Lo scorso 7 ottobre sulla SP 75 che collega, in Piemonte, la valle Cannobina al Lago Maggiore si è abbattuta una frana che ha invaso completamente la carreggiata rendendo impraticabile la provinciale e spezzando di fatto la valle Cannobina in due tronconi.
A oltre tre mesi dalla caduta della frana la strada è ancora impraticabile.
Massi e detriti occupano le corsie impedendo il transito ai veicoli in entrambi i sensi di marcia. Gli unici — qualcuno un po’ troppo malizioso direbbe scarsi — progressi fatti in questi mesi consistono nell’aver rimosso i massi pericolanti rimasti in bilico lungo la parete rocciosa, nel posizionamento di 1600 metri quadrati di rete per il consolidamento del versante e nella costruzione di una passerella pedonale in corrispondenza del cumulo di rocce per consentirne l’attraversamento a piedi.
I dati resi pubblici dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) dovrebbero ricordarci la vulnerabilità dell’Italia in materia di fenomeni franosi. Il 7,5% del territorio nazionale, con indici di franosità più o meno allarmanti, è potenzialmente soggetto a frane e smottamenti. Le sempre più frequenti calamità naturali, i fenomeni climatici estremi intensificatisi (specie in autunno) negli ultimi anni uniti alla scarsa cura del territorio e alla manutenzione non adeguata delle infrastrutture pubbliche, alimentano sempre di più nei cittadini (e tra le più alte cariche dello Stato) la consapevolezza del problema ambientale. A livello amministrativo, spesso, le cose non sembrano andare invece per il verso giusto. Le province — mai realmente scomparse — lamentano l’inopportunità del decreto Delrio, quando possono chiamano in causa le regioni e nel complesso annaspano di fronte ai tagli statali alle risorse economiche locali. Non avendo i mezzi per fare prevenzione agiscono il più delle volte in ritardo, a cose fatte — a frana caduta. È questo il caso della valle Cannobina, enclave della Provincia del Verbano Cusio Ossola e simbolo, tra le centinaia di casi che ogni anno interessano il nostro paese, di un’Italia passiva, inerme e totalmente impreparata di fronte alla piaga del rischio idrogeologico.
25 dicembre 2017
L’ex strada statale 631, un tempo strada provinciale 75 di Fonte Carlina, ora solo SP 75, collega il Lago Maggiore, nella fattispecie il comune di Cannobio, al comune di Malesco in Val Vigezzo (dove si tiene ogni anno il raduno internazionale dello spazzacamino). Percorre per 25 km una valle, quella Cannobina, impervia, povera e scarsamente popolata. I residenti censiti dall’ISTAT sono circa 700 suddivisi in 4 comuni: Cavaglio—Spoccia, Falmenta, Cursolo—Orasso e Gurro. Come vorrebbe testimoniare il sito internet del Museo Etnografico di Gurro e della valle Cannobina in questi luoghi, fino a pochi decenni fa, la popolazione viveva quasi unicamente di coltivazione e allevamento. Con il passare del tempo, complice l’endemico spopolamento dei paesi montani — a Socraggio, un villaggio abbarbicato sulla montagna a qualche chilometro da Cannobio, rimane ormai un solo abitante, un’anziana signora di 91 anni — i lavoratori hanno trovato impiego per lo più oltre frontiera, nelle aziende ticinesi. Le scuole elementari più vicine, così come le medie, così come tutti i principali servizi (asilo, pronto soccorso, banca, supermercato, ecc.) si trovano ai margini della vallata, a Malesco o a Cannobio, in entrambi i casi a una ventina di minuti di macchina dal centro valle. Per raggiungere Verbania e Domodossola, dove si trovano gli istituti superiori e gli ospedali più vicini, i tempi di percorrenza crescono sfiorando in condizioni normali l’ora di viaggio. Il 7 ottobre scorso, alle complicazioni quotidiane date dall’abitare in un luogo fuori mano, si è aggiunta la caduta di una frana sull’unica strada che collega la valle Cannobina al capoluogo locale, Cannobio. I massi sono rotolati giù dal versante della montagna per alcune decine di metri abbattendo la vegetazione e rovinando sull’asfalto pochi metri oltre il bivio che congiunge la SP 75 al comune di Falmenta. Il crollo, avvenuto alle 7 di un sabato mattina, non ha coinvolto alcun passante ma ha avuto come effetto immediato l’aumento esponenziale dei tempi di percorrenza verso il lago. Non potendo più percorrere la provinciale verso valle, gli abitanti della zona si sono trovati da un giorno all’altro a dover evitare la frana risalendo verso monte, percorrendo uno dei due unici e avventurosi itinerari evidenziati nella mappa sottostante. Obbligati a passare dalla Svizzera o a dover circumnavigare il Parco Nazionale della Val Grande (che include la zona selvaggia più estesa delle Alpi e d’Italia), le distanze sono triplicate o addirittura quintuplicate.
Parlare di scomodità e disagio non solo è evidente ma è oltretutto decisamente riduttivo. Per cercare di far fronte a queste traversate, lo scorso 28 dicembre è stata predisposta in corrispondenza della frana — anzi proprio sulla frana — una passerella pedonale che da quel giorno permette la ricongiunzione delle famiglie e consente agli abitanti dei paesi a monte di arrivare in auto fino ai massi, lasciare la macchina, attraversare a piedi la frana e ripartire verso valle a bordo di un’altra auto. Passerella a parte, è verosimile che una parte degli abitanti della valle Cannobina continui a raggiungere Cannobio sfruttando il percorso alternativo più breve, quello che passa dalla Svizzera. Una conseguenza diretta di questa scelta (per alcuni obbligata) oltre come abbiamo già detto all’aumento dei tempi di percorrenza, consiste nella spesa (in termini di tempo, ma soprattutto di denaro) che gli abitanti della valle hanno dovuto affrontare (e affrontano tuttora) per arrivare a Cannobio. Come testimoniato da Alan Bonetti, consigliere comunale a Cursolo—Orasso, alcuni cittadini della valle, posti di fronte a questa evidenza, hanno preferito evitare la perdita di tempo quotidiana trasferendosi temporaneamente a Cannobio, scegliendo quindi di sostituire il costo quotidiano per lo spostamento casa—lavoro con quello mensile di un affitto nel capoluogo locale. Una conferma trasversale di questo fatto, che è una conferma del disagio arrecato dalla frana alla popolazione locale, ci è stata data anche dalla proprietaria di un’agenzia immobiliare di Cannobio che, contattata da noi, si è detta certa del trasferimento temporaneo di persone da monte a valle e che lamenta, dal canto suo, di avere delle vendite di immobili in sospeso a causa della frana.
Quello che sta succedendo in valle Cannobina accade periodicamente, in modo diffuso, in giro per l’Italia. Le conseguenze di un frana sono quasi sempre molto simili e, come osserviamo quotidianamente, comportano tempi di risoluzione spesso estremamente lunghi. Abbiamo quindi cercato di capire quale sia il retroscena di questa vicenda che, come abbiamo accennato, sostanzialmente rappresenta uno scenario comune alla gran parte dei fenomeni franosi sparsi per la penisola. Per approfondire la questione abbiamo quindi deciso di incontrare a Cannobio il presidente dell’Unione del Lago Maggiore, e sindaco del paese, Giandomenico Albertella.
Come mai ci sono voluti tre mesi per realizzare la passerella pedonale?
Per rendersi conto dell’importanza di questo evento franoso bisogna andare sulla sommità e in parete, perché da sotto non ci si può rendere conto. La frana ha interessato un fronte ampio, di ottanta metri, quindi il primo intervento è stato quello di messa in sicurezza del versante, che oggi non è ancora finito. Oggi sono stati unicamente disgaggiati tutti i massi pericolanti, sono stati posati milleseicento metri di rete, non ancora fissati completamente, che diventeranno duemila in aderenza. Ma per completare la messa in sicurezza mancano ancora duecento fissaggi, che consistono in perforazioni a sei metri di profondità. Se ne fanno otto al giorno, il calcolo dei giorni è subito fatto. Poi bisognerà contare altri tre o quattro giorni per tirare le funi. Quindi andranno fatti due ordini, probabilmente tre, di barriere paramassi. Per fare tutto questo serviranno ancora quaranta o cinquanta giorni lavorativi, in parete. E nel frattempo il responsabile della sicurezza ha permesso un lavoro contestuale per la rimozione del materiale presente sulla strada perché, lavorando a monte, chiaramente c’è un problema di sicurezza per chi lavora sotto. Bisogna anche aggiungere che in parete c’è un problema di spazio, per cui non possono lavorare più squadre contemporaneamente.
13 gennaio 2018
È stata stimata per il ripristino della strada una spesa di 820 mila euro.
Lo stanziamento è di 1,05 milioni di euro al quadro economico complessivo. Ma il grosso del lavoro è sul versante. La sede stradale, di per sé, è quella meno problematica. Una volta che è messa in sicurezza la parete andranno fatti dei micropali per contenere il muro e poi andrà realizzata la travatura per la sede stradale. Ma quello è il problema minore.
Il rischio però non è che il prossimo autunno si ripresenti il problema, magari duecento metri più avanti?
Non c’è dubbio. Può presentarsi su tutti i venti chilometri della provinciale così come può ripresentarsi sulla strada statale 34. Risolti quei sessanta metri non è risolto il problema della SP 75. C’è un problema di accumulo di tempo in assenza di interventi e con assenza di risorse. È difficile spiegarlo alla gente, ma questo intervento è stato possibile solo perché si è riusciti a reperire nell’arco di un mese dalla frana un milione di euro. Avrebbe dovuto reperirlo la provincia, perché la strada è di competenza provinciale, ma la provincia è in dissesto, cioè ha un debito plasmato da qui al 2023. Non ha un euro per gli investimenti. Né sulle scuole, né sulle strade. Questo perché chi ci governa ha cancellato le risorse per cui alle province, che non sono state cancellate, sono rimaste in carico strade e scuole senza avere un euro per poter investire. In questo caso la coincidenza è stata che nel 2018 la SP 75 passerà in gestione ad ANAS. I fondi trovati per i lavori sono un’anticipazione che ANAS fa alla regione per le manutenzioni che verranno fatte fino a quando l’ente prenderà in capo la strada. Questa anticipazione ci ha permesso di intervenire, altrimenti il rischio era che la chiusura fosse a tempo indeterminato.
Facendo una rapida ricerca, considerando gli ultimi dieci anni, ho trovato una quindicina di frane documentate da articoli di giornale cadute nel solo Verbano Cusio Ossola (nota: secondo i dati di ISPRA la Provincia non è nemmeno tra quelle allarmanti per quanto riguarda il rischio idrogeologico).
Io sono sindaco di Cannobio dal 2009. Dal 2009 ad oggi ho affrontato otto frane… nell’ultimo anno sono andato a Roma parecchie volte per cercare di far presente la problematica e di avere gli stanziamenti, che stiamo riuscendo ad avere. Al Ministero e ad ANAS dicono però, giustamente — lei ha la strada SS 34 perché è sindaco di Cannobio. Noi nel quadro generale abbiamo l’Italia in queste condizioni. — Insomma il dissesto idrogeologico italiano è un problema abbastanza riconosciuto. Il vero problema è la prevenzione e qui non si è mai fatta per cui sulla SS 34 e sulla SP 75 stanziamenti zero, per quarant’anni. È inevitabile che accadano queste cose.
Sappiamo di lavoratori trasferitisi temporaneamente a Cannobio a causa della frana. Che lei sappia sono previsti indennizzi da parte delle istituzioni?
No. Non c’è nessuno stanziamento di questo tipo.
Non se n’è neanche parlato?
Assolutamente. Consideri una cosa, quando è caduta la frana che ha isolato Cannobio per cinquanta giorni, la frana di Cannero del 2014, avevamo centocinquanta ragazzi che tutti i giorni vanno a scuola a Verbania a cui dovevamo garantire il diritto di andare a scuola. Allora abbiamo organizzato con la Navigazione Lago Maggiore un servizio sostitutivo via lago che al comune di Cannobio è costato 54000 €, per non far pagare gli studenti che avevano già pagato l’abbonamento. Insomma io ho chiesto al Ministero il rimborso di quella cifra e, non solo non ho avuto le risorse, ma neanche la risposta.
In questi mesi l’Unione Lago Maggiore, attingendo anche a fondi propri, ha garantito e riorganizzato i servizi di ritiro dei rifiuti, consegna della posta e trasporto scolastico in valle Cannobina senza che i costi ricadessero sugli abitanti locali sotto forma di aumento delle imposte locali o di rincaro degli abbonamenti. Per allargare lo sguardo sulla vicenda e andare più a fondo abbiamo quindi contattato il presidente della Provincia del Verbano Cusio Ossola, Stefano Costa, eletto nelle fila del PD.
Innanzitutto, come mai le casse della provincia si trovano in questa condizione?
La nostra provincia, assieme ad altre tredici o quattordici, è tra quelle che hanno patito di più l’ultima riforma perché già carenti strutturalmente dal punto di vista delle entrate. Il problema è partito dalla spending review del governo Monti, anzi dalla fine del governo Berlusconi in poi. In sostanza i governi successivi hanno attuato i prelievi ma non le compensazioni di finanza locale. Questo ha fatto si che subissimo 10 milioni di euro di tagli alle entrate proprie della provincia, che sono l’RC auto e l’IPT.
La situazione ci è stata fatta presente anche dal presidente dell’Unione Lago Maggiore.
Si, sono tre anni che si fa fatica a chiudere i bilanci e i capitoli sono praticamente vuoti, questo è vero. Sulla Cannobina siamo intervenuti con un anticipo di fondi statali che abbiamo concordato con la regione e che spettano alla nostra provincia. Dei 2,4 milioni di euro che ci spettavano ci siamo fatti anticipare un milione per intervenire subito sulla frana.
Nella legge di bilancio approvata prima di Natale compare un “pacchetto montagna–ambiente–territori” che garantirà nel complesso 1 miliardo e 650 milioni “per interventi di manutenzione della rete viaria di competenza delle province”. Secondo lei questo fondo può garantire interventi strutturali?
Allora, questo fondo può essere solamente sufficiente a colmare un po’ il gap di manutenzione che c’è stato in questi anni. È sufficiente, se però contemporaneamente si ripristinano anche le entrate proprie alle province, in modo tale che si possa fare programmazione. Adesso si stanno pagando questi tre o quattro anni di impossibilità di fare qualsiasi tipo di manutenzione, straordinaria ma soprattutto ordinaria. Il taglio a tutti questi interventi era già partito dal 2012. Accumulando manutenzioni da fare la situazione si aggrava sempre di più. Un fondo del genere può quindi servire per bilanciare quello che non è stato fatto. Sarebbe perfetto però se si ripristinassero i bilanci ordinari, le entrate ordinarie alle province che poi vanno sulle funzioni fondamentali, mi riferisco alle strade e alle scuole.
Per quanto riguarda la SP 75 della valle Cannobina in futuro sono previsti degli interventi su tutta la provinciale?
La Cannobina è previsto che passi ad ANAS e quindi, nella previsione di passaggio, c’è dentro anche una messa in sicurezza, che verrà fatta in accordo con la società prima che si intervenga sulla SS 337 della Val Vigezzo. Quindi è normale che i lavori sulla SP 75 andranno di pari passo con i lavori sulla SS 337. Tutta quell’area lì, SS 34, Cannobina e SS 337 saranno oggetto di interventi nei prossimi anni su finanziamenti accertati sia statali che regionali.
Quindi verosimilmente ci saranno lavori su tutti i 25 chilometri di provinciale.
No. Non servono su tutti e 25. Servono su quelli finali, da Orasso a salire. La parte bassa non è messa male.
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Riassumendo, sperando di non confondere ancora di più le idee del lettore: oggi la SP 75 è di competenza della Provincia del Verbano Cusio Ossola. Ma la provincia non ha soldi. Allora si è convinto ANAS, che tra poco inizierà degli importanti lavori sulla vicina SS 337, a prendersi sul groppone la provinciale e ad anticipare i soldi per il ripristino della strada. Ma la provincia ha competenza solo per la sede stradale, non per i versanti della montagna, che ricadono nell’ambito “rischio idrogeologico” e sono di competenza della regione. Allora ANAS ha fatto un prestito alla regione che a sua volta include anche i fondi (provinciali) per il ripristino della sede stradale. Forse, verrebbe quasi da pensare, è proprio questa bagarre di competenze e inefficienze a far si che ci vogliano sei mesi per sistemare una frana relativamente contenuta. Ma andiamo avanti.
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Tornando al pacchetto montagna–ambiente–territori. Una parte di fondi, un altro miliardo che coprirà l’arco di tempo dal 2018 al 2033, è destinato alla mitigazione del rischio idrogeologico.
Questi hanno il canale solito. Il rischio idrogeologico è in capo a regione e avranno il canale di passaggio a regione che a sua volta ha già degli elenchi di priorità segnalati dai territori, quindi dalle province. È una programmazione che va avanti e, se c’è copertura, prevede già degli interventi.
Il prossimo 4 marzo ci saranno le elezioni. Lei è stato eletto nelle fila del Partito Democratico. Come si pone il suo partito nei confronti del problema del rischio idrogeologico? È stato stilato un piano strutturato di investimenti sul territorio? In quel caso si sa già da dove reperire i fondi per attuarlo?
Guardi, se mi chiede nel dettaglio cos’è previsto nel programma elettorale lo posso immaginare ma non lo so, nel dettaglio. Alla fine ne parliamo da decenni. Si devono ripristinare le condizioni per fare un’opera preventiva perchè, se si interviene solo sulle emergenze, ogni volta andiamo in difficoltà e non risolviamo il problema. Sul rischio idrogeologico, dicevo, la partita importante è gestita dalla regione con fondi propri e fondi statali. Le programmazioni ci sono ma, finché non ci sarà una copertura adeguata per fare la prevenzione, con un paese fragile come il nostro ci troveremo sempre a rincorrere le emergenze.
Glielo chiedevo proprio per questo. Quello del rischio idrogeologico dovrebbe essere un tema centrale in campagna elettorale.
È un tema centrale, ma come vedete le campagne elettorali poi si banalizzano sul chi offre di più, sulla pensione a tutte le casalinghe, queste cose fantomatiche. È un mese e mezzo patetico quello che ci aspetta… quello del rischio idrogeologico è un problema che chi vive in montagna conosce molto bene. Va prevenuto con somme adeguate, se no si interviene di volta in volta…
La sensazione è che quel miliardo di euro stanziato in legge di bilancio in realtà sia solo “acqua fresca.”
Se lei ha voglia di fare il giro delle province le sanno dire tutti quant’è l’ammontare dei piani, anche solo degli interventi prioritari. Le dicono subito l’ammontare degli interventi urgenti previsti… quindi tira lei le conclusioni.
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E così abbiamo fatto. Nell’ultima legge di bilancio approvata dal Parlamento prima di Natale è stato inserito un pacchetto ad hoc — il “pacchetto montagna—ambiente—territori” — con il quale, citando l’on. Enrico Borghi, capogruppo Pd in commissione ambiente territorio e lavori pubblici a Montecitorio. “si affrontano e risolvono alcuni problemi strutturali che da anni si trascinavano in attesa di soluzione”. Avremmo voluto parlarne direttamente con l’on. Borghi chiedendogli anche, magari, come possa 1 miliardo di € dal 2018 al 2033 servire a mitigare il rischio idrogeologico nelle regioni del Centro—Nord e quale sia, più in generale, la posizione del Partito Democratico rispetto a questo tema. Purtroppo però, dopo una prima risposta tempestiva, non abbiamo più ricevuto alcun segnale.
Tocca quindi a noi tirare le fila del discorso. Come ci hanno ricordato il presidente dell’Unione del Lago Maggiore e il presidente della Provincia del Verbano Cusio Ossola, il problema del rischio idrogeologico italiano è un fatto acclarato. L’unica incognita è la prevenzione, che in valle Cannobina così come nel resto d’Italia, non è mai stata fatta. Dovrebbe essere all’ordine del giorno, entrare nel dibattito politico impegnando i candidati e invece nella maggior parte dei casi non appare nemmeno in un trafiletto dei programmi. Non ve n’era traccia nella Rivoluzione Green del PD, salvo un miserissimo “Fondo per finanziare investimenti negli anni 2017—2023 con 100 milioni di euro” destinato a “valorizzare il patrimonio dei Piccoli Comuni a rischio idrogeologico”. Non ne ha parlato nemmeno Silvio Berlusconi, impegnato le scorse ore a rilanciare sui social, un’altra volta, la grande Rivoluzione Liberale, un meme impastato di cerone e sorrisoni. — e siamo già a due rivoluzioni per l’Italia. Ne parla invece, va detto, il M5s nel suo “Programma per l’Italia scritto dagli italiani”, steso secondo la logica inquietante del programma a immagine e somiglianza dell’elettore del movimento. “L’ambiente in primo piano” è quello del riciclo, della sostenibilità, della lotta alla microplastica, dei “video degli esperti”, del “programma ambiente” corposissimo (180 pagine) e noioso — tipo Talmud — dove è vero, un capitolo è dedicato alla “messa in sicurezza del territorio (dissesto idrogeologico)” — pag. 107, vi risparmio la fatica — ma le premesse sono infinite, le promesse sono ambiziosissime e il programma si confonde con l’analisi scolastica elencando cifre, numeri, rapporti e proposte di legge (tipo questa). Tutto fuorché qualcosa di facilmente accessibile. Desumere cosa voglia e possa realmente fare il M5S i prossimi cinque anni qualora si trovasse a governare risulta estremamente complicato. Il rischio idrogeologico compare al punto 13 nel programma di Fratelli d’Italia ma non in quello della territorialissima Lega Nord. Così come non appare nemmeno sul sito di Liberi e Uguali, dove in questo caso non c’è neppure un programma elettorale per punti, consultabile. Il problema però rimane ed è una questione spinosa, senza colore politico, che richiederebbe da qualunque partito la produzione di piani strutturali e fondi importanti, altra cosa rispetto al miliardo di euro in quindici anni. Ma di questo, per il momento, nessuno ne vuole parlare.