A Palermo vengono intercettati i giornalisti per coprire gli errori giudiziari del caso Mered

“Giovedì vado all’Ucciardone e mi dicono: abbiamo nuove intercettazioni. Vado a leggere e trovo il mio nome.”

A Palermo vengono intercettati i giornalisti per coprire gli errori giudiziari del caso Mered

“Giovedì vado all’Ucciardone e mi dicono: abbiamo nuove intercettazioni. Vado a leggere e trovo il mio nome.”

A Palermo, un ragazzo Eritreo è in carcere da un anno e mezzo con l’accusa di essere Medhanie Tesfamariam Berhe, il presunto più crudele trafficante di uomini del Mediterraneo. In realtà si chiama Medhanie Yehdego Mered ed è vittima di un assurdo scambio di persona, oltre che di un grave abuso giudiziario.

La vicenda non è stata seguita con sufficiente attenzione dalla stampa italiana ma è diventata all’estero una degli esempi della cattiva gestione della crisi dei migranti da parte dell’Italia. Se n’è occupato anche il New Yorker, che le ha dedicato un pezzo molto esaustivo intitolato — non a caso — “Come non risolvere la crisi dei migranti.” Il Guardian sta coprendo la vicenda fin dall’inizio con la collaborazione di Lorenzo Tondo, un giornalista palermitano che ha lavorato anche per il New York Times.

Giovedì Lorenzo Tondo ha scoperto di essere sotto intercettazione da parte della Procura di Palermo che lavora al caso, nonostante in teoria sia protetto dal segreto professionale. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per aiutarci a ricostruire il caso — e per raccontarci la prevaricazione istituzionale di cui è vittima.

“Mi occupo di questa cosa da un anno e mezzo, da quando c’è stato lo scambio di persona,” ci racconta, “doveva essere l’arresto del peggior trafficante di uomini, ma già appena l’abbiamo visto all’aeroporto ci siamo resi conto che con Mered non c’entrava un cazzo.”

Com’è successo lo scambio? “In pratica, nell’estate del 2015 Mered era sotto osservazione quando all’improvviso sparisce nel nulla: profili Facebook, WhatsApp, tutto diventa silenzioso.”

Gli inquirenti, allora, si attivano e vanno a sbirciare il profilo Facebook della moglie, molto popolare nella comunità eritrea in Europa. Non c’è niente di strano: ogni giorno arrivano al proprio profilo numerosi suggerimenti di amicizia, di persone che magari hanno conoscenze in comune con noi o frequentano i nostri stessi luoghi.

“A questo ragazzo, Berhe, arriva il suggerimento di amicizia per lei e molto semplicemente ci clicca sopra e gliela chiede. La procura nota questa nuova amicizia. Inoltre si chiamano entrambi Medani: la procura inizia a sospettare che in realtà Berhe sia Mered sotto mentite spoglie e che abbia aggiunto su Facebook la propria moglie.” La procura stabilisce di metterlo sotto intercettazione.

“Ora, se tu metti sotto intercettazione un eritreo che lavora a Karthoum e vuole arrivare in Europa, questo prima o poi chiamerà un trafficante. Cosa che accade.” Questo basta alla procura per avere la certezza che si tratti di Mered, “nonostante in quella telefonata Berhe stesse chiamando questo trafficante per conto di un amico e non avessero nemmeno parlato di soldi.” Lo arrestano a Karthoum e tre giorni dopo è in carcere a Palermo, da dove da allora non si è mosso.

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Si scopre poi che mentre la procura di Palermo dava la caccia a Mered, questo — il vero trafficante! — era in carcere a Dubai per una questione di passaporti falsi. Ecco spiegato il suo silenzio totale sui social media. “È tornato in libertà ad agosto 2016,” ci conferma Tondo. Berhe, invece, è ancora in carcere, e non sembra che potrà tornare in libertà a breve. Finora il processo ha cambiato 4 volte giudice, e secondo la legge italiana, ogni volta che il giudice cambia, il processo va rifatto da capo.

In questo lasso di tempo, però, si sono susseguiti una serie di smentite e di appelli per dimostrare la verità. “Ad esempio ci hanno tempestato di chiamate le vittime del vero Mered,” ci confida Tondo. “Da lì abbiamo iniziato a portare prove come documenti e testimonianze. Le ultime sono stati i test del DNA: è venuta la madre di Mered dall’Eritrea con un permesso speciale ed è emerso che non è suo figlio”.

A questo punto si potrebbe pensare che Berhe debba uscire dal carcere a breve. Ma non è così. “Non è scagionato. Per tentare di non perdere la faccia (la procura) ha detto che non avrebbe confermato la foto (che avevano fatto circolare), perché potrebbe avere alias che lo coprono. È davvero fantascienza.” Secondo la versione ufficiale tutti i soggetti che in questi mesi hanno provato a smentire questa ricostruzione dei fatti sarebbero tutti in combutta con il trafficante, che li avrebbe avvertiti della cosa e li avrebbe istruiti su cosa dire. “Ci sono ancora 85 persone che vogliono dire la loro per smentire questa versione e non è ancora stato sentito nessuno.”

“Questo è stato l’unico arresto dell’operazione Sofia in territorio africano. Il procuratore ce l’ha con me in particolare per aver pubblicato una foto del passaporto di Berhe. Qualche tempo fa venne una collega a Palermo a collaborare con me, e andò a intervistarlo. Lui le disse — Se leggo la firma di Tondo nel però tu con me hai chiuso.”

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“Giovedì vado all’Ucciardone e mi dicono: abbiamo nuove intercettazioni. Vado a leggere e trovo il mio nome.” Il procuratore si è giustificato dicendo che Tondo era in contatto con un amico del ragazzo in carcere: dunque, per come la vedeva la procura, era a tutti gli effetti in contatto con un amico del trafficante. “Questo tizio, tra l’altro, oltre a essere un vicino di Berhe in Eritrea era l’interprete del tribunale per quanto riguardava la comunità eritrea a Palermo.”

“È una cosa molto grave, soprattutto perché tutte le cose intercettate non hanno rilevanza investigativa,” sostiene Tondo. In Italia, e nella maggior parte dei paesi del mondo, le conversazioni dei giornalisti con le proprie fonti sono protette dal segreto professionale, con pochissime eccezioni.

Il fatto che delle conversazioni — oltretutto prive di rilevanza nella risoluzione del caso — vengano intercettate e messe nero su bianco costituisce un abuso istituzionale.

“È stata fatta, tra le altre cose, la comparazione delle voci. Solo che non era possibile farlo con il tigrino, e dunque la si è fatta con l’egiziano. Probabilmente se facessimo la comparazione delle voci verrebbero tra me e te risulterebbero uguali al 70%, e non sarebbe sufficiente per incastrarci. Le loro voci invece sono diverse al 96%. Il consulente tecnico ha disertato tutte le udienze.”

Intanto, Tondo sta lavorando a un documentario sulla vicenda, che dovrebbe uscire a giugno. Speriamo che per quella data Medhanye Berhe sia tornato un uomo libero.