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in copertina: grab via YouTube, “Boicottaggio delle notizie scomode

“Io sto con i poliziotti che si fanno rispettare. Con le buone o con le cattive.”

Dalla parte delle forze dell’ordine per scelta. Quello di Giorgio Carta ― legale di uno dei carabinieri accusati dello stupro di Firenze ― non è solo schieramento ideologico: è un sostegno aprioristico all’Arma, tale da portarlo a trattamenti umilianti nei confronti di chi denuncia di aver subito violenze sessuali.

Le domande poste dalla difesa durante l’incidente probatorio durato più di dodici ore hanno suscitato una severa indignazione nell’opinione pubblica. I processi si fanno in Aula, non c’è dubbio: ma questo è un mantra che l’avvocato sembra ripetere allo scopo di spostare l’attenzione dal suo comportamento, puntando l’indice sulla stampa che in questi giorni non ha svolto altro che il suo compito di denuncia nei confronti di un legale accusabile solo da un punto di vista etico.

Ma per Carta si tratta di un polverone mediatico. “Amici in uniforme, ricordatevi: nessuna presunzione di innocenza per voi”, scrive su Facebook. Una presunzione di innocenza, per altro, che dev’essere considerata unilaterale da chi si fa tutore del garantismo a seconda delle persone in questione. L’avvocato, durante l’interrogatorio, ha infatti accusato la ragazza di aver “finto un reato” e con riferimento ai buchi di memoria post-traumatici ha tuonato: “Io non ci credo che non lo ricorda.” Poi, però, si è concesso a interviste in cui si dice invece “certo dell’innocenza dei due militari”.

Gli imputati, nonostante le prove a sostegno dell’accusa, sono innocenti fino a sentenza emessa. Ma qui si tratta del comportamento vergognoso subito dalle ragazze durante l’interrogazione, che prescinde dalla veridicità dei fatti denunciati.

“È la prima volta che è stata violentata in vita sua?”, “ha un fidanzato?”, “voglio sapere se è un poliziotto”, “ha mai visitato un negozio di divise a Firenze?”, “erano urla di parole o semplicemente urla di dolore?”, è arrivato a chiedere Giorgio Carta. “Non l’ammetto, non torno indietro di 50 anni,” è stata invece la risposta del giudice che, mantenendo un atteggiamento fortemente contrario alle reiterate domande intrusive e sfacciate della difesa, ha concluso con un perentorio: “No, fermiamoci qui, il sadismo non è consentito.”

Ma le prime frasi equivoche di Carta risalgono al novembre scorso: “Il mio assistito è un bellissimo ragazzo e non ha bisogno di stuprare nessuno,” aveva affermato ― ignaro di essere registrato. Alla cattiva reazione di stampa e cittadinanza si è poi dichiarato “disgustato” e ha minacciato un esposto all’Ordine dei giornalisti.

Ospite fisso su Rai International, Giorgio Carta è considerato uno dei massimi esperti di diritto militare. Scrive inoltre su “Carabinieri d’Italia magazine” ed è stato presidente onorario dell’ASFOA (Associazione Sostenitori Forze dell’Ordine e Armate). La carriera per arrivare qui lascia pochi dubbi sulla sua militanza attiva dalla parte dell’Arma. Carta ha fatto della sua scelta professionale motivo di orgoglio e ferma presa di posizione. Una scelta fatta, però, soltanto dopo aver vissuto l’esperienza di militare in prima persona come Ufficiale.

In un’intervista al “network di informazione su sicurezza e difesa” GrNetNews l’avvocato si presenta così: “Affascinato dalla figura dell’eroe, cerco di difendere quelli che io ritengo degli eroi.”

Alludendo, poi, a tempi o luoghi in cui l’Arma verrebbe meno monitorata e quindi recriminata dice alle telecamere: “Non mi ritengo un eroe, ma in un altro momento storico ci sarei andato vicino”. E ancora: “La figura dello sbirro, del poliziotto, mi ha sempre affascinato.” Non senza riserve, però, perché ― a detta di Carta ― si tratta pur sempre di un ambiente in cui l’uomo in divisa non è abbastanza elogiato: “Libero dal servizio a me piaceva stare alla stazione Termini e inconsciamente speravo succedesse qualcosa che mi avrebbe visto capace di intervenire. Questa mia voglia di essere operativo non era bene accetta. Questa situazione mi frustrava”. Perciò decise per il congedo, ritenendo “più utile per gli stessi carabinieri fare l’avvocato e aiutarli da fuori.”

“Smaniavo dalla voglia di intervenire in fatti criminosi e già dopo tre giorni che avevo il tesserino assistii a un caso di reato e procedetti. Feci il mio primo arresto, era una questione molto insolita nella scuola allievi. Mentre io pensavo che sarei tornato in caserma come un eroe in realtà l’accoglienza fu di tutt’altro genere. Mi aspettavo sinceramente una reazione diversa”, racconta. Un ideale, quello dell’eroe, che ricorre spesso nelle affermazioni dell’avvocato, a dimostrazione dell’orgoglio militare che lo muove nel lavoro.

Carta è infatti attivo nella diffusione di un’immagine dell’uomo in divisa valoroso e inappuntabile. Il suo pensiero emerge forte e chiaro da un’analisi delle sue prese di posizione dal tono piuttosto politico (sfociate persino nella fondazione di un partito ― il PSD, Partito per gli Operatori della Sicurezza e della Difesa ― che vantava esponenti come Salvatore De Maio tra gli scritti nella corsa alle regionali del 2010, nelle liste de La Destra di Storace). L’accento è posto soprattutto sulla critica a quello che ritiene un sistema che non conferisce abbastanza riconoscimento e libertà ai militari.

Coerentemente con questo pensiero l’avvocato ha lamentato la presunta scorrettezza riguardo “l’impossibilità di usare la forza con i delinquenti e chi devasta le città” e l’inadeguatezza, a suo parere, delle norme che prevedono il “servizio senza taser.”

A proposito di cortei e scontri di piazza ha scritto: “Chiunque partecipi a manifestazioni pubbliche con il chiaro intento di aggredire le forze dell’ordine va fermato ad ogni costo e con ogni mezzo, compreso un proiettile in mezzo agli occhi,” sperando che “la gentaglia che vuole la guerra con i cittadini in uniforme, trovi la guerra. Troppo comodo fare affidamento sulla notoria impossibilità dei nostri poliziotti e militari di reagire alle violenza subite. Quello attuale non è il quadro normativo di uno stato di diritto, ma di un paese destinato all’estinzione.” E infatti per il “miglioramento” del quadro normativo in difesa della possibilità di usare il pugno di ferro come unico baluardo per la sicurezza e la civiltà l’avvocato si è più volte speso.

Carta si dichiara fiero sostenitore del sistema di sicurezza statunitense e delle libertà lasciate ai poliziotti, nonostante la cronaca non faccia pensare che sia il meglio da prendere come esempio, soprattutto per via dei frequenti abusi di potere.

Violenze immotivate e arbitrarie sotto la bandiera a stelle e strisce avvengono all’ordine del giorno e l’avvocato non lo nega, anzi divulga: “Visto con occhi italiani, questo è un poliziotto violento perché non si è fatto insultare e spernacchiare da un’adolescente. Visto con occhi di un popolo civile, questo è ciò che accade quando non si rispetta un appartenente alle forze dell’ordine nell’esercizio delle proprie funzioni. Io sto con i poliziotti che si fanno rispettare. Con le buone o con le cattive,” commenta sotto il video di un poliziotto del South Carolina che sbatte a terra una bambina a scuola.

“Probabilmente se fossi vissuto in America, un paese che io amo molto, sarei rimasto a fare il poliziotto, lo sbirro. In Italia purtroppo non ci sono le condizioni,” ha confessato ai microfoni. Ma poi il modo per tenersi a contatto con i colleghi Carta l’ha trovato, regalando loro l’esclusiva nel suo lavoro di legale: “Per scelta difendo solamente militari, poliziotti e qualche magistrato,” dice ad un convegno alla Sede della regione Lazio.

Da avvocato del maresciallo Masi aveva dichiarato: “Lo rifarei altre cento volte (difendere l’imputato, ndr). La mia filosofia di vita e professionale mi porta a non difendere chi so essere colpevole e, viceversa, a battermi con tutte le mie energie per i militari e poliziotti che io personalmente ritengo onesti.” Onesti, stando alle sue parole, semplicemente perché portano una divisa.

Non solo, i militari sarebbero anche difendibili nonostante l’approccio aggressivo, al punto da vedere l’avvocato parteggiare per un carabiniere che prende a schiaffi una donna: “Mi ribolle il sangue nel vedere questa assurda lapidazione mediatica di un carabiniere che ha fatto il proprio dovere e che ha tutta la mia approvazione,” commenta. Fatto deprecabile indipendentemente dal sesso della vittima, in questo caso femmina.

L’opinione pubblica, poi, a seguito della diffusione delle domande fatte durante l’interrogatorio alle ragazze, ha poi sollevato dubbi sulla visione delle donne di legali capaci di tali brutalità. Dubbi forse corroborati dalle battute che Carta mostra di apprezzare: “Un cane è il miglior amico dell’uomo. Chiudi il tuo cane e tua moglie nel bagagliaio dell’auto. Poi aprilo, chi sarà felice di vederti?” Qualcuno potrebbe sicuramente scusarla quale semplice bassa ironia, ma i più critici vedrebbero l’errore in un messaggio rivolto esclusivamente agli uomini, che equipara la moglie a un cane come possesso dell’uomo.

Riguardo il processo in corso Giorgio Carta ha precisato, giustamente, che risponde soltanto delle domande da lui poste. Anche perché il tenore della prima parte dell’interrogatorio, a cura della sua collega ― legale dell’altro carabiniere accusato di violenza sessuale ― è altrettanto grave. Con Cristina Menichetti, infatti, deve aver concordato preliminarmente sulla scelta dell’approccio aggressivo e delegittimante sul piano personale.

Ne avevano annunciate 250 per ciascuna ragazza, ma le domande ammesse dal giudice sono state soltanto un terzo. E non per questioni di sensibilità, ma in quanto inammissibili: “La legge non consente che le testimoni vengano offese, non sono consentite domande che attengono alla sfera personale, che offendono e che ledono il rispetto della persona,” ha poi detto il gip Mario Profeta alle ragazze. Il giudice ha mediato l’interrogatorio risparmiando alle giovani anche il sarcasmo dell’avvocato su una supposta “voglia” di dire la verità di cui la ragazza starebbe “morendo,” bollandola come “ironia fuori luogo, oltre il consentito.”

Cristina Menichetti, da parte sua, non ha certamente una carriera in difesa delle forze dell’ordine come Carta e non vi è riscontro di sue dichiarazioni compromettenti. “Non è una femminista nel senso più stretto del termine,” l’hanno descritta all’indomani dello scandalo. E questo, nonostante abbia in passato difeso vittime di violenza maschile, è evidente da domande come “trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa?” o “lei indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima?” ― certamente impensabili per una donna con una seria consapevolezza su temi come il victim blaming o sulle evidenti difficoltà di chi subisce e denuncia uno stupro.

Insomma, se deontologicamente parlando i legali dovrebbero svolgere il proprio lavoro scevri da ogni pregiudizio, posizionamento di parte e pulsione identitaria la giustizia italiana in questi giorni comunica di essere ben poco ancorata all’oggettività che dovrebbe contraddistinguerla. Qualunque sia la sentenza finale su questo caso il comportamento inammissibile della difesa è palesemente condizionato da inclinazioni personali.