aveva fatto il saluto romano. Nonostante ciò, in molti — a partire dai leader politici in piena campagna elettorale — avevano avuto difficoltà a riconoscere la natura chiaramente fascista dell’attentato.
La difesa dovrebbe giocare la carta della semi-infermità mentale — attestata da una perizia di parte già depositata in procura lo scorso marzo — per ottenere uno sconto sulla pena finale. Ma Traini non si è mai detto pentito, e giusto l’altroieri è stato diffuso il video dell’interrogatorio fatto appena tre giorni dopo la tentata strage: il ventottenne si mostra lucido, sicuro di sé, sfacciato e strafottente. “Non rinnego niente di quello che ho fatto, mi dispiace solo per la ragazza di colore. Volevo colpire solo maschi adulti dell’età dello spacciatore.”
“La ragazza di colore” è Jennifer Otiotio, nigeriana di 25 anni, colpita a una spalla da uno dei proiettili di Traini e viva per miracolo. Riguardo al supposto rammarico dell’attentatore, lo scorso febbraio, ancora in ospedale, Jennifer commentava: “Non mi voleva sparare? Allora perché lo ha fatto?”
Oggi la venticinquenne è tra gli undici soggetti che hanno deciso di costituirsi parte civile contro Traini. Oltre a lei e agli altri cinque feriti — Gideon, Wilson, Mahmadou e Festus, l’unico con più di 30 anni — ci sono anche il Comune di Macerata, il Pd — la cui sede locale è stata ugualmente raggiunta da alcuni proiettili — e l’Associazione centro servizi immigrati Marche (Acsim), come gesto simbolico contro la discriminazione razziale.
Assistita dall’avvocato Raffaele Delle Fave, per l’attentato che poteva costarle la vita la ragazza chiederà un risarcimento di 750 mila euro. La notizia del risarcimento — che è del tutto normale e ragionevole chiedere, e la cui entità sarà stabilita dalla sentenza finale, come succede in tutti i casi del genere — per qualche ragione è stata ritenuta degna di finire tra i titoli dei giornali, attirando inevitabilmente una quantità desolante di commenti razzisti. Basta farsi un giro sotto i post pubblicati su Facebook dai principali giornali per avere un’idea.
“Certo, venite in Italia a chiedere risarcimenti, che certamente a lei glielo danno ma alla famiglia Garofalo è stato negato,” commenta un utente, chiarendo subito, ovviamente, che non è “una questione di razzismo ma solo di giustizia.”
Il refrain dominante è la “mancanza” di risarcimento per la famiglia di Pamela, come se fosse già stata emessa una sentenza per l’omicidio della ragazza e soprattutto come se le vittime di Traini c’entrassero qualcosa: a riprova che è riuscito a passare il messaggio, com’era l’obiettivo di Traini e delle forze politiche che l’hanno direttamente o indirettamente appoggiato, che esista una sorta di “proprietà transitiva” su base etnica della responsabilità penale.
Molti utenti si dicono sicuri, prima ancora che sia iniziato il processo, che “ovviamente” la ragazza otterrà quello che chiede, mentre non meglio specificati italiani vittime di violenza da parte di cittadini stranieri non ottengono “mai nulla.” Naturalmente c’è chi se la prende con la venalità di Jennifer, dato che è normalissimo prendersi una pallottola nel braccio e poi accontentarsi di un mazzo di fiori.
Jennifer la nigeriana, ferita dallo sparatore di Macerata, il risarcimento dovrebbe chiederlo ai suoi onnazionali macellai e divoratori di carne umana. Sono loro la causa di tutto. https://t.co/JupaltWB6R
— Carlo Organai (@CarloOrganai) May 7, 2018
Il vittimismo, tono dominante del discorso reazionario di destra in Italia, non trova ostacoli nemmeno dove la divisione dei ruoli dovrebbe essere chiarissima e senza discussioni: da una parte, un criminale con espliciti orientamenti neonazisti che in un delirio da vendicatore della razza bianca spara per uccidere persone innocenti; dall’altra, le vittime — quelle vere.
Questo genere di reazioni, mosse da un razzismo incorporato, istintivo, da riflesso condizionato — quello che subito fa esclamare automaticamente “e allora gli italiani?” sulla scorta di una contrapposizione etnica immaginata e costruita — non sono il frutto di una qualche propensione “naturale” al pregiudizio e all’odio verso il diverso, ma il risultato di una propaganda ben precisa, diffusa da anni soprattutto attraverso il mezzo televisivo. Una propaganda che ha fatto presa, diventando realtà per milioni di persone. Del resto, nonostante abbia cose leggermente più importanti da fare come risolvere l’impasse per la formazione del nuovo governo, lo stesso Matteo Salvini non perde occasione per strumentalizzare qualsiasi notizia di cronaca per esasperare l’odio razziale dei propri sostenitori: deve tenersi allenato per la prossima campagna elettorale.
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in copertina: grab via YouTube