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Lica e Albe Steiner, partigiani, hanno fatto la storia della grafica italiana del Novecento. Una mostra itinerante e un libro intitolato Grafici Partigiani, a cura della figlia Anna, raccolgono i loro lavori.

Riscoprire oggi il lavoro dei grafici Lica e Albe Steiner significa ritrovare una cultura ispirata dai valori della Resistenza, aperta a tutti e arricchita da quel senso di necessità che accomuna molte opere del dopoguerra.

Il lavoro di Licalbe – soprannome con cui spesso venivano definiti per la loro unione sentimentale e professionale indissolubile – racconta un’Italia proiettata verso la modernità, ma una modernità basata sui sacrifici per abbattere il fascismo, sulle lotte partigiane e sviluppata sui presupposti di una Costituzione che inaugurava un nuovo capitolo per la storia del paese.

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Albe, che non usò mai l’Alberto segnato all’anagrafe, e Lica, abbreviazione del nome ebraico Masal, presero parte alla resistenza in Val d’Ossola — nota per la Repubblica partigiana che si instaurò nel ‘44, sul finire del conflitto, e che accolse tutti i membri del Comitato Nazionale di Liberazione.

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“Dunque per noi non vi dovete preoccupare assolutamente. Siamo felici di non aver più nessun legame con la casa. Siamo felici di non vederci più intorno quei brutti oggetti e di saperli irrimediabilmente distrutti. Siamo felici che ci faremo non più un nostro studio ma che lavoreremo in grandi laboratori, redazioni, direzioni, consigli, teatri di posa… per tutti. Per questo viviamo, per questo si potrà felicemente morire. Tutti i nostri amici, più o meno accampati a Milano e fuori, ci offrono letti, tetti, libri, asilo, pasti, pasti, sapone, asciugamani e affetto…,” scriveva Albe nel 1943 ai genitori di Lica, dopo che il padre di lei era stato sequestrato dalle SS dalla loro casa di Mergozzo.

Questo breve estratto riesce a fotografare lo spirito con cui la coppia già proiettava il proprio impegno verso il futuro. Con la Liberazione, Lica e Albe mantennero la promessa e tradussero i valori comunitari dell’esperienza partigiana nel loro lavoro. I due grafici fondano lo studio L.A.S., un centro di sperimentazione e di innovazione da cui nascono – tra i tanti lavori –  collaborazioni con la Coop, per cui disegnano il logo, la triennale di Milano, l’Unità, l’Olivetti, l’Adi (Associazione per il Disegno Industriale), la Rinascente, solo per citarne alcuni.

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“Pochi sanno che l’Unità è stato il primo quotidiano in Italia a dedicare una pagina specifica alla donna, si chiamava La pagina della donna e tra il 1955 e il 1956 mia madre ci lavorò sistematicamente. Una volta alla settimana andava in redazione per progettare la pagina, le tematiche comprendevano la condizione di genere che all’epoca era di evidente iniquità,” ci racconta Anna Steiner, figlia di Lica e Albe, oggi docente di design al Politecnico di Milano.

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Nel 2015 Anna, con l’aiuto del Comune di Milano e di Coop e con la volontà di definire e presentare il lavoro dei genitori, è riuscita a inaugurare la mostra Licalbe Steiner – Grafici partigiani presso il Museo del Novecento. “Il progetto è stato quello di rivisitare come opere il lavoro di entrambi, non più solo il lavoro di Albe ma anche l’impegno di Lica. Evidenziare quindi il loro impegno come unità lavorativa,” prosegue Anna, che oggi, oltre all’impegno accademico, continua la tradizione famigliare all’interno dello studio Origoni-Steiner.

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La mostra nasce come itinerante: la prima tappa dopo il Museo del Novecento è stata a Firenze nel Museo degli Innocenti, poi da Firenze si è spostata a Reggio Emilia nel primo magazzino Coop allestito a studio per l’occasione, poi a Ravenna e infine, questo maggio, verrà presentata al Vittoriano di Roma. Dalla mostra è stato anche tratto un libro con i materiali esposti, edito da Corraini.

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Perché è importante, soprattutto il 25 aprile, riscoprire il lavoro di Lica e Albe, ce lo spiega Anna: “Nel rivedere un’opera dell’epoca, con tutte le sue componenti manuali, si percepisce un’emozione naturale e sempre più rara. La tecnologia con la quale si comunica oggi è straordinariamente generosa, offre tante possibilità, ma allo stesso tempo è un po’ appiattente, si corre il rischio che tutto appaia sempre uguale. Nel rivedere l’opera dei miei genitori infatti abbiamo messo in evidenza quelli che sono tutti gli appunti progettuali, dove si vede cioè il pensiero che sta sotto al progetto. Da quei pensieri nasce poi la riflessione per capire fino in fondo un’opera. Vedere, ragionare ed effettivamente poter riesaminare il processo di lavoro di una generazione che si è temprata civilmente con la guerra e la resistenza, ha un valore oggi che può indurre i ragazzi a fare confronti e a maturare un atteggiamento critico.”

I lavori grafici dei due partigiani raccontano l’evoluzione storica dell’Italia non solo attraverso le importanti rivoluzioni tecniche del paese, ma anche con piccoli momenti di intimità. “Lavorando alla mostra ho ritrovato dei materiali privati che non conoscevo, per esempio un piccolo libro tutto strappato e poi ricostruito, compilato da mio padre durante il periodo passato nel campo di internamento svizzero. Dopo la caduta dell’Ossola i miei genitori, che vi avevano partecipato, insieme agli altri partigiani accompagnarono la popolazione in Svizzera, dove le persone in età di leva furono messe in campi di internamento. Nel periodo dell’internamento a Rohrbach, mio padre, fino a poco prima dell’insurrezione finale, compilò a mano, con ritagli di giornale, questo libricino che parla d’arte, di sculture, di poesie e di tanto altro. Il libro è ovviamente dedicato a mia madre, con una dedica in doppia pagina che suona come un testamento.”

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“Potrà sembrar strano che nella prima riunione dell’Istituto Messicano Italiano di Relazioni Culturali, parli (io), un ‘guerillero’ italiano; però che cos’erano i partigiani se non partigiani della libertà e della cultura? Combattere per la libertà non è forse combattere in favore della cultura, in favore di tutti gli ideali del pensiero umano?” Albe Steiner, luglio 1947.”

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