“Giocare non è solo divertente. È anche un’esperienza emotiva, e soprattutto formativa,” lo dice Florent Maurin, il game designer autore di Bury Me, My Love.
Bury Me, My Love è un’avventura testuale per iOS e Android ispirata, nelle parole di Maurin, “da WhatsApp e Lifeline.” Lifeline è una serie di videogiochi in cui attraverso un’interfaccia testuale si chatta con un personaggio, guidandolo attraverso un’avventura narrata esclusivamente sotto forma dialogica.
Ma i giochi della serie Lifeline raccontano storie di fantascienza piuttosto convenzionali: astronauti sopravvissuti dopo essersi schiantati su pianeti alieni, o nell’orbita di un buco nero. Bury Me, My Love è molto piú ambizioso: racconta l’odissea di una donna che dalla Siria decide di scappare in Europa per salvarsi la vita.
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Il gioco segue il viaggio della sua protagonista, Nour, attraverso i messaggi che invia al marito, Majd, che per assistere la madre malata non può seguire la moglie lungo il suo viaggio. Il gioco ruota attorno a variabili temporali ed economiche — quanto costa spostarsi, se ci si trova al posto giusto al momento giusto — di percorribilità delle vie, e di condizioni della protagonista.
Il giocatore non controlla Nour: ci parla, può consigliarla, ma non ha nessun controllo sugli eventi circostanti, e soprattutto deve convincerla a prendere determinate scelte.
Bury Me, My Love è un’espressione caratteristica araba che indica profondo affetto, che figurativamente significa “Non provare a morire prima di me.” Se il proprio uso tradizionale è quello di un caro saluto, oggi inevitabilmente è investito di un significato molto piú drammatico.
Ne abbiamo parlato con Florent Maurin, designer e coautore di Bury Me, My Love.
Il gioco è ispirato da un progetto di giornalismo creativo di Lucie Soullier, “Il viaggio di una migrante siriana, raccontato attraverso i suoi messaggi su WhatsApp”. Ma raramente il mondo del giornalismo e quello videoludico si incontrano. Quali sono le origini di Bury Me, My Love?
Quando ho letto l’articolo di Lucie ho subito pensato a quanto mi sarebbe piaciuto adattarlo in un gioco. Era un modo di raccontare la storia con cui era facile capirla: usiamo tutti WhatsApp — ma non per ragioni di vita o di morte. Così ho contattato Lucie e lei mi ha aiutato a contattare Dana. Dana è stata felicissima di collaborare e trasformare la sua storia in un gioco.
(Ndr: Dana è la giovane siriana protagonista della ricostruzione di Soullier. “Bury Me, My Love.” è l’ultima frase che le ha detto la madre, prima che si avventurasse per raggiungere la Germania.)
Obiettivo fondamentale era fare in modo che il gioco fosse quanto piú realistico possibile. Lucie e Dana hanno letto e ampiamente contribuito al testo di tutto il gioco.
Quando abbiamo iniziato lo sviluppo del gioco ci siamo direttamente ispirati a Lifeline — si tratta di un gioco dal design molto interessante. Purtroppo l’argomento non è dei piú ispirati. Ho 37 anni, e sinceramente sono un poco stufo della fantascienza nei videogiochi — la fantascienza è ovunque. Voglio creare giochi che raccontano com’è essere soli, com’è avere paura.
Non solo direttamente ispirato a fatti realmente avvenuti, ma Bury Me, My Love ha anche un nucleo emotivo molto piú forte di un gioco di fantascienza. Un elemento fondamentale è il legame emotivo tra Nour e Majd, che definite in maniera molto forte da subito e su cui poi costruite ampiamente nel corso della storia.
Abbiamo deciso molto presto che il gioco dovesse essere una love story: volevamo che fosse delicato, una storia di persone vere.
Un altro elemento che aggiunge grande impatto — e realismo — è la presenza di frequenti immagini, sotto forma di “foto illustrate” che Nour manda a Majd.
In certi momenti le parole non bastano. C’erano snodi della trama in cui se fossimo stati nel mondo reale chiunque avrebbe mandato una foto, non avrebbe spiegato a parole. Così abbiamo deciso di far scattare foto a Noor. Lo stile delle illustrazioni era molto importante. Non potevano essere foto, perché dovevamo comunicare che non fosse una storia vera — ma piuttosto, realistica. L’obiettivo era trovare la giusta distanza tra disegno e fotografia.
Lo sviluppatore con cui ho collaborato lavorava già con un animatore e illustratore Matthieu Godet — che normalmente fa pixel art, ma con cui ci siamo trovati perfettamente in sintonia fin dal primo momento. È stato lui a offrirsi per primo a fare i disegni, e temevo il suo stile non si sarebbe adattato, invece appena mi ha mandato le prime tre tavole è stato chiaro che quello era esattamente lo stile che volevo.
Quanto è durato lo sviluppo?
Lo sviluppo è durato circa 18 mesi. I primi sei li abbiamo passati a leggere articoli, guardare servizi, raccogliere informazioni e storie come quella di Dana. Volevamo raccontare la grande vicenda dei migranti siriani, non necessariamente quella di Dana. Era fondamentale che attraverso le proprie decisioni il giocatore vivesse quello che sarebbe successo a lui.
Per questo abbiamo lavorato a una storia con tantissime ramificazioni, sia nella trama che nel percorso. Il gioco ha 19 finali diversi: ma non perché ci preoccupassimo in particolare della possibilità di “rigiocare”, ma per garantire che ogni persona avesse la propria storia — per rendere quella di Noor non la storia di un solo personaggio ma una vicenda metaforica, corale.
Durante la ricerca, e insieme a Lucie e Dana abbiamo raccolto tantissimi aneddoti, per raccontare una storia quanto piú ricca di dettagli e veritiera possibile. E restano comunque così tante strade che non abbiamo esplorato: nel gioco non è possibile recarsi verso la Libia per provare a raggiungere l’Europa a Lampedusa, ma sono tantissimi i rifugiati che hanno provato a seguire quella strada. Ma sia chiaro, ogni punto della storia, ogni snodo, seppur di finzione, è basato su eventi realmente accaduti.
Ti chiedevo così perché nell’ultimo anno in particolare la Francia e l’Unione Europea sono cambiate tantissimo. Com’è stato accolto il gioco, e come vi aspettavate avrebbe risposto il pubblico quando avete iniziato a lavorarci?
18 mesi sono lunghi, ed è vero che la Francia e l’Unione Europea sono cambiati tantissimi da quando abbiamo iniziato a lavorare a Bury Me, My Love. La crescita di Le Pen a secondo partito è un evento gravissimo, ma non credo che necessariamente tutti i suoi elettori siano razzisti irrecuperabili. Due miei amici, un mio amico d’infanzia e un compagno di università sono progressivamente diventati sempre piú interessati alla retorica di estrema destra. Però quando ho dato il gioco da provare al mio amico dell’università, l’ha capito. Non sono privi di empatia e credo si possa fare molto per migliorare la percezione dei rifugiati. Tanto è colpa dei media — che coprono l’emergenza in modo assolutamente deumanizzante. I rifugiati sembrano una massa grigia, quasi un’orda.
Noi non siamo una ONG, ma queste sono storie che vanno raccontate. Servono storie singole, personali, semplici. Bisogna spiegare cose semplici. Le persone che odiano parlano sempre con un tono di voce troppo alto — dobbiamo imparare a farlo anche noi.
Prima di iniziare l’intervista mi raccontavi che avete ricevuto anche molte critiche da persone offese che sostenevano che non fosse possibile creare un gioco su un argomento come l’“emergenza” rifugiati.
Molti fanno fatica a capire che i videogiochi possono essere piú di semplice intrattenimento, piú di escapismo dal mondo reale. Ed è vero, se gioco con Link in Zelda o in un qualsiasi altro gioco fantasy è così, ma non deve esserlo necessariamente — così come non è necessariamente tutto solo intrattenimento per il cinema o per i fumetti. Un bel gioco può parlare di argomenti complessi come lo fa un buon fumetto. Quando Art Spiegelman ha iniziato a lavorare a Maus tantissimi gli dicevano che non sarebbe mai riuscito a raccontare la tragedia del padre, e invece l’ha fatto, senza problemi. Questa transizione, tra gli anni ’80 e ’90 che ha fatto percepire anche i fumetti come “una cosa seria” non è successa per i videogiochi.
(Ed è nel nome, no?)
Sì, sono giochi, dovrebbero essere divertenti, no? È anche un’esperienza emotiva, e soprattutto formativa. Per questo secondo me Bury Me, My Love può essere molto utile. I videogiochi possono crescere in qualcosa di molto utile, di molto bello.
Bury Me, My Love, è disponibile per iOS e Android e costa 3,49 €. È disponibile in 5 lingue — Francese, Tedesco, Spagnolo, Italiano, e Inglese — e Maurin vorrebbe rilasciare presto un aggiornamento con la lingua con anche la lingua araba. È disponibile un demo prologo gratuito online. Bury Me, My Love inizia lentamente e nel giro di una giornata travolge il proprio lettore giocatore d’emozione.
È un gioco sviluppato con finezza e gusto impeccabile. È un gioco importante, che racconta in un formato innatamente pop una storia drammatica che non è mai stata così accessibile.
È una piattaforma fantastica per provare a spiegare il dramma dell’“emergenza” rifugiati ed è un’esperienza due volte piú intensa per chi conosce già storie come quella di Nour e Majd.
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