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Gli aventi diritto di voto a Milano sono circa 1.010.000. Ci sono in città più stranieri impossibilitati a votare che minorenni.

I commenti sul voto dello scorso 4 marzo nella città di Milano si sono sprecati. La metropoli lombarda si è rivelata essere l’ultima vera roccaforte del centrosinistra italiano, il collegio sicuro in cui Leu ha potuto candidare Laura Boldrini, +Europa prende quasi il 10% e il PD non crolla sotto il 25%.

I commenti di qualsiasi colore hanno fatto notare come a questa tenuta del centrosinistra, forte soprattutto nelle zone centrali della città, facesse da contraltare un voto delle periferie spostato verso destra. È un mese e mezzo che parole su parole vengono spese per sottolineare come la sinistra debba “tornare a parlare” alle periferie. Nessuno, però, sembra aver impostato un ragionamento partendo dalla base più profonda del problema: la percentuale di milanesi che ha diritto al voto e che, dunque, ha partecipato al risultato del quattro marzo.

Ci riferiamo al diritto di voto agli stranieri, una necessità che abbiamo spesso citato e che riteniamo essere impellente e basilare — anche se, come ci ha fatto notare l’assessore Pierfrancesco Maran subito dopo le elezioni, è diventata più remota vista la composizione del nuovo parlamento. Per rendersi conto della drammaticità della questione e come questa possa influire sulle dinamiche del voto basta leggere qualche numero relativo al comune di Milano.

POPOLAZIONE: 1.368.590
STRANIERI: 260.421

Zona 1: 96.000 di cui 11.768 stranieri
Zona 2: 156.000 di cui 44.800
Zona 3 141.000 di cui 20.192
Zona 4 158.000 di cui 29.700
Zona 5 124.320 di cui 21.618
Zona 6 149.000 di cui 23.400
Zona 7 172.000 di cui 31.342
Zona 8 183.000 di cui 33.845
Zona 9 185.000 di cui 43.626

Gli aventi diritto di voto a Milano sono circa 1.010.000. Ci sono in città più stranieri impossibilitati a votare che minorenni.

Il numero di stranieri realmente residenti in città, inoltre, probabilmente è ancora più alto: i dati del Comune prendono in considerazione solo quelli con regolare permesso di soggiorno. Molte di queste persone lavorano in nero, un fattore che li espone ancora di più a soprusi e situazioni critiche. Inoltre, si nota che la presenza di cittadini stranieri non è diffusa in modo uniforme sul territorio comunale: alcune zone, come la Zona 2, hanno una percentuale molto alta, mentre altre — come il centro, ma non solo — registrano una presenza minore.

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Via Padova è uno degli angoli più multietnici della città e si trova proprio nel Municipio 2. Allontanandosi da piazzale Loreto si incontrano una serie di attività commerciali di ogni genere gestite soprattutto da stranieri. Abbiamo chiesto a qualcuno di loro cosa ne pensasse della questione del diritto di voto. Le persone con cui abbiamo parlato non sempre ci hanno risposto volentieri: in alcuni casi per quello che pareva timore di esporsi su un argomento di carattere comunque legale, in altri perché semplicemente non sempre gli abitanti avevano una padronanza dell’italiano sufficiente per capire le nostre domande.

foto di Marta Clinco
foto di Marta Clinco

I.S. è di origine peruviana e gestisce un negozio di abbigliamento all’inizio di via Padova. Risiede a Milano da ormai diciotto anni: anche quest’anno, però, non ha potuto votare. “Tra due anni potrò avere la cittadinanza,” ci spiega. “La procedura non è facile. Alcune mie amiche già ce l’hanno, io però non ancora.” In generale, ci sembra che i titolari dei negozi siano più ben disposti a parlare con noi rispetto ai commessi.

In diversi negozi in cui siamo entrati ci è stato detto di aspettare il titolare per parlare con lui — e, la maggior parte delle volte, il capo non sembrava trovarsi in negozio.

M.M. invece gestisce un’agenzia di viaggi. È egiziano — lo si capisce anche soltanto entrando nel suo negozio, scarno ma costellato di pubblicità e simboli del proprio paese. M.M. ci racconta di essere in Italia da sei anni e di non aver potuto votare alle scorse elezioni. “Ma dare il diritto di voto agli stranieri che lavorano farebbe bene anche agli italiani,” sostiene. “Se un ragazzo è regolare, lavora e paga le tasse e i contributi delle pensioni qui, dovrebbe poter votare. Tanti stranieri fanno lavori come muratori e altri, che oggi è difficile che vengano fatti da italiani — ma è importante che sia regolare.”

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Via Padova ospita una delle comunità islamiche più grandi e attive di tutto il nord Italia, e la Casa della cultura islamica, che abbiamo raggiunto per telefono. “Nella zona di via Padova abbiamo circa 3000 membri e solo circa il 10% sono cittadini italiani, anche se non ho dati precisi.”  Questo significa che una larghissima parte di loro non può votare. “Ma credo sia normale, quando uno non è cittadino non è interessato al voto. Quando le cose cambieranno se ne potrà parlare. Al momento purtroppo le cose stanno così.” Un commento rassegnato.

Spesso viene citato come linea rossa rispetto alla quale il diritto di voto può venire concesso o meno il limite linguistico: può diventare cittadino italiano chi è qui da un certo numero di anni e conosce la lingua. Ma anche questo potenziale discrimine sarebbe superficiale, andrebbe ridiscusso: per essere davvero universale il suffragio dovrebbe consentire a tutti di votare, specie a chi lavora qui magari da molti anni. Come abbiamo scritto ormai più di un anno fa, l’Italia si trova in una situazione giuridica paragonabile a quella ottocentesca, in cui solo la fascia sociale più elevata e colta — in questo caso, i cittadini italiani — può votare, mentre le parti più basse della forza lavoro non ne hanno il diritto. Tutte le pagine come “Abolizione del suffragio universale” e il livore snob verso “la gente” fanno sempre parte di questo campionario retorico, secondo la quale solo chi è colto “e non vota a caso” potrebbe dire la propria. Ma questo non è un ragionamento democratico, e men che meno di sinistra.

“Immigration graffiti and immigrants” è un progetto di Xiao Sha
Immigration graffiti and immigrants” è un progetto di Xiao Sha

Il fatto stesso di poter votare favorirebbe la creazione di una forza politica attenta alle esigenze di chi è più svantaggiato, come appunto chi risiede in una delle periferie più critiche di Milano. Nel 2015, i redditi degli stranieri residenti in Italia provenienti da paesi come Romania o Ucraina erano meno della metà di quello medio italiano. Non è un caso che la Zona 2 sia il municipio con la percentuale più alta di cittadini stranieri impossibilitati a votare e l’unica in cui alle ultime elezioni comunali ha vinto — seppur di pochissimo — Stefano Parisi, candidato per il centrodestra. Nelle aree a grande concentrazione di cittadini stranieri come questa, uno dei fattori per cui il centrodestra vince è anche il fatto che quasi la metà della popolazione non può entrare nella cabina elettorale a esprimere il proprio disprezzo per Salvini. Il diritto di voto coinvolgerebbe una grande massa popolare all’interno del discorso pubblico, non solo come oggetto di propaganda, ma come classe sociale pensante.

Abbiamo parlato con Gabriel, 28 anni, videomaker di Milano di origine ecuadoriana. “Vivo qui da quando avevo 7 anni. La maggior parte della mia vita l’ho passata — purtroppo o per fortuna — qua in Italia. Nonostante questo non ho certi diritti e certi doveri. Non c’è solo il discorso dello Ius soli e dello Ius sanguinis. Io e molti altri non siamo nati qui ma di fatto siamo italiani: sappiamo la lingua, abbiamo la cultura, sappiamo un po’ di dinamiche di questo paese.”

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Per quanto la battaglia attorno allo Ius Soli sia stata giusta e nobile, nel caso in cui fosse stata vinta avrebbe rappresentato solo un passo verso l’effettiva parità giuridica tra tutte le persone residenti sul suolo italiano. Molte persone non sono nate qui e anche con uno Ius Soli puro sarebbero rimaste sprovviste di cittadinanza, pur essendo in molti casi integrati a tutti gli effetti nella vita del paese. Qualche mese fa abbiamo raccontato le loro storie.

“Io abito a Milano in zona 8, vicino a piazza Firenze. Molti amici della mia famiglia sono stranieri con permessi di soggiorno lunghissimi ma sono davvero precari, nonostante lavorino da decenni. Alcune persone invece si disinteressano: vedono l’Italia come un paese ospitante: lavorano, mandano i soldi a casa e chi se ne frega della politica di qui. Secondo me è sbagliato, questo è anche il tuo paese.”

Ormai si deve pensare se la definizione stessa di cittadino italiano ha ancora senso: i criteri che finora hanno circoscritto le sue caratteristiche sono ancora validi? Ad esempio, un figlio di un migrante italiano negli Stati Uniti ha diritto di esprimere tramite il proprio voto la sua opinione sul tema della sicurezza sul lavoro in Italia. Un migrante sudanese che lavora qui da otto anni in precarie condizioni di sicurezza, no. Non è nemmeno una questione di Sanguinis o Soli — è semplicemente una versione raffinata di sfruttamento del lavoro.

La situazione ovviamente non è limitata solo al comune di Milano, ma a tutta la Lombardia e Italia. Ester è una venticinquenne cilena che vive in provincia di Lecco e non ha potuto votare alle scorse elezioni. “Va fatta distinzione tra permesso di soggiorno di breve e di lunga durata. Posso capire che chi ce l’ha di due, come me ad esempio, possa essere escluso, ma chi ce l’ha di cinque dovrebbe poter votare. Fondamentalmente paghi le tasse, quindi dovresti poterlo fare.” Ester lavora per un’agenzia di comunicazione, per cui fa analisi dei dati. “Ho una partita IVA, quindi figurati. Le persone che si sono laureate con me hanno fatto lo stesso percorso di studi qui in Italia. Scoraggia anche l’integrazione: fondamentalmente se non sei cittadino qua non hai nessun diritto se non quello di vivere e lavorare.”

Purtroppo difficilmente ci sarà un allargamento del diritto di voto in questa legislatura — e probabilmente anche nella prossima, se si dovesse tornare al voto a breve. È una scelta sbagliata e non buona, ma non è del tutto incomprensibile: spesso chi acquisisce un diritto o del potere in più di qualcun altro lotta per tenerselo stretto. “Ci sono state manifestazioni di migranti regolari che voterebbero Lega perché i nuovi migranti sono i primi competitor a prezzi ancora minori,” ci fa notare Ester: un fenomeno che non deve stupire. Il diritto di voto agli stranieri non è qualcosa che ha a che fare con il sangue o con il suolo, ma con la classe sociale. Estendendo il diritto di voto ai lavoratori stranieri, si estende semplicemente il diritto di voto ai meno abbienti, una condizione che dovrebbe essere presente in ogni democrazia degna di questo nome.

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