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in copertina un esempio di calligrafia mongola, uno dei patrimoni immateriali dell’umanità Unesco (foto Anand Orkhon)

Non c’è solo la ricetta della pizza napoletana tra le ricchezze effimere del mondo

Nel 2001 l’Unesco ha stilato la prima lista dei Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. Sono in generale tradizioni, che da millenni vengono condivise tra alcune specifiche popolazioni in giro per il mondo, si passa da tecniche di coltivazione a canti popolari, da danze a ricette ma anche luoghi fisici importanti perché centro di creazione di rapporti (chiamate “piazze culturali”).
La globalizzazione rende i confini più labili e permette lo spostamento di merci, persone e capitali. Queste frontiere permettono anche la circolazione di tradizioni e culture che da un lato ci rendono più ricchi ma dall’altro convergono verso la creazione secondo alcuni di una cultura mondiale che possiamo definire come “transculturale”. Non “multiculturale”, ovvero dove più culture vivono insieme senza fondersi in una sola, ma “trans” inteso come al di là, prefisso che porta dentro di sé il senso di attraversamento di una frontiera unendo molteplici aspetti provenienti ognuno da una cultura diversa e formando una sola cultura per un solo popolo. Bisogna ricordare che nessuna cultura può dirsi totalmente pura, tranne quelle che sono rimaste isolate dagli altri perché fisicamente distaccate, semplicemente, nel mondo contemporaneo, questa mescolanza è arrivata ad un livello tale da preoccuparci.

Stiamo assistendo alla scomparsa di quei patrimoni specifici di una comunità o di una regione, di cui solo poche persone conoscono le regole, oppure li stiamo facendo circolare esattamente per non dimenticarli? Ed è giusto sradicare una tradizione dal suo luogo d’origine per esportarla all’estero, col rischio di dimenticare i suoi tratti fondativi sociali, religiosi e politici?

Penso alla famosa festa dei colori, la Holi Fest, una celebrazione religiosa indù legata all’arrivo della primavera e festeggiata in India e in Nepal esclusivamente nel giorno del Purnima, secondo il calendario induista Vikram Samvat. Ad oggi, in molti altri paesi, durante festival musicali così come alla fine di maratone ci si lanciano polveri colorate e la si chiama Holi Fest, sradicando così una tradizione religiosa e spogliandola del suo contesto per renderla una festa laica e votata al divertimento. Per sottolineare ancora di più la distanza che si può trovare tra origine e conseguente sviluppo di una tradizione basta guardare le due pagine Wikipedia della definizione di Holi: quella italiana la descrive come “un festival che si tiene in primavera dedicato al divertimento puro, durante il quale è usanza sporcarsi il più possibile con polveri colorate per omaggiare un rito di origine Indiano”, mentre quella inglese la indica come “Holi (होली Holī) is a Hindu spring festival celebrated in India and Nepal, also known as the “festival of colours” or the “festival of love.” Due lingue, due culture, due modi di definire lo stesso evento.

Quello che fa l’Unesco ormai da 16 anni è cercare di riconoscere e attirare l’attenzione sulla salvaguardia dei patrimoni intangibili come un’eredità che abbiamo ricevuto ma che, per motivi diversi, stiamo sperperando. L’organizzazione ha identificato questi componenti come essenziali per la diversità culturale e la creatività espressiva. Vi presentiamo una piccola lista di alcuni di essi che sono per noi importanti secondo criteri di importanza sociale, lotta politica o semplicemente di bellezza.

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Gli spazi culturali

Possono essere specifici luoghi all’interno di una città (ad esempio la piazza Jemaa el-Fna a Marrakesh), oppure vere e proprie regioni o distretti, come quello di Boysun in Uzbekistan, crocevia di culture e religioni ed una delle più antiche aree abitate del mondo, o anche quello dei Semeiskie nella regione del Transbaikal (Russia). Viene qui riconosciuta l’importanza dei legami sociali come fondativi del benessere della società, in quanto come esseri umani siamo prima di tutto esseri sociali che si riconoscono tali grazie agli altri.

(Luc Viatour)
(Luc Viatour)

I balli

La samba di roda, ovviamente, ma non solo. Troviamo anche il Royal Ballet di Cambogia, noto anche come danza classica khmer, noto per le coreografie e i magnifici costumi e ornamenti. Servono anni di pratica per padroneggiare i gesti delle quattro figure principali: Neang la donna, Neayrong l’uomo, Yeak il gigante e Sva la scimmia. La pratica venne interrotta bruscamente sotto il dominio dei khmer rossi, i quali eliminarono fisicamente il 90 % degli artisti. Nel 1979, dopo la morte di Pol Pot, la pratica ha ripreso a vivere ed è stata inserita nella lista nel 2008.

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(Thomy Keats)

I carnevali

Anche il Carnevale di Barranquilla è stato inserito nel 2008. I suoi simboli sono molteplici e coloratissimi: magnifiche maschere in legno intagliate e decorate a mano vengono riprese anche dagli artisti contemporanei e modernizzate, ad esempio aggiungendoci dei colori fluo e rendendole più leggere (vedi alla voce Ghetto Kumbé, trio colombiano di cumbia elettronica). Da segnalare anche il Carnevale di Oruro in Colombia, di una bellezza sconvolgente, dove una citta di 200mila abitanti ne accoglie il doppio in turisti oltre a 35mila musicisti da tutta la Colombia. Tutto questo a 3700 metri sopra il livello del mare.

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Ma non solo:

I disegni sulla sabbia del popolo di Vanuatu

La nazione di Vanuatu è formata da 80 isole a nord-est dell’Australia, la sua lingua ufficiale è il bislama e il suo prodotto principale è la copra (la polpa essiccata del cocco). Nel tempo libero, i vanuatiani sono specializzati nel comporre deliziosi disegni geometrici sulla sabbia vulcanica con molteplici significati: semplice pratica artistica, dispositivo per la trasmissione di rituali e tradizioni ancestrali, cosmologiche, tecniche di agricoltura ma anche supporto illustrativo per storie orali.

 

(Vanuatu Cultural Centre)
(Vanuatu Cultural Centre)

Il linguaggio dei fischi (Isola Gomera, Spagna)

Il dialetto silbo gomero veniva usato dai pastori per comunicare sulle lunghe distanze sulla piccola isola Gomera, nell’arcipelago delle Canarie. Formata da profonde vallate che rendono difficili gli spostamenti, il linguaggio risolveva questo problema attraverso due vocali e quattro consonanti che possono esprimere fino a 4.000 concetti diversi. Creato dai Guanci, l’antico popolo abitante le isole, ad oggi riescono a parlarlo solo i nati prima del 1950 e quelli nati dopo il 1999.  

Pratica agricola tradizionale di coltivare la ‘vite ad alberello’ della comunità di Pantelleria (Italia)

Nient’altro che lo zibibbo, famosa bevanda che dà il nome al vino ma anche al vitigno, il cui nome deriva dal termine zabīb (زبيب) che in arabo significa “uvetta”. Sull’isola viene rispettato l’antico metodo di coltivazione “ad alberello” e i grappoli vengono raccolti dopo una sovramaturazione e poi messi ad asciugare su graticce di legno.

La Hikaye (Palestina)

La Palestina è in questa lista in quanto, dal 2011, è membro a pieno titolo dell’Unesco (inserimento che ha provocato l’uscita degli USA per “pregiudizi anti-Israele”). La Hikaye è una pratica narrativa tutta femminile, nel quale le donne raccontano storie inventate che riguardano la famiglia e la società. Quasi ogni donna palestinese over 70 è una Hikaye teller : C’erano una volta un ragazzo e una ragazza che vivevano insieme…

Ricordarsi di questi patrimoni immateriali ci aiuta anche a ricordare che quelli materiali non se la passano benissimo. Nel 2015 l’Unesco ha diffuso una lista, che esiste però dal 2013, dei 46 patrimoni materiali dell’umanità in pericolo a causa di guerre, mancanza di politiche adeguate o industrializzazione. Il conflitto siriano sta distruggendo dal 2013 la città di Palmira, sito archeologico con una storia che parte nel II millennio a.C., così come le città antiche di Bosra, Aleppo e Damasco. Nel Centrafrica, sette tra riserve e parchi naturali sono a rischio e sono state inserite nella lista già alla fine degli anni 1990, pochi anni dopo essere state aggiunte a quella dei patrimoni dell’umanità. In Europa rischiano di scomparire la città mercantile di Liverpool, minacciata da un nuovo progetto urbanistico, ma anche, a causa della costruzione prevista di nuovi grattacieli che disturberebbero lo skyline, il centro storico di Vienna.