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La risposta è si.

Ne abbiamo parlato con Luca Nistler — in arte Berg — che ha realizzato un disco dalle mille sfaccettature intitolato Solastalgia al cui centro si trovano i significati delle parole e i mille suoni nascosti nelle pieghe della propria voce. Venerdì sera Berg aprirà la seconda serata di WOW – roba fresca a Milano.

“Solastalgia” è stato realizzato utilizzando solamente voce, loop station e delay. A cosa è dovuta l’esigenza di mettere al centro della propria musica la voce?

Potrei dire tante cose, ma alla fine la verità è che è nata come una sfida. Volevo provare a fare una cosa un pochino più nuda del solito, senza strumenti o elettronica. Sentivo di avere abbastanza voci dissonanti in me da poter generare un piccolo caos quasi ordinato.

Berg, tradotto dal tedesco significa “montagna.” Con il termine “Solastalgia,” invece, si intende una forma di angoscia esistenziale causata sostanzialmente dai cambiamenti nell’ambiente circostante. Qual è il collegamento tra il neologismo coniato dal filosofo Glenn Albrecht e la tua musica?

Forse non c’è. Forse sì. Sicuramente a livello di contenuti il riscaldamento globale è ed è stato sentito come una grande preoccupazione. E fai conto che questo EP l’ho finito molto prima dell’elezione di Trump. Già sotto la presidenza di Obama avevo letto la notizia che la compagnia petrolifera Shell aveva preso la decisione di provare ad andare nell’Artico per creare piattaforme di trivellazione.  Come dice uno dei pezzi cardine dell’EP, Ice: “And the whitest men saw without eyes the only paradise was made of melting ice”.

Mi sembra di capire che, all’interno delle canzoni, il messaggio occupi una posizione centrale. Le parole non vengono dopo la musica ma sono la musica. È così? Cosa vorresti trasmettere con i tuoi pezzi?

Berg, come hai già detto, significa montagna, che è una forma primordiale di confine formatasi attraverso la frizione tra terre adiacenti. E anche l’EP “Solastalgia” racconta il confine attraverso vari punti di vista: il confine politico-geografico, attraverso una storia di due migranti innamorate in fuga da paesi disastrati (Run), il confine sconfinato della bellezza (Vivien), la difficoltà nel delineare in quale luogo, reale o immaginario, sia possibile sentirsi in pace col circostante (Dreams), l’invito ad oltrepassare i confini imposti dallo stereotipo della  propria identità di genere (Wrong), per poi approdare alla proiezione di uno scenario ambientale-“religioso” (Ice).

 

In Run il messaggio è amplificato dal video che termina con una battuta di Noam Chomsky, uno dei grandi pensatori del XX secolo, il quale ritiene che gli Stati Uniti non siano una democrazia ma al contrario un paese ostile, terrorista. Come mai hai scelto di inserire proprio questo passaggio al termine del video?

Il video di Run è stato fatto da Francesco Roma ed è stato ideato da Elena Petitti di Roreto. Molte delle immagini che volevano rappresentare i mondi dai quali i migranti scappano sono state prese in larga misura da paesi musulmani in guerra. E alla fine il video mi dava un pochino l’idea che tutte quelle immagini fossero l’ennesimo, seppur indiretto, “richiamo” a quel tipo di stereotipo del mondo islamico, che spesso viene fatto coincidere con la parola “terrorismo.” Con quella chiusa di Noam Chomsky volevo rimettere la palla al centro. Evitando così di appoggiarmi all’idea che quello da cui scappano i migranti non abbia nulla a che fare con me, con l’America o l’Occidente in genere.  

In generale, nel tuo caso, come si conciliano forma e contenuto? La sensazione è che siano complementari. Il messaggio, se c’è, è importante ma deve essere trasmesso, veicolato, in un certo modo.

La mia musica è fatta solo con la voce, ovvero con la bocca. La bocca è un confine del corpo. Così come la montagna — Berg — è un confine delle nostre terre.

È molto bello anche l’artwork dell’album fisico, chi l’ha realizzato? Rappresenta qualcosa in particolare?

Anche io sono rimasto molto colpito da questa idea, quindi ti ringrazio per il complimento. L’artwork è stato ideato, disegnato e bozzato dal talentuosissimo grafico Alberto Martorana. Il concetto che sta alla base dell’artwork è ancora una volta il riferimento all’iceberg. Un’alba dietro un iceberg.

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Questo venerdì invece aprirai la serata di WOW – roba fresca a Milano. È la prima volta che suoni al Magnolia?

In realtà no e devo dire che il Magnolia è un posto magico per me. A luglio di quest’anno ho avuto l’opportunità di aprire il concerto a Tash Sultana. È stata una serata straordinaria, il pubblico aveva un’energia incredibile e forse è stato uno dei concerti più emozionanti della mia vita.

Oltre ai brani di Solastalgia sentiremo dei pezzi nuovi?

Dopo un piccolo tour in Italia e nelle maggiori città europee, la serata WOW – roba fresca a Milano è la mia ultima data prima di tornare in studio di registrazione a dicembre. Quindi sì, assolutamente, sentirete anche dei nuovi pezzi. E sinceramente non vedo l’ora!

A tutti i gruppi che si sono esibiti fino a qui sul palco del Magnolia durante la serata di WOW – roba fresca a Milano abbiamo chiesto di condividere con noi un momento WOW vissuto lì. Ti va di raccontarci il tuo?

Certo! Anzi ne ho due: uno è stato il 28 ottobre scorso quando sono venuto a vedere i miei compagni di etichetta (Sangue Disken), i Plateaux, che hanno fatto una bellissima performance. Nella primavera di quest’anno invece sono venuto a vedere Motta, sempre alla serata WOW, prima del suo vero e proprio boom. Insomma, serata di grandi scommesse.

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