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Capisco molto facilmente perché viene servito come dessert: lo Sikhye è dolce. Molto dolce. Mi sembra un po’ di bere un grosso marshmallow liquido.

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Ogni volta che sono in uno di quei grossi negozi in Paolo Sarpi mi sorprendo sempre della quantità di bevande che esistono. Scaffali dopo scaffali di lattine dai colori più disparati, come una strana competizione tra pavoni che cercano di attirare l’attenzione su se stessi e distaccarla dagli altri, e folle di belle ragazze stampate sull’alluminio che mi invitano ad assaggiare questa bevanda all’eucalipto o questo tè agli scarti di magazzino.

A questo giro però non mi sono fatto incantare da loro ma dai colori che ricordano le transenne che mettono nelle scene del delitto nei telefilm americani dello Shikhye, rice punch coreano.

Non so esattamente come possa esserci un punch di riso in una lattina ma penso sia solo una qualche strana traduzione letteraria: lo Sikhye (detto anche Shikhye e quindi non c’è nessun errore di battitura come pensavo inizialmente) è una bevanda tradizionale coreana creata versando dell’acqua di malto sopra del riso cotto. Questa è un’informazione che ho appreso perché una delle mie passioni segrete è guardarmi ogni tanto i drama coreani, dove tra gli strani effetti sonori e le reazioni esagerate degli attori ogni tanto si impara qualcosa sulla cultura del paese.

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Non faccio il nome della serie ma ricordo questa scena dove una delle protagoniste beve dello Sikhye prima di sostenere un importante esame e di conseguenza ha un attacco di diarrea mentre è seduta in aula (tema ricorrente che non riesco pienamente a comprendere) e deve fuggire, venendo bocciata. Spero non abbia lo stesso effetto su di me.

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Nonostante le ovvie reazioni iperboliche dello schermo, leggenda vuole che lo Sikhye abbia effetti dietetici, tanto che a quanto pare veniva servito ai nobili nel passato per aiutarli dopo i pasti, e aiuti contro i postumi. Il motivo non ci è dato saperlo ma considerati questi due effetti è ampiamente consumato durante le festività. Per me non sarà Natale ma mi sono fatto comunque questo bellissimo regalo.

RECENSIONE

Questa probabilmente è una mia preferenza personale, ma devo ammettere che non mi piace bere nulla che abbia dei frammenti di qualsiasi cosa che galleggiano al suo interno, soprattutto se questi frammenti sono chicchi di riso e mi ricordano quella volta che ho dimenticato di buttare il sacchetto dell’umido per una settimana e quando l’ho infine tolto ci ho trovato sotto delle larve. Il problema è facilmente risolvibile chiudendo gli occhi e pregando, cosa che faccio mentre prendo il primo sorso.

Capisco molto facilmente perché viene servito come dessert: lo Sikhye è dolce. Molto dolce. Mi sembra un po’ di bere un grosso marshmallow liquido.

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Il sapore comunque è ottimo nonostante sia leggermente nauseante dopo qualche sorso, ma la colpa di questo è mia che non ho seguito le istruzioni culturali che mi dicono di mangiarlo a stomaco pieno per concludere un pasto e invece l’ho bevuto alle otto del mattino dopo non aver dormito e mangiato solo un pezzo di pane nelle ultime quarantotto ore perché, nel senso, weekend.

Mi ricorda leggermente un’altra bevanda che avevo assaggiato proveniente da una parte completamente diversa del mondo, il Venezuela, che si chiama “Malta Polar,” fatta sempre con il malto ma di colore scuro e non così chiaro come lo Shikye. Il sapore della Malta Polar era molto più forte, una sorta di versione hardcore di quello che sto bevendo in questo momento. Se quella venezuelana viene chiamata anche “champagne cola” (casualmente lo stesso nome del prossimo pezzo di Drake), questa dovrebbe essere chiamata “champagne gassosa.” In ogni caso il sapore più leggero dello Sikhye lo fa vincere per quanto mi riguarda.

Se mai andrò a mangiare in un ristorante coreano lo ordinerò sicuramente a fine pasto, in modo da poterne assaggiarne una versione decente fresca e non questa industriale. 

Finisco un po’ a fatica il bicchiere e guardo sul fondo per vedere il residuo di chicchi di riso sopravvissuti alla mia fame, che mi fa ricordare che in effetti devo portare giù l’umido. Corro.