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Dalla linea Zagabria–Sarajevo al leggendario treno di Tito: esplorare i Balcani seguendo le vecchie ferrovie della penisola è ancora il modo migliore per farlo.

Prendiamo la polveriera più amata dal giornalismo italiano e buttiamoci dentro atmosfere retrò, paesaggi suggestivi, odori importanti, borse di juta e Birkenstock da battaglia, hipsterismo latente, esotismo pret à porter. Abbiamo la ricetta perfetta per l’estate 2018: un viaggio in treno nei Balcani.

Oggi il viaggio in treno nei Balcani mette insieme critica e botteghino: perfetto per l’hipster che ama l’avventura un po’ wild ma comunque soft, ottimo per chi ha più follower su Instagram che soldi da spendere in vacanza, fantastico per chi soffre auto e pullman lungo le strade balcaniche, ideale per chi ama viaggiare tanto per viaggiare.

Le ferrovie dei Balcani furono disegnate per collegare i centri principali di un territorio morfologicamente arzigogolato e montuoso, attraversato da innumerevoli fiumi, laghi, colline e frontiere. Le prime infrastrutture su rotaia furono costruite sotto gli imperi austroungarico e ottomano, i quali posero le basi per una rete di linee che – nel corso del tempo – ospitarono convogli di prestigio come il celeberrimo Orient Express.

Durante il Novecento la rete ferroviaria si sviluppò, i rotabili a vapore di costruzione austroungarica furono sostituiti da nuovo materiale proveniente dalle officine italiane e francesi, romene e russe, in Jugoslavia Tito scoprì il treno e lo usò come salotto per i suoi incontri internazionali.

Venne poi il tempo delle guerre e dei nazionalismi a complicare la faccenda: negli anni Novanta le infrastrutture vennero duramente colpite sia dalle guerre che dalle crisi economiche e politiche. A ciò si aggiunse una serie di nuovi ostacoli più o meno fisici da valicare: lunghe attese alle dogane, interminabili controlli di polizia e cambi di locomotive.

Oggi sui binari di questa grande e colorata penisola si può esperire il famoso “viaggio lento” di cui tutti parlano, ed è veramente lento: su convogli antichi, scricchiolanti ma confortevoli, protagonisti di una ferrovia in cui la componente umana è ancora fondamentale. Libri e cuffiette rimangono nello zaino; asettici viaggi ad alta velocità, manco a parlarne.

Oggi sui binari di questa grande penisola si può esperire il famoso “viaggio lento” di cui tutti parlano, ed è veramente lento

Chiacchierate a gesti, molto probabili, d’obbligo piantarsi al finestrino e fissare ciò che scorre dietro. I treni dei Balcani raccontano in realtà più storie di quelle che possiamo immaginare. Ecco alcuni scorci ferroviari raccolti qua e là per la Penisola.

La preparazione del treno Sarajevo – Zagabria nella stazione della capitale bosniaca.
La preparazione del treno Sarajevo – Zagabria nella stazione della capitale bosniaca.

Zagabria – Sarajevo, il treno dei confini intra moenia 

Era l’unico superstite tra i collegamenti ferroviari internazionali in Bosnia, fino al dicembre 2016. Lo Zagabria – Sarajevo, 8 ore di viaggio per circa 400 chilometri, ha una particolare storia politica. Il convoglio era composto da tre carrozze, ognuna appartenente alle amministrazioni ferroviarie delle tre entità statali attraversate dal treno: Croazia, Federazione bosniaca e Repubblica Srpska di Bosnia. Questo treno cambiava tre locomotive nel corso del tragitto: alla frontiera croato-bosniaca, così come al confine “invisibile” tra Repubblica Srpska e Federacija di Doboj. Nessuna motivazione tecnica, meccanica o di alimentazione: le tre locomotive, identiche, battevano semplicemente tre bandiere diverse, cambiando solo nella livrea. Un simbolo di tipo politico che ben rappresenta la frammentazione bosniaca dopo la guerra che ne ha generato le frontiere: a ogni passeggero la carrozza in cui si riconosce, a ogni paese la locomotiva con i propri fieri colori.

Sui marciapiedi della stazione di Rrogozhine, la capostazione allestisce una bancarella per arrotondare uno stipendio non certo milionario.
Sui marciapiedi della stazione di Rrogozhine, la capostazione allestisce una bancarella per arrotondare uno stipendio non certo milionario.

Hekurudha Shqiptarë, l’Albania in treno

Locomotive ceche e carrozze tedesche o italiane ripescate dalla demolizione e rimesse in servizio regolare. Non ci sono luci, non ci sono neanche i fari sulle locomotive… Ci si arma di santa pazienza e via, a 30 all’ora su rotaie nascoste dalla vegetazione. Il treno da Durazzo a Librazhd un tempo arrivava fin sulle rive del lago di Ohrid, verso la Macedonia, oggi invece il servizio è sospeso perché mancano anche i soldi per pagare il carburante delle locomotive. I treni in Albania non vanno tanto per il sottile, cambia la percezione dello spazio percorso: 3 ore e 40 per fare 110 km.

Impossibile non fare conoscenza con qualche altro passeggero. Ogni passaggio a livello è presenziato da un casellante che regola il traffico, in stazione a Rrogozhine la bigliettaia è anche proprietaria di un banchetto di cianfrusaglie, ad Elbasan il treno corre tra i palazzi e le bancarelle regalando scorci di Thailandia o Perù, mentre verso Mirakë i binari serpeggiano tra le rocce rosse e il fiume Shkumbin. È l’essenza della vecchia ferrovia, una ferrovia che altrove sarebbe a tutti gli effetti attrazione turistica, ma che per fortuna in queste valli è semplicemente a servizio dei cittadini.

 Un momento di pausa tra un treno e l’altro per i ferrovieri di Veles, città della Macedonia centrale.
Un momento di pausa tra un treno e l’altro per i ferrovieri di Veles, città della Macedonia centrale.

La linea Fiume – Zagabria

La stazione di Fiume rappresentò per anni la frontiera ferroviaria tra Italia e Jugoslavia. Dal porto croato venne costruita la ferrovia per Zagabria, ma quando Istria e Dalmazia tornarono ad essere terra jugoslava dopo la Seconda Guerra Mondiale, si sviluppò una curiosa situazione: un tratto di linea rimase alimentato con il sistema italiano, diverso da quello jugoslavo. Questa condizione rimase immutata per più di 50 anni fino al 2012, quando tutta l’infrastruttura è stata riconvertita al sistema croato. Fino a quell’anno hanno continuato a prestare servizio treni italiani costruiti dall’Ansaldo di Genova e donati alla Croazia.

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Questa linea è un luogo speciale: il paesaggio muta da scenari carsici a boschi di conifere alpini nella semplice distanza di un tunnel, i binari sono battuti da venti talmente forti che fu richiesta la costruzione di muraglioni anti bora a bordo linea. Stazioni d’incrocio sono costruite su costoni di roccia irraggiungibili o nel cuore dei boschi. I binari vedono più capre e orsi che persone, e di tanto in tanto si scorgono i bunker che un tempo fungevano da punti di controllo per la frontiera ferroviaria.

Alla stazione di Meja, sulle montagne alle spalle di Fiume, ci sono più capre che umani.
Alla stazione di Meja, sulle montagne alle spalle di Fiume, ci sono più capre che umani.

La ferrovia dei Monti Rodopi

Poco più di 120 km tra i boschi e le montagne della Bulgaria da percorrere su un piccolo treno a scartamento ridotto. Tempo di percorrenza: 5 ore. È la ferrovia dei Monti Rodòpi, un’antica infrastruttura che attraversa la Bulgaria sud-occidentale tra vallate e piccoli villaggi dove i minareti svettano sui fianchi delle montagne, insieme ad abeti secolari. È la terra dei pomacchi, bulgari musulmani convertiti durante il dominio ottomano, mescolatisi con gli emigrati provenienti dalla Turchia, islamici di religione e bulgari di passaporto.

La ferrovia parte dal grande altopiano di Bansko, località di turismo sciistico che raccoglie visitatori da tutti i Balcani sudorientali nei suoi grandi hotel e nelle baite in perfetto stile alpino. Una volta però che ci si è lasciati alle spalle i resort e le seggiovie, il paesaggio antropico muta radicalmente e il treno si inerpica su costoni rocciosi dove carretti si alternano a carretti, cavalli a cavalli. Lontano da autostrade, la valle è viva, i passeggeri salgono e scendono in fermate isolate nel cuore del bosco, lontane da tutto e da tutti. Si arriva fino a 1.200 metri d’altezza, poi è la discesa verso Septemviri, a due passi da Plovdiv.

Sosta alla stazione di Banja per questo regionale diretto a Dobrinishte. Siamo ormai a pochi chilometri dal capolinea.
Sosta alla stazione di Banja per questo regionale diretto a Dobrinishte. Siamo ormai a pochi chilometri dal capolinea.

Ploče, un’exclave sui binari

Ploče, porto croato tra Spalato e Dubrovnik, è il punto di partenza della linea ferroviaria che, attraversando la spettacolare valle della Neretva, giunge a Sarajevo. Questa località è a tutti gli effetti un’exclave ferroviaria, totalmente isolata dal resto del paese. Dal porto, il treno corre in territorio croato per circa 20 chilometri, per poi entrare interamente in Bosnia fino a Sarajevo. Le ferrovie croate mantengono così un improbabile servizio a spola con treni passeggeri formati da una sola carrozza, mentre i treni merci sono costretti a cambiare locomotiva a soli 20 chilometri dal punto di partenza.

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Un tempo era presente un treno internazionale da Zagabria via Sarajevo che impiegava 13 ore per fare circa 500 km, mantenuto simbolicamente in vita per non isolare la località dal resto del paese. Dal confine di Metkovic la linea prosegue in territorio bosniaco toccando Mostar e Jablanica, attraverso una vallata selvaggia e scarsamente antropizzata: il viaggio si svolge su carrozze di seconda mano, fuori dalle quali scorre il suggestivo paesaggio scavato dalle acque della Neretva.

I binari inerbiti della linea Lovrin – Timisoara, nell’ovest del paese.
I binari inerbiti della linea Lovrin – Timisoara, nell’ovest del paese.

“Krajina Express”

Nella Bosnia orientale, al confine con la Croazia, una linea corre in mezzo a due parchi nazionali affacciandosi sulle spettacolari gole del fiume Una. È la ferrovia Bihac – Knin, costruita durante il periodo jugoslavo e dismessa dopo la guerra. I binari correvano esattamente a ridosso del confine, che viene attraversato ben 7 volte nel raggio di pochi km. Durante la guerra la ferrovia venne minata, fece da linea del fronte e ospitò il Krajina Express, un treno corazzato dall’Armata dei Serbi di Krajina. A fine conflitto la linea venne restaurata e riaperta, ma il traffico regolare – anche locale – non fu mai ripristinato per le difficoltà a gestire le operazioni di frontiera.

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Il Treno di Tito

A Kraljevo, Serbia centrale, c’è una modesta linea diesel utilizzata tre volte a settimana per la locale centrale a carbone. La strana locomotiva che traina questo treno merci è l’ultima superstite di una serie di 4 locomotive dal passato ben più glorioso. Si tratta delle “666” fatte costruire in Germania negli anni settanta per trainare il prestigioso Treno di Tito, mezzo di trasporto di lusso su cui il fondatore della Jugoslavia socialista si mosse per anni macinando più di 600.000 chilometri e incontrando leader come Arafat, la Regina Elisabetta, Mitterand e Nehru. Oggi il treno di Tito esiste ancora ed è a Belgrado, utilizzato ogni tanto come crociera verso il Montenegro per turisti facoltosi. Al contrario, delle 4 locomotive, solo una ha scampato la demolizione ed è stata relegata a questo servizio “di terza classe” a causa della scarsità del parco rotabili serbo.

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Dal 10 al 24 gennaio 2018, al centro espositivo SpazioRAW di Milano, è possibile vedere qualche altro scorcio delle ferrovie balcaniche e dell’Est Europa. “Pozor Vlak,” letteralmente “attenti al treno,” è un viaggio per immagini sui binari dell’Est, una mostra fotografica che vuole mostrare la ferrovia degli uomini e del gasolio, dei cuccettisti e dei casellanti. Sul sito di SpazioRAW sono consultabili gli orari di apertura.


Tutte le fotografie dell’autore. In copertina: il treno Durazzo – Librazhd rallenta a pochi metri dalla stazione di Rrogozhine, nell’Albania centrale.

Per vedere altre fotografie, visita il sito di Marco Carlone o segui la sua pagina Facebook.

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