A Milano non c’è solo il Duomo. Il territorio cittadino conta centinaia di edifici di culto sparsi per il territorio comunale.
La chiesa apostolica armena di Milano si trova in una traversa di via Porpora, e la sua forma austera ed esotica al tempo stesso si inserisce nel panorama del quartiere, composto da villette bizzarre e vagamente vittoriane, in modo sorprendentemente appropriato. Siamo andati a visitare questo pezzo di terra armena nel cuore della città.
A Milano non c’è solo il Duomo. Il territorio cittadino conta centinaia di edifici di culto sparsi per il territorio comunale, soprattutto chiese cristiane cattoliche, parrocchie; edifici storici dal valore inestimabile o brutti prefabbricati anni ’60 come quello di San Leonardo. A Milano molte comunità hanno il proprio luogo di culto e, in casi di minoranze molto ristrette o per cui la religione è un tratto di autoidentificazione, questo luogo di culto finisce per diventare uno dei principali motori di aggregazione e conservazione culturale di quella minoranza. È il caso della chiesa armena, dedicata ai Santi Quaranta Martiri del IV secolo di Sebaste.
Ci siamo fatti accompagnare a visitarla da Padre Tovma, il sacerdote responsabile della struttura, che risiede in Italia da cinque anni. “Mi ha incaricato il nostro Catholicos, il Pontefice degli Armeni.” Padre Tovma è un Archimandrita, “come il Monsignore nella Chiesa Cattolica.” Per questo motivo, è celibe: Il clero armeno non ha obbligo di castità nelle fasce più basse della gerarchia ecclesiastica, ma solo per le cariche più alte.
“La comunità armena a Milano conta circa 800 persone,” ci informa Padre Tovma. “In tutta Italia saremo circa 5000. Questa chiesa esiste da sessant’anni ed è la sede di rappresentanza della Chiesa armena in Italia.” La maggior parte della comunità armena italiana infatti, secondo Padre Tovma, risiede in Lombardia. “Gli armeni milanesi però non risiedono nelle immediate vicinanze della chiesa,” continua, “sono sparsi per tutta la città.”
È luogo comune che la popolazione della diaspora armena sia arrivata nel nostro paese — e altrove in occidente — in seguito al terribile genocidio ad opera dei turchi nel 1915, che spazzò via una fetta rilevante della popolazione armena dalla loro dimora storica tra il Caucaso e l’Anatolia. In realtà, le cose sono più complesse.
Sinbàd, ad esempio, è arrivato in Italia cinque anni fa. Come molti altri ragazzi armeni è emigrato dall’Armenia per motivi di studio. “La situazione economica in Armenia è precaria,” ci racconta padre Tovma, “specie dopo che la Turchia ha chiuso il confine dopo l’indipendenza per la questione del Nagorno-Karabakh,” che si trascina da ormai tre decenni. Oggi Sinbàd lavora nella parrocchia di Milano, partecipando anche alle funzioni religiose. È lui ad aprirci fisicamente la porta della chiesa per fare qualche foto.
Sul portone della struttura, di legno chiaro, sono raffigurate in dei bassorilievi le principali chiese d’Armenia. L’interno della chiesa in sé non è molto diverso da quello di una tipica chiesa cattolica, se si esclude qualche tappeto più del solito e le scritte nell’arcano alfabeto armeno. La messa si tiene ogni domenica alle undici e, versando un’offerta libera, si può accendere una candelina come in una normale chiesa milanese.
L’architettura delle chiese armene, a un occhio profano, è simile a quella romanica: serie di archi tondeggianti e in generale solida, con interessanti cupole coniche che ricordano vagamente quelle di alcuni castelli francesi. Secondo Josef Strzygovsky, uno dei primi europei a studiare l’architettura armena in medioriente, la forma delle chiese armene avrebbe influenzato in modo decisivo quelle occidentali, almeno nei primi anni della cristianità. La chiesa di Echmiadzin, sede del katholicos, il pontefice armeno, e una delle cattedrali più antiche del mondo, avrebbe ispirato la chiesa milanese di San Satiro, in via Torino. Un legame duraturo nel tempo.
Ma la chiesa armena è ortodossa? È cattolica ma rinnegata? Perché c’è un pontefice che non è il Papa e nemmeno il metropolita di Costantinopoli? Abbiamo esposto le nostre perplessità a Padre Tovma, che ci ha regalato una veloce lezione di teologia paleocristiana.
In sostanza, la chiesa armena è una chiesa Apostolica, ovvero fondata direttamente dagli apostoli di Cristo: in questo caso san Bartolomeo e san Taddeo — san Pietro, fondatore della chiesa romana, non c’entra niente. La chiesa armena e altre chiese (quella Siriaca, Copta, Etiope, Eritrea e Indiana) sono tutte chiese indipendenti e vengono a volte definite chiese Ortodosse orientali, da non confondere con l’ortodossia greca e russa alla quale siamo in genere abituati a pensare. Tra l’altro, la chiesa armena è stata la prima a essere adottata come religione di stato dal regno d’Armenia, nel 301 d.C.
A livello dottrinale, le differenze in realtà sono minime. La chiesa cattolica accusa quella armena di essere monofisita, ma quella armena respinge questa accusa.
Il monofisismo, per chi avesse bisogno di un ripasso di storia come la persona che sta scrivendo questo articolo, è la dottrina elaborata da un teologo greco nel 5° secolo secondo la quale in Cristo non ci sarebbero due nature — umana e divina — ma, appunto, solo quella divina. La dottrina venne bollata come eretica dal Concilio di Calcedonia del 451 d.C., che però fu essenzialmente un affare della chiesa romana e quella bizantina, al quale la chiesa armena non partecipò. Come in passato anche oggi la chiesa armena, come altre chiese orientali, sostiene che “la natura totalmente umana e quella totalmente divina sono unite in un’unica natura con Cristo senza tuttavia miscelarsi,” una definizione che fa storcere il naso alle chiese occidentali.
Assistere a una messa armena probabilmente è un’esperienza simile a quella di assistere ad una messa cattolica pre-concilio vaticano secondo. Il sacerdote — in questo caso, Padre Tovma — recita la liturgia rivolto verso l’altare con le spalle al pubblico, e il tutto è in armeno classico. La messa è ricca di spezzoni cantati. Nel caso specifico della messa a cui abbiamo assistito nella chiesa armena di Milano, i cantanti — un uomo e due donne — cantano in modo fenomenale melodie che ricordano un mix tra i suoni della liturgia occidentale e quella ortodossa. Come tutta la messa, del resto.
Nel piano interrato della chiesa si trova l’ufficio di Padre Tovma e un’ampia sala comune, che viene usata per alcuni eventi o occasioni sociali dalla comunità come battesimi, matrimoni o feste. “O quando è più comodo restare qui dopo la messa,” secondo Padre Tovma.
La parrocchia infatti non è l’unica istituzione della comunità a Milano. La Casa armena è un’organizzazione laica e ha sede in Piazza Velasca 4.
Abbiamo parlato con Pietro Kuciukian, console onorario d’Armenia a Milano. “I rapporti tra la chiesa e la casa armena sono ottimi. ” ci ha detto al telefono il console. La casa è stata aperta, come la chiesa, circa sessant’anni fa, dopo che “i reduci del genocidio si sono stufati di girare qua e là per riunirsi e hanno comprato tutti insieme un appartamento.”
“Il centro è apolitico e areligioso,” prosegue Kuciukian. “ci si trova lì il sabato e la domenica, o per eventi culturali e ricorrenze. A volte la chiesa ci ospita o viceversa.”
Per quanto riguarda invece i rapporti con le altre chiese cattoliche milanesi, la chiesa di via Jommelli non è coinvolta in particolari attività con esse. “Però,” precisa Padre Tovma, “facciamo parte del Consiglio delle chiese di Milano.” Chiediamo a Padre Tovma come siano i rapporti con la comunità turca di Milano. “Qui c’è una comunità turca?” ci chiede con un sorriso Padre Tovma. “A me sinceramente non interessa dei turchi, possono fare quello che vogliono. È il loro governo che non ha ancora ‘pagato’ per quello che ha fatto. Speriamo che la comunità turca spinga il suo governo per il riconoscimento del genocidio. Noi siamo aperti, ma loro no. Tutti i tentativi di apertura da parte del governo armeno sono rimasti solo sulla carta.”
Ovviamente, ancora oggi la memoria di quell’evento drammatico è molto viva nelle comunità della diaspora, che sono nate in larga parte dopo i tragici eventi del 1915. “C’è anche la questione dei rimborsi economici per gli eredi delle vittime. Se il governo riconoscesse il genocidio, poi dovrebbe anche provvedere ai rimborsi. Gli armeni possedevano molte cose in Turchia. Per esempio il palazzo dove risiede adesso Erdogan apparteneva a una famiglia nobile armena.”
Dopo che l’Armenia ha guadagnato l’indipendenza, in seguito allo scioglimento dell’URSS, il suo popolo si è trovato ad avere uno stato effettivamente indipendente. Abbiamo parlato con Simone Zoppellaro, giornalista e scrittore autore tra l’altro di Armenia Oggi, prefatto dalla scrittrice italoarmena Antonia Arslan, autrice de La masseria delle allodole. Zoppellaro ha vissuto per qualche tempo in Armenia e sua moglie viene proprio dalla repubblica caucasica. “L’Armenia contemporanea è uno stato che vive di rimesse. Tra le repubbliche caucasiche dell’Unione Sovietica è quella che ha più sofferto per lo scioglimento, visto che la sua economia si basava soprattutto su industria e tecnologia.”
La chiesa armena è tornata ad essere importante nella vita pubblica del paese in seguito alla caduta del comunismo, in modo analogo ad altre chiese delle repubbliche post-sovietiche.
Ciononostante la chiesa continua a essere un legame tra le colonie della diaspora e la madrepatria, nonostante qualche barriera di livello linguistico: le comunità armene all’estero parlano prevalentemente un dialetto armeno di varietà occidentale, mentre in patria si parla prevalentemente il dialetto armeno orientale. “La comunità armena italiana non è numerosa come quella francese o americana, ma è comunque molto viva,” prosegue Zoppellaro, “ad esempio a livello culturale. A Venezia c’è un monastero di cultura armena che è stato molto importante negli ultimi decenni per la diaspora.” Del monastero ci ha parlato anche Padre Tovma, nonostante non sia sotto la giurisdizione della chiesa armena ma di quella cattolica romana. “Su quell’isola è come essere in Armenia. A casa.”